venerdì 22 ottobre 2004

sinistra
ancora sul libro di Armando Cossutta

Corriere della Sera 22.10.04
Cossutta e le mille storie del Pci
di PAOLO FRANCHI

Dopo Emanuele Macaluso, dopo Pietro Ingrao, anche Armando Cossutta ha voluto scrivere, per Rizzoli, la sua Storia comunista , presentata ieri a Roma, con la sapiente regia di Eugenio Scalfari, da Massimo D’Alema, Ciriaco De Mita e Oliviero Diliberto. E, ove mai ce ne fosse bisogno, anche il libro dell’Armando conferma quante e quanto diverse siano state, nel gruppo dirigente del Pci, le storie, le culture, le vicende politiche, intellettuali ed umane degli uomini che ne facevano parte. E’ quindi difficile dare torto a D’Alema quando, rispondendo a un quesito di Scalfari che si chiedeva come avrebbe potuto essere definito Cossutta nella geografia interna del vecchio partito, ha risposto semplicemente: cossuttiano. E si è limitato a rinviare quanti volessero capire meglio alla complessa (e poco indagata) storia del comunismo milanese nella seconda metà del Novecento, alla sua robusta destra riformista e a una sinistra interna altrettanto robusta, e a modo suo «responsabile», poco incline al movimentismo, cioè, ma anche poco curiosa dei cambiamenti dell’economia, della società, del costume, del gusto.
Cossutta, in realtà, è stato in qualche misura partecipe di entrambe. Ha interpretato cioè, come lo si poteva interpretare a Sesto San Giovanni operaia e a Milano, poi a Roma, il ruolo dell’uomo di centro, del togliattiano moderato e aperto ai ceti medi, in un Pci che dal centro era governato quasi per definizione. A questo ruolo è rimasto fedele fin quando è stato umanamente possibile. Con Palmiro Togliatti, e si capisce. E poi con Luigi Longo, al quale è stato particolarmente vicino. E anche con Enrico Berlinguer. Ma solo fino a un certo punto. Perché l’emarginazione politica di Cossutta non inizia nell’81, quando dà battaglia contro lo «strappo» (vero o presunto) di Berlinguer con l’Urss, ma alla metà degli anni Settanta. Quando Berlinguer lo estromette dalla segreteria del partito, di cui è stato fin lì il coordinatore, sostenendo che, negli anni, ha accumulato troppo potere, anche se, precisa, senza abusarne: e lo spedisce a occuparsi di enti locali.
Che di questo potere faccia parte integrante il rapporto diretto e privilegiato con Mosca, e che questo rapporto Berlinguer cerchi di reciderlo, o di attenuarlo, non è già allora, nel Pci, un mistero per nessuno. E dunque nessuno si stupisce più di tanto quando, sei anni dopo, il dirigente comunista che quasi per definizione ha rappresentato e governato con mano ferma l’ortodossia di apparato si ritrova, denunciando lo «strappo» e la «mutazione genetica» del partito che ne deriverebbe, nella parte dell’eretico che rivendica il diritto di organizzare i suoi in corrente, e viene accusato apertamente di dare man forte a un «lavorìo» sovietico per minare l’autonomia del Pci.
Di tutto questo, pur tra molte reticenze e molti non detti, c’è, nella «Storia comunista» di Cossutta, ampia traccia. E qui sta forse il suo principale motivo di interesse. Perché, da un punto di vista opposto, per esempio, a quello di Macaluso, aiuta a capire che è negli anni Ottanta, ben prima della caduta del Muro e della svolta di Occhetto, della nascita del Pds e di Rifondazione, e del successivo addio tra l’Armando e Fausto Bertinotti, che il Pci, ormai senza una leadership forte e riconosciuta, entra in agonia; e si dissolvono, assieme all’unità nella diversità del gruppo dirigente, anche i rapporti politici, e persino umani. E’ un paradosso. Ma di un minimo di buone maniere tra post, neo e veterocomunisti italiani si può, forse, cominciare a parlare solo adesso. Quando il vecchio Pci caro all’Armando non c’è più, e Fassino-D’Alema, Cossutta e Bertinotti se ne stanno, più o meno felicemente, ciascuno a casa propria.

Repubblica 22.10.04
Cossutta e la storia dei comunisti oltre il Pci D'Alema: separati andiamo più d'accordo

