venerdì 22 ottobre 2004

Edoardo Boncinelli:
pochi geni, immensi risultati biologici

Corriere della Sera 22.10.04
Pensavamo di averne 100 mila, invece sono 20 mila. L'importante è la combinazione
L'uomo ha meno geni del rospo, ma li usa meglio
di EDOARDO BONCINELLI

«Il cervello è più grande del cielo - dice Emily Dickinson - perché lo contiene senza sforzo e, in aggiunta, contiene anche te». Il nostro cervello è il gioiello dell'evoluzione biologica, la perla più pura emersa dalla creta originaria, contenente tanta acqua e una certa quantità di detriti inorganici. Eppure sembra che il nostro cervello, in tutta la sua potenza, non sia che il prodotto di ventimila geni.
Ventimila geni, più o meno quanti ne ha il vermiciattolo Caenorhabditis elegans, il cui corpo è costituito di solo mille cellule, e decisamente meno di quanti ne abbia una piantina alta una diecina di centimetri, la Arabidopsis. Insomma, il romanzo del nostro patrimonio genetico non ha più di ventimila capitoli. Quindici anni fa pensavamo di averne centomila; tre anni fa capimmo di averne circa trentamila; la valutazione finale, pubblicata adesso sulla rivista Nature, dice più o meno ventimila.
Ci dobbiamo preoccupare? Ci dobbiamo sentire umiliati? Dobbiamo cominciare ad adorare i rospi, il frumento o il riso, che ne hanno almeno cinquanta volte tanti? Nemmeno per idea. Ventimila possono bastare, se utilizzati giudiziosamente, ovvero se la relativa scarsezza di geni è compensata da una grande ricchezza, se non un'esuberanza, di processi regolativi. Un gene specifica la struttura di un prodotto biologico, in genere una proteina. Ma poi occorre stabilire quanta farne, in che tessuti farla e quando farla. I circuiti regolativi, che a questo punto ci aspettiamo sempre più complessi e interconnessi, servono proprio a specificare questi parametri. Sapevamo che anche la differenza fondamentale fra noi e gli scimpanzé risiedeva primariamente in una diversa capacità regolativa dei circuiti genici, decisamente più alta in noi che in loro, e il dato odierno non fa che rafforzare questa impressione.
Quanti e quali sono questi meccanismi regolativi? Una concisa ma aggiornatissima esposizione di tali temi si può trovare in un libro pubblicato da poco negli Stati Uniti e che uscirà il 28 di questo mese in traduzione italiana da Codice Edizioni. Si tratta de La nascita della mente. Come un piccolo numero di geni crea la complessità della mente del ricercatore della New York University Gary Marcus, che il 31 sarà al Festival della Scienza di Genova. Il problema che il nostro autore si pone è proprio quello di cui stiamo parlando: le poche migliaia di geni che possediamo sono sufficienti a formare, oltre al nostro corpo, anche un cervello funzionante, dotato di tutte le sue facoltà mentali, o dobbiamo al contrario invocare meccanismi diversi? Fermo restando che meccanismi diversi possono sempre essere dietro l'angolo e comparire da un momento all'altro, ci sono buone ragioni per ritenere che se ne possa anche fare a meno. I geni che abbiamo possono in sostanza benissimo bastare. E Marcus ci spiega perché, basandosi su ciò che sappiamo oggi sulla regolazione genica e sullo sviluppo embrionale degli animali superiori e dell'uomo. Attraverso quali vie, in sostanza, le istruzioni genetiche contenute nel nostro genoma e le vicende della nostra vita giungono a formare e modellare la nostra mente, nei suoi aspetti conoscitivi e razionalizzanti e in quelli più propriamente emotivi? La domanda ha una storia molto lunga. Si tratta del famoso dilemma innato-appreso, che nei Paesi di lingua inglese prende il nome di dilemma nature-nurture, che possiamo rendere con «natura o educazione?».
Come accade per tutte le domande di grande momento, si tende a proporre risposte basate su convinzioni a priori. Alcuni tendono ad affermare che tutto dipende dai geni che un individuo possiede; altri tendono ad attribuire tutto il merito alle sue esperienze di vita, come se i geni contassero poco o niente. Nell’uno e nell'altro campo si giunge spesso ad affermazioni assurde. Alcuni autori, fra cui il nostro, affrontano invece il problema in maniera seria e informata.
Non sono mai riuscito veramente a capire perché secondo alcuni trentamila (o ventimila) geni sono pochi. Su quale criterio si basa questa affermazione? Per coloro che credono che la mente sia una cosa diversa dal cervello, per produrla non basterebbero neppure un milione di geni. Per coloro che invece credono che i geni abbiano un ruolo nella costruzione della mente, non vedo perché ventimila dovrebbero essere pochi. Quanti dovrebbero essere per essere abbastanza? Il nostro autore salta a piè pari questa domanda e fa del suo meglio per persuaderci del fatto che partendo da un numero non grandissimo di geni si può giungere alla formazione di un numero enorme di caratteristiche biologiche, nel corpo e nel cervello.
Leggendo quest'opera ci si rende conto che quello che viene detto della formazione e del funzionamento del cervello potrebbe essere detto, quasi parola per parola, della formazione e del funzionamento di qualsiasi struttura biologica o parte del nostro corpo. I geni non «sanno» se stanno facendo un cervello o una milza. I meccanismi sono assolutamente gli stessi e spiegare come si forma il cervello è solo un pochino più complicato che spiegare come si forma la milza. Marcus avrebbe potuto parlare alla stesso modo della formazione di un arto o di un capillare, ma non c'è dubbio che sarebbe stato meno interessante. Dobbiamo comunque apprezzare lo sforzo di questo e di pochi altri autori per fare arrivare al grande pubblico almeno il sapore delle più recenti scoperte della biologia molecolare dello sviluppo dei mammiferi, un campo nel quale sono state fatte più scoperte negli ultimi venticinque anni che in tutta la storia precedente. E questo non per magia o per una supposta superiorità dei contemporanei, ma semplicemente perché ci sono oggi nel mondo più persone che si dedicano alla ricerca in questo campo di quante ce ne siano state mai in tutte le epoche passate messe insieme. La ricerca la fanno gli uomini, anche se l'apporto di apparecchiature e metodologie nuove è d'importanza fondamentale, e gli uomini sono più numerosi che mai. Chi ignora a bella posta e con compiacimento quello che la biologia moderna sta scoprendo, «perché tanto non potrà poi essere così importante», che cosa direbbe se gli facessero notare che in questo momento stanno operando tre Aristotele, due Platone, quattro Galileo, cinque Pascal e una manciata di Malpighi e di Spallanzani?