domenica 18 luglio 2004

scuola islamica
com'era prima dell'integralismo

Repubblica 18.7.04
L'insegnamento consisteva nell'Islam, fondamenti e regole
Per molti bimbi la lezione dello sheikh era l'unica disponibile
Così si studiava alla Madrassa tra grammatica e Corano
Nelle scuole islamiche prima dell'integralismo
il testo religioso L'insegnamento si incentrava sulla memorizzazione, sulla ritmica e sullo studio dei riti e dei dogmi dell'Islam. Non capivamo molto: tutto si basava sulla capacità di memorizzare le sure
Un ricordo degli anni Sessanta, quando la cultura araba poteva convivere con quella occidentale tutti i giorni senza conflitti
la lezione Ci sedevamo a terra, con le gambe incrociate. Non tutti avevano il gesso e la lavagna, la maggior parte scriveva come cent'anni fa, con inchiostro vegetale su tavolette di legno ereditate dal genitore
di KHALED FOUAD ALLAM


Dopo aver vissuto la prima infanzia in Marocco, io, mia madre, mio fratello e le mie sorelle alla vigilia dell´indipendenza raggiungemmo l´Algeria per ritrovarvi mio padre che era andato a combattere per l´indipendenza (liberazione?) del paese. La guerra aveva causato la temporanea separazione della famiglia; in Marocco mia madre era direttrice di una scuola elementare, e al nostro ritorno in Algeria fu nominata direttrice della scuola femminile Capitain Zaghloul, in un quartiere popolare di Orano.
Mia madre fu la mia prima maestra, imparai da lei i primi rudimenti della lingua coranica e delle sue sure, ma anche della cultura europea, poiché ella credeva alla possibilità di una simbiosi fra le culture - ne è prova il fatto che risale a quegli anni la mia passione per la musica classica. Nonostante la guerra tra Francia e Algeria, per lei la cultura era in grado di unire tra loro gli esseri umani. Mi aveva iscritto nella sezione maschile della sua scuola, ma quando ebbi otto anni decise anche di completare il mio insegnamento religioso mandandomi in una piccola madrassa (scuola coranica).
Lì, tre volte alla settimana, sotto lo sguardo dolce e attento di un vecchio sheikh, mi confrontai con quello che più tardi ho chiamato l´universo coranico. Ci sedevamo a gambe incrociate, su stuoie stese a terra; non tutti possedevano allora il gesso e la lavagna, la maggior parte degli altri alunni scriveva come cent´anni fa con un inchiostro vegetale facilmente cancellabile su tavolette di legno che spesso si trasmettevano dal genitore al figlio, tavolette che oggi sono diventate oggetti d´antiquariato. Alla madrassa si imparava tutto ciò che è l´islam, i suoi fondamenti e le sue regole; ma la scuola coranica era anche il mezzo attraverso il quale i bambini, molti dei quali analfabeti, potevano accedere alla conoscenza della lingua e della grammatica, perché si partiva dal Corano per comprendere le forme grammaticali della lingua araba e della lingua coranica. Spesso la madrassa sostituiva la scuola statale, perché molti bambini dovevano lavorare per aiutare i genitori, e dunque non potevano frequentare la scuola durante il resto della giornata. L´insegnamento si incentrava sulla memorizzazione del testo coranico, sulla ritmica coranica e sullo studio dei riti e dei dogmi dell´islam; certo non capivamo molto, perché tutto si basava sulla capacità meccanica di memorizzare il Corano, ripetendone le sure quasi all´infinito.
Capii più tardi che, nel mondo arabo e più in generale nell´islam, questa insistenza sulla memorizzazione linguistica era il mezzo attraverso il quale l´islam si definiva, nel senso che in esso la coscienza linguistica serve a costruire la sua peculiare psicologia religiosa. Studiai due anni in questa madrassa, ma per me era forte il contrasto con l´altra scuola, quella in cui insegnava mia madre, dove giocavo con i compagni, mentre nella madrassa l´insegnamento era estremamente austero, e tutti i giorni sembravano ripetersi uguali a se stessi.
La sede della scuola statale era un insieme di capannoni militari in metallo, a forma di tenda; non c´era nemmeno un getto di cemento come pavimento, ma semplice terra battuta che quando faceva caldo si trasformava in polvere, come se volesse annunciare che il deserto non era lontano. Durante la primavera e l´estate nelle aule il caldo era terribile, il maestro lasciava sempre la porta aperta e talvolta si arrabbiava con noi alunni perché tutti cercavamo di guardare fuori, oltre la porta. Era come se volessimo impadronirci di una libertà che le ore scolastiche ci sottraevano.
