domenica 18 luglio 2004

Giulio Giorello
Giordano Bruno e il suo Candelaio

La Stampa 18.7.04
Il «Candelaio» di Giordano Bruno, un invito ad andare oltre le apparenze. Come svelare il fitto intreccio di travestimenti e sdoppiamenti nel «teatro del mondo»
Siamo tutti attori sul palcoscenico della vita
di GIULIO GIORELLO e NUCCIO ORDINE


Nelle diverse metafore che in generale comparano la vita e l'arte, quella del teatro del mondo ha conosciuto grande successo. Tra ciò che vediamo sul palcoscenico e ciò che accade sotto i nostri occhi nella realtà di tutti i giorni è possibile riscontrare una serie di analogie in grado di illuminare aspetti importanti dell'immensa scena su cui agisce il genere umano. Non a caso nel Globe Theatre di Shakespeare, luogo fondatore del dramma moderno, veniva ricordato agli spettatori, con un motto scolpito a grandi lettere («Totus mundus agit histrionem»), lo stretto rapporto che lega il mondo al teatro. Come accade per i topoi di lunga durata, non è possibile racchiudere il senso di questa comparazione all'interno di un unico e solo significato. Dal mondo classico (Platone, Seneca, Epitteto, Plotino) al Rinascimento (Ficino, Erasmo, Bruno, Campanella, Shakespeare, Cervantes, Calderón) l'immagine del teatro del mondo viene piegata a usi diversi, e talvolta opposti, spesso in opere di un medesimo autore.
Platone, Epitteto, Plotino - da punti di vista differenti - sottolineano il rapporto che si crea tra l'attore che recita in teatro e l'uomo che si muove sul palcoscenico della vita: entrambi non possono scegliersi i ruoli, ma sono costretti a giocare quella parte che viene loro assegnata da un regista esterno. E sovente nella commedia universale, come sottolinea Campanella in un bellissimo sonetto dedicato a una cruda analisi della realtà politica, gli attori prescelti non sono all'altezza di recitare quei ruoli di prestigio cui sono stati destinati: «Fra regi, sacerdoti, schiavi, eroi, / di volgar opinione ammascherati, / con poco senno, come veggiam poi / che gli empi spesso fûr canonizzati, / gli santi uccisi, e gli peggior tra noi / prìncipi finti contra i veri armati».
A partire da questa mancanza di corrispondenza tra il valore effettivo di chi recita e la parte che gli viene assegnata, è possibile rileggere la metafora teatrale anche alla luce dello scarto che si crea, nella vita e sul palcoscenico, tra realtà e apparenza, tra interiorità ed esteriorità. Seneca, per esempio, in diversi passaggi delle Lettere a Lucilio , non perde occasione di sottolineare il valore illusorio delle ricchezze e del potere. E lo fa paragonando appunto gli uomini agli attori. Chi occupa ruoli di prestigio nella vita deve fare attenzione a ciò che accade in una rappresentazione teatrale: l'istrione mascherato da re o da potente, una volta spogliato del suo travestimento, ritorna a essere quello che veramente era nel quotidiano. Dismessi abiti di porpora e toghe magistrali, solo la pura «nudità» potrà essere misura del suo valore.
Giordano Bruno, che impiega esplicitamente la metafora teatrale in un passaggio del De gli eroici furori, trasforma il Candelaio in un vero e proprio teatro del mondo, mettendo in scena le illusioni e le follie provocate dallo scarto tra realtà e apparenza. L'esteriorità, nella commedia e nella vita, inganna su diversi piani. Anzitutto su quello della poetica: com'è possibile separare tragedia e commedia, riso e pianto, quando questi contrari interagiscono continuamente sul palcoscenico della vita? Il Candelaio , è vero, si presenta come una commedia. Ma, dissolvendo tutti i precetti aristotelici, la pièce si rivela anche come un' ouverture musicale, in cui l'autore anticipa alcuni grandi temi della «nolana filosofia» che saranno poi sviluppati nei sei movimenti dei dialoghi londinesi. La stessa struttura teatrale finisce per anticipare i disorientamenti provocati dall'universo infinito: non più una storia unica, ma un intreccio di molteplici vicende che mettono in crisi qualsiasi centro assoluto. Già Copernico aveva compreso l'«apparenza» di uno spettacolo naturale: la volta celeste ogni ventiquattr’ore sembra compiere un giro intorno alla Terra. Tutto ciò però si basava sulla «fissità» del nostro Globo. Ma anche questa «fissità» era un ulteriore inganno! Bruno fa di più: ogni punto dell'immenso universo può essere il luogo di uno spettatore intorno a cui è «costruita» una personale platea. Macchine e macchinazioni possono tuttavia venir svelate dalla retta ragione, capace di intendere il carattere relativo di quel particolare punto di vista. Bruno, insomma, sul piano della cosmologia e sul piano dell'estetica, unisce ciò che Aristotele e gli aristotelismi avevano separato: il cielo e la terra, il serio e il comico. Natura e letteratura si presentano nella loro profonda unità.
L'immagine della commedia universale, attraverso il fitto intrecciarsi di travestimenti e sdoppiamenti, diventa uno specchio in cui è possibile ritrovare gli inganni che si vivono sulla scena del mondo. Bruno voleva mettere sotto gli occhi ciò che si nasconde dietro le apparenze, illuminare con il suo Candelaio un universo caratterizzato dalle ombre e dalle illusioni, dalle finzioni e dalle maschere, dalle mutazioni e dalle vicissitudini.

Il testo è tratto dalla relazione «Giordano Bruno e il teatro del mondo», che Giulio Giorello e Nuccio Ordine terranno domani alle ore 11, presso l'Hotel Murat di Positano, all’interno delle manifestazioni «Sole, mare e cultura»