ROMA - Sessant´anni da comunista, sessant´anni quasi tutti dentro il Pci. Sono la vita e il lavoro militante di Armando Cossutta i temi del libro "Una storia comunista", scritto dal presidente del Pdci insieme al giornalista Gianni Montesano. Un libro presentato ieri da Massimo D´Alema, Ciriaco De Mita e Oliviero Diliberto, coordinati da Eugenio Scalfari. Uno Scalfari che mette subito in chiaro di non far parte della famiglia comunista e di collocarsi in un altro orizzonte politico-culturale. Gli replica Diliberto: non è vero - dice al fondatore di Repubblica - perché intorno al tavolo si ritrovano esponenti delle culture politiche che hanno dato vita al patto costituente del 1948.
Si parla di storia e politica nella sala del Cenacolo della Camera. Si parla di Togliatti, Longo e Berlinguer. Scalfari muove a Cossutta la critica di essere partito con l´intento di raccontare fatti e aver finito per dare giudizi. Sono un dirigente politico, replica il leader del Pdci, ed è inevitabile. Ed è giusto criticare anche mostri sacri come Togliatti. Secondo Cossutta, "il Migliore" sbagliò, per esempio, a non reagire con più forza alla rottura del patto antifascista e alla cacciata del Pci dal governo nel 1947. Si parla di Berlinguer. Ma D´Alema invita a «sottoscrivere una tregua» nello scontro sulla sua eredità. Ognuno di noi, dice, potrebbe rivendicare qualcosa di Berlinguer.
Meglio pensare invece che l´esperienza unitaria del Pci era finita e prolungarla sarebbe stato solo continuare nelle lotte intestine. La controprova, continua D´Alema, è che «da quando ci siamo separati, da quando ognuno ha trovato una sua casa, i rapporti fra gli ex comunisti sono sereni». Il leader ds spiega questa apparente contraddizione con il «senso di responsabilità verso il paese» degli ex comunisti. Un senso di responsabilità, continua D´Alema che nel momento drammatico di dover scegliere fra l´interesse del paese e l´interesse del partito ha portato «coloro che accusavano un gruppo di "giovanotti" di svendere il patrimonio storico del Pci a schierarsi i "giovanotti"». Piccola polemica sulla nascita del governo D´Alema del 1998 e sulla scissione in Rifondazione da cui nacque il Pdci. Ma D´Alema ha parole di apprezzamento anche per Bertinotti e Rifondazione. La scelte di Fausto, l´adesione e la nascita della Sinistra europea, spiega il presidente dei Ds, proiettano Rifondazione in un orizzonte post comunista. Scelte, dice D´Alema, che danno ragione alla svolta di Occhetto dell´89. Cossutta prende la palla al balzo. «Abbiamo litigato, ma deve sempre essere così la storia della sinistra? Non si può trovare un´intesa senza pretese di dominio? Adesso è Bertinotti a chiedere qualcosa di nuovo. Noi da tempo proponiamo la stessa cosa: una federazione della sinistra».

Liberazione 22.10.04

Il presidente del Pdci alla presentazione del libro "Una storia comunista"
Cossutta: giusta un'aggregazione a sinistra
di Tonino Bucci

«Sì, è vero, nella storia della sinistra abbiamo polemizzato, litigato, ci siamo divisi. Oggi ci sono tre formazioni, i Ds, noi del Pdci e poi Rifondazione comunista. Ma, mi chiedo, deve sempre rimanere così la storia della sinistra? E perché? Perché non si deve trovare tra le forze della sinistra una grande intesa nel rispetto delle differenze, delle distinzioni, senza pretese egemoniche e di dominio»? Armando Cossutta ha dedicato al presente e alle prospettive della sinistra italiana la chiusa dell'intervento alla presentazione del suo libro, Una storia comunista (in uscita per le edizioni Rizzoli, scritto con Gianni Montesano), pure completamente centrato sul «racconto», sulla «autobiografia politica», sulla «cronaca storica» - come è stato definito ieri a Roma, nel corso di una tavola rotonda fra Massimo D'Alema, Oliviero Diliberto, Ciriaco De Mita ed Eugenio Scalfari. Ma sia pure dentro la cornice narrativa del passato - dalla Resistenza, al Pci di Togliatti e Berlinguer, fino alla nascita di Rifondazione - non è mancato un accenno alla fase politica attuale da parte del presidente dei Comunisti italiani.
E lo ha fatto proprio con un riferimento al Prc. «Sono felice che anche Fausto Bertinotti riconosca che non c'è altra prospettiva in Italia al di fuori del centrosinistra: dell'alleanza, cioè, tra le forze della sinistra e forze che di sinistra non sono, ma sono forze democratiche. Che ci sia stato questo cambiamento è cosa positiva e importante. E ora Bertinotti sostiene anche la necessità di dare vita a una aggregazione delle forze della sinistra. Noi l'abbiamo da sempre sostenuto con la proposta della "confederazione", ma chiamiamola come vogliamo, fa lo stesso. Perché non dovremmo riuscire a dare vita a una aggregazione delle forze della sinistra dentro il centrosinistra? Senza questa alleanza tra forze della sinistra e forze democratiche non vi è speranza non solo di battere Berlusconi ma anche di governare validamente in Italia».
L'autobiografia politica di Cossutta tocca tutte le fasi salienti della storia italiana del dopoguerra, in particolare quelle del Pci. Sono nominati tutti i personaggi chiave, soprattutto Togliatti e Berlinguer, «su di essi - spiega Scalfari - prevale quasi sempre un giudizio duplice, fatto di condivisione ma anche di riserve». Una dopo l'altra si accumulano le questioni. Innazitutto, il dissenso con Berlinguer sullo strappo da Mosca: «riconosco che il suo giudizio era storicamente sbagliato, ma avevo ragione nel dire che era l'inizio di una mutazione genetica», si difende Cossutta. Poi, il significato da attribuire alla scelta della «rifondazione»: ricostruire il vecchio Pci o riconoscere la sconfitta del comunismo reale? «Fin dall'inizio mi sono battuto per il nome "Rifondazione comunista", cioè per la rifondazione di un pensiero e di una cultura comunista. Oggi il capitalismo ha vinto, domina - anche perché non c'è più, nel bene e nel male, un contrappeso - ma non può risolvere le proprie contraddizione. Ecco perché il bisogno di una prospettiva comunista risponde a un'esigenza reale, oggettiva».