La povertà era grande in quegli anni. L´orario scolastico era a tempo pieno, mattina e pomeriggio, e si mangiava a scuola. Mi ricordo come fosse ieri il piatto unico che consumavamo, in ciotole di alluminio: patate con pezzi di grasso di montone o di bovino, oppure minestra (shorba) fatta col pomodoro; per molti di quei bambini quel piatto sarebbe stato l´unico della giornata. All´epoca le classi non erano composte da alunni tutti della stessa età - io, quando avevo nove anni, mi trovavo anche insieme a ragazzi di tredici o quattordici anni - e talvolta vi era qualche disagio nel conciliare le esigenze e nell´impartire lo stesso insegnamento a bambini e a ragazzi che iniziavano l´adolescenza.
In quegli anni si insegnava ancora in due lingue, vale a dire in arabo e in francese: la storia, la geografia e la letteratura venivano insegnati in lingua araba, la matematica e le scienze in francese. Gli insegnanti di arabo provenivano da tutto il Medio Oriente, perché all´epoca l´Algeria quasi non disponeva di quadri capaci di insegnare in arabo: il colonialismo e la guerra avevano impedito l´emergere di una classe dirigente compiutamente arabizzata. Più tardi si seppe che molti di questi insegnanti provenienti dal Medio Oriente appartenevano al movimento fondamentalista islamico dei Fratelli Musulmani, e che essi ebbero un ruolo rilevante nel condizionare un´intera generazione di algerini tra fine degli anni ?60 e inizio degli anni ?70. E´ così che solo qualche anno dopo compresi il senso di un incidente accaduto nella mia classe, quando un insegnante proveniente dalla Siria ebbe qualcosa da dire su un comportamento che definì «poco musulmano» a un alunno che allora aveva quindici anni: tra i due vi fu una violenta colluttazione in cui fu persino rovesciata la cattedra del maestro, e dovette intervenire il direttore per separarli.
All´epoca, sia in Algeria che nel resto del mondo arabo, la scuola rappresentava l´elemento centrale su cui lo stato aveva puntato le speranze: tutti noi ci sentivamo in qualche modo depositari del destino della nazione e dell´islam. Ogni mattina alle otto, in piedi, anche in quella caserma divenuta scuola, dovevamo cantare in coro l´inno algerino (Kasaman), che finisce con la parola, ripetuta due volte, shuhada (martiri, nel senso di martiri della nazione). Mi ricordo che, sfogliando i miei libri di scuola, due parole ricorrevano spesso: thawra (rivoluzione) e turath (patrimonio), due parole chiave che per il mondo arabo rappresentano e riassumono tutto un periodo storico, ma che hanno anche definito la problematica con cui essi si rapportano con i mondi altri. Rivoluzione significava emancipazione dalla storia, dall´occidente, dal potere coloniale; ma significava anche modernizzazione, con un inizio di apertura rispetto alla rigida tradizione dell´islamica: ora le ragazze potevano accedere alla scuola, a volte potevano insegnare, come ad esempio mia madre. Ma tutto questo slancio iniziale contraddiceva e urtava con la nozione di turath, vale a dire con il recupero della personalità arabo-islamica, formalizzato e ricorrente nei manuali scolastici, e ribadito dal corpo insegnante. Questa contraddizione in atto nel mondo arabo e musulmano era presente anche nella mia scuola Capitain Zaghloul: vi si contrapponevano due mondi che rimanevano separati, tra i quali non veniva gettato alcun ponte, non si dava alcun passaggio, in modo che tutto tendeva a irrigidirsi; e spesso l´assenza di uno sguardo critico si coniugava alla povertà materiale.
Mi ricordo anche dell´inverno del 1966: mia madre mi convocò nel suo ufficio, a scuola, per dirmi che nel pomeriggio sarebbe passata una missione della Nazioni Unite per distribuire ai bambini della scuola un burnus, (mantello maghrebino fatto di lana grezza con un lungo cappuccio), e che io non dovevo mettermi in fila per ricevere quel dono perché noi stavamo bene mentre gli altri bambini erano molto poveri. Capii più tardi che non solo mia madre mi aveva inculcato questi principî di giustizia, ma li avevo imparati anche nella piccola madrassa: a contatto con la povertà e con la spiritualità dello sheikh, cresceva in me la necessità di capire l´altro.
Negli anni che seguirono tutto sarebbe diventato più difficile: sentivo indurirsi gli animi, mentre il conflitto israelo-palestinese sbarcava sulle nostre radio e televisioni e nelle nostre piazze. Tutto quanto perdeva in spiritualità e cresceva in ideologia; si possono leggere questi cambiamenti negli stessi manuali scolastici, analizzandone i discorsi ma anche le immagini. Mentre nella mia infanzia si potevano vedere immagini di persone vestite all´occidentale o all´araba, insieme, l´immagine dell´arabo occidentalizzato è gradualmente scomparsa; la donna che si era scoperta dal velo ora tende a ricoprirsi; e, come ne "La pelle di zigrino", il mondo si richiude su sé stesso. Parole di fuoco avrebbero incendiato la mia terra natale per poi riversarsi sul mondo intero. In quegli anni un mondo diverso era possibile, forse era a portata di mano: ma le nazioni non sempre mantengono la promettente bellezza dell´inizio.