Corriere della Sera 23.9.04
L’esaltazione del pellegrinaggio come forma di purificazione dello spirito
di Cesare Segre
Di guerra santa e di crociate, ormai, si parla ogni giorno, a proposito e a sproposito. Ma sarebbe interessante sapere cosa ne pensavano, come le vivevano gli uomini del Medioevo. Ci aiuta ora a soddisfare questa curiosità un volume dei «Meridiani» Mondadori, Le crociate. Testi storici e poetici, a cura di Gioia Zaganelli. La Zaganelli ha raccolto o antologizzato, con traduzione italiana, i testi più importanti sull'argomento, dalla Chanson d'Antioche sino alla Conquête de Constantinople di Geoffroy de Villehardouin. Il corredo illustrativo è imponente: l'ottima introduzione generale è integrata da introduzioni ai singoli testi (della Zaganelli e di validi collaboratori, tra cui Alvaro Barbieri ed Eugenio Burgio), da un glossario dei termini d'uso medievale, da una ricca bibliografia, da indici dei nomi di persona e dei toponimi, preziosi per orientarsi tra la molteplicità delle designazioni, soprattutto romanze, greche e arabe, per i medesimi luoghi, e da cartine geografiche degli itinerari percorsi e delle città o regioni te
I primi testi letterari sulle crociate sono di carattere epico e opera di giullari; gli ultimi di carattere cronachistico, scritti da personaggi importanti, che alle crociate parteciparono anche in posizione eminente. Tra gli uni e gli altri c'è una forte differenza. Nelle composizioni epiche circola molta più fantasia e la realtà è spesso deformata o inventata. Il modello onnipresente è la Chanson de Roland, che poco avanti la prima crociata (1096-1098) aveva già lanciato il tema della guerra santa, della lotta contro tutto l'Islam. Raccontando una crociata reale, i giullari si rendono conto che non è facile strappare i principi dai loro possedimenti, i contadini e gli artigiani dal loro lavoro, per trascinarli, con una motivazione «spirituale», in Paesi stranieri e in una guerra d'aggressione. Perciò danno voce a Cristo, ai santi e ai fautori contemporanei della crociata, così da dedurre, con mezzi argomentativi, un'infondata rivendicazione territoriale (il diritto dei cristiani al dominio dei luoghi santi e non solo di quelli), da un innegabile evento religioso (la predicazione di Gesù).
Emergono dal contesto epico molte motivazioni di fondo. Per esempio l'esaltazione del pellegrinaggio, come forma di purificazione dello spirito. Pellegrinaggi in Terrasanta se ne facevano regolarmente. Ma ecco che le crociate furono assunte al ruolo di «pellegrinaggi guerrieri»: il sostantivo dava una copertura alle violenze implicate dall'attributo. La Chanson d'Antioche, per esempio, narra, senza attenuarli, episodi di terribile crudeltà a opera dei crociati. C'è poi la spinta, talora esplicita, della riscossa di classe: il bottino viene distribuito a tutti, ricchi e poveri, e anzi qualche cavaliere ambizioso crea battaglioni di «ribaldi», cioè di miserabili fuorilegge, che si fanno una sinistra fama come guastatori. Di fatto, nelle crociate vigevano una licenza, ma anche una mobilità sociale, impensabili nei Paesi d'origine: un'attrattiva non piccola in un mondo complessivamente cristallizzato.
Invece, nei testi dei protagonisti-scrittori, come Robert de Clari o Geoffroy de Villehardouin, i dati storici e geografici sono di solito esatti e la finalità non è più esortativa, ma apologetica: giustificare il comportamento proprio o della propria parte (Geoffroy era condottiero e diplomatico). In prima linea la spartizione e la gestione delle terre d'Oltremare fra i capi crociati, che spesso vantavano come titoli di merito i propri successi bellici. Congiure e lotte di successione erano all'ordine del giorno. Ma siamo ormai alla quarta crociata (1202-1204), intrapresa come spedizione in Egitto e presto trasformatasi in guerra per la conquista di Costantinopoli. Fu insomma una crociata contro i cristiani, sia pure scismatici, e forse anche più cruenta di altre.
Singoli gruppi di crociati avevano già lasciato dietro di sé, in Europa centrale, sangue e rovine. Ma contro Costantinopoli mossero, più ancora che con odio (certo c'erano già stati precedenti scontri, sempre per motivi politici o commerciali, fra latini e greci), con un'avidità stimolata dalla fama della «nuova Roma» e delle sue straordinarie ricchezze. La spedizione fu dunque coronata da un folle massacro e da un immenso saccheggio. In gran parte a opera dei singoli crociati, in parte minore di gruppi nazionali, come i veneziani, che raccolsero così molti dei tesori ancora conservati a Venezia. Non ultime tra le prede belliche, secondo lo spirito dei tempi, le reliquie venerate nella stupenda città: su questo tema, la Conquête de Constantinople di Robert de Clari sembra arieggiare lo spirito degli attestati medievali di autenticità dei «santi resti», tanta è la cura con cui l'autore descrive i reperti trasportati in Francia e donati all’abbazia di Corbie.
In queste vicende i veneziani, che provvedevano al trasporto marittimo dei crociati, ebbero purtroppo un ruolo decisivo. Si trattava, per loro, di difendere i traffici con l'Oriente, per i quali Costantinopoli era un crocevia irrinunciabile. Ma l'indebolimento dell'Impero d'Oriente, che protrasse ancora la sua lenta decadenza per un paio di secoli, aprì le porte all’espansionismo dei turchi ottomani: nel 1453 fu Maometto II a conquistare, e definitivamente, la grande città. Tante volte s'incominciano guerre senza pensare che le conseguenze possono essere diverse da quelle previste e predicate.
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