venerdì 10 settembre 2004

Emanuele Severino
la musica nella storia dell'uomo

L'Arena 9.9.04
Amici del Filarmonico. Sala Maffeiana gremita per il noto filosofo che ha tenuto una lezione introduttiva alla stagione 2004 del «Settembre dell’Accademia» Ne è uscita un’accurata indagine sul ruolo avuto dalla musica nella storia dell’uomo
A lezione da Severino
Chiara Zocca

In una Sala Maffeiana affollatissima il noto filosofo e opinionista Emanuele Severino ha tenuto - su invito dagli Amici del Filarmonico - una conversazione sul tema «L’Occidente e la musica» come introduzione all’edizione 2004 del Settembre dell’Accademia Filarmonica. Nel chiarire che la parola “Occidente” contiene in sé anche il significato di declino perché allude al tramonto del sole, Severino ha cercato di indagare il ruolo avuto dalla musica nella storia dell‘uomo, a partire dal grido, strumento di espressione di gioia, dolore o disperazione, che caratterizzava le feste all‘alba della civiltà: grido dapprima dissonante, che in seguito divenne all‘unisono, quindi raggiunse una dimensione disciplinata, probabilmente l’elemento di origine della musica. Se la festa, come luogo in cui l’uomo cerca di «alzare la testa dalla palude», racchiude in sé danza, rievocazione, mito, ed è a suo modo momento di espressione immediato dei sentimenti e delle angosce, si sviluppa allo stesso tempo anche la necessità di un pensiero strutturato: ecco dunque la filosofia, che nasce all‘inizio come critica al mito. Si forma così la tradizione sapienziale greca nella quale si innesteranno poi la rivelazione cristiana e, successivamente, con Avicenna, l’Islam, a dimostrazione che questi mondi e culture non sono così distanti, ma hanno una matrice comune. La musica cristiana ha al suo centro la parola: la musica, come anche l’arte cristiana - continua Emanuele Severino - contengono al loro interno, inconsapevolmente, elementi di critica al cristianesimo. Per l’artista cristiano l’arte è come un altro dio: dunque, viene da chiedersi, Bach cantava per lodare Dio o lodava Dio per cantare? Se l’arte cristiana è una radicale critica alla religiosità, così facendo, essa stessa distrugge alla base l’albero della cultura occidentale. La musica classica non è più la musica della festa, ma un metron, qualcosa di strutturato e di lontano dalla sonorità naturale. La regola, la struttura, finiscono per diventare un altro Dio, ed è perciò che il progressivo incamminarsi verso la demolizione del sistema tonale viene ad aderire con l’assunto nietzschiano che «Dio è morto». Il Novecento è una costante uccisione di Dio, nella dodecafonia che frange l’unità sonora dell’accordo, nella rinuncia al testo teatrale di Antonin Artaud, nell’abbandono della fede religiosa, nella caduta dell’Unione Sovietica: l’Occidente autodistrugge tutte le proprie certezze, precipitando verso un futuro disperato, aggrappato solo alla tecnica che, tuttavia, è incapace di salvare l’uomo. In questa fosca visione del futuro occidentale, nella quale la cultura diviene un rito provvisorio, Emanuele Severino lancia un ultimo dubbio teoretico e forse salvifico: e se, invece che proiettato verso il nulla, l’uomo fosse eterno?