lunedì 4 ottobre 2004

in relazione al dibattito teorico su "Liberazione" per un "nuovo comunismo"

Una segnalazione di Roberto Altamura

Da "Liberazione" 2 settembre 2004
La crisi della ragione indebolisce la capacità dell'ateismo di presentare una concezione autonoma del mondo. Ma anche le religioni tradizionali non riescono più a ricomporre un panorama di credenze irrazionali.

Recensione di Tonino Bucci del libro di Gorge Minois, studioso francese di mentalità religiose: Storia dell'ateismo, marzo 2000

L'Europa è cristiana. Anzi è atea e razionalista. Come è possibile che si passi con tanta disinvoltura dall'una all'altra delle opzioni di questo doppio registro quando si tratta di trovare un'identità europea nel presunto "scontro di civiltà" con l'Islam? In nome di una guerra fatta a colpi di lapidarie definizioni identitarie opinionisti d'area cattolica e di matrice liberal-conservatrice fanno a gara tra loro nel sottolineare l'una o l'altra delle affermazioni. Accade così che in questo caso il conflitto tra le due anime europee, religiosa e laica, venga messo da parte, salvo riesplodere in particolari momenti, come nella partita della Costituzione Ue.

Va da sé che la definizione dell'identità culturale è soggetta per propria natura, e per le tante sedimentazioni storiche, a un campo di variabili complesse, poco disponibili ad essere irrigidite nelle categorie univoche di "ateismo" e "religione". Tra questi due poli si dispiega una varietà di fenomeni - dall'indifferenza e dall'agnosticismo fino all'influsso di dottrine esoteriche e pratiche orientali - che frammentano qualsiasi tentativo di analisi. E', questo, il filo conduttore del saggio di Gorge Minois, Storia dell'ateismo (Editori Riuniti, pp. 672, euro 32,00), docente di storia e storico delle mentalità religiose.

In un lungo excursus storico Minois ricostruisce le tappe del pensiero ateistico, dall'antichità passando per la sovversione del Rinascimento e il "Settecento incredulo", fino al secolo della "morte di Dio" (l'800). Esito conclusivo di questo affresco è la crisi della ragione che colpisce alle fondamenta la capacità dell'ateismo di presentarsi, in positivo, come concezione autonoma del mondo. «In Europa, il 25 per cento della popolazione si definisce "non religioso"», ma «da tutte le inchieste emerge la debolezza relativa del gruppo degli "atei convinti": il cinque per cento per l'Europa in genere, con forti differenze nazionali». Può stupire questa posizione minoritaria dell'ateismo integrale in un secolo che ha visto l'arretramento massiccio delle religioni, reso ancor più evidente della debolezza delle associazioni militanti ateistiche.

Siamo allora di fronte ad una inversione dei rapporti di forza e ad un allargamento del campo della religione tradizionale? Difficile da sostenere. L'impressione paradossale è che la debolezza dei movimenti atei sia dovuta al fatto che essi non rispondano più ad alcun bisogno.

«Quando un'idea diventa un'evidenza condivisa da un gran numero di persone non c'è più interesse a difenderla associandosi, soprattutto in un'Europa sempre più guadagnata all'agnosticismo. La debolezza dei movimenti atei è la prova migliore della diffusione dell'ateismo», confuso «in un insieme umanista e laico più vasto».

E la religione tradizionale? La troviamo costretta a dover fare i conti con un universo frammentato di credenze, dottrine esoteriche, suggestioni orientali e pratiche individuali, lontane dal corpo strutturato della teologia: Tanto più si afferma nelle società europee contemporanee quello che Minois definisce «bricolage delle credenze», quanto più relegata ai margini, oscurata e dimenticata dallo stesso dibattito teologico è la «questione dell'esistenza di Dio». Il problema riguarda da vicino il cristianesimo, ma la tendenza alla decomposizione dei grandi sistemi religiosi investe anche le altre confessioni, tutte messe di fronte al compito incombente di recuperare al proprio interno «un universo spiritualista nel quale si accostano il migliore e il peggiore, il rispettabile e il non rispettabile, l'assurdo e il meditato». Ci si avvicina di più a questa realtà descrivendola come una vaga dimensione religiosa e spiritualista, piuttosto che come «religione» in senso stretto. Non è un caso, ad esempio, che durante il pontificato di Giovanni Paolo II la Chiesa abbia messo in atto «l'ultimo e utopico tentativo di riprendere vigore, riproponendo alcune contraddizioni della secolarizzazione, presentando per esempio il crollo del comunismo come il fallimento del tentativo di organizzazione del mondo da parte del pensiero laico e ateo». E' uno sforzo disperato di recuperare terreno nei confronti di un'area sempre più vasta di credenti, semi-credenti, credenti e sostenitori di fedi varie «che mettono assieme cristianesimo, esoterismo, occultismo, veggenza, astrologia e culti orientali, senza vere certezze». Con esiti sorprendenti, anche i grandi sistemi religiosi sono toccati al cuore dalla crisi dello spirito razionale, da sempre considerato un nemico irriducibile: ortodossie e dottrine teologiche vengono spazzate via dalle nuove mode, dal «primato affidato all'esperienzale», dalle «tecniche psico-corporee ispirate all'Estremo Oriente», dalle suggestioni «eteree» della New Age.

E' un destino paradossale quello che lega fra loro ateismo e religione. «Il fallimento del razionalismo, credente e non credente, a fornire una valida spiegazione del mondo e soprattutto ad assicurare valori culturali stabili e credibili - spiega Minois nel tirare le somme - è senza dubbio responsabile di questa crescita dell'irrazionale». L'ateismo fa fatica a costruire una propria Weltanschaung, tende a confondersi col semplice agnosticismo e l'indifferenza, si banalizza mentre la religione tradizionale perde egemonia rispetto a soluzioni spirituali a uso e consumo delle aspirazioni individuali. E a chi obietterà che i raduni di Woytila spostano centinaia di migliaia di giovani, va ricordato il «senso reale» di questi eventi spettacolari, amplificati dai media. «La gioventù europea non è più religiosa. Non è neanche atea in massa; vagola tra due poli, riflesso della situazione globale della cultura circostante». Non c'è dunque «ritorno al divino. Ma neanche progresso del vero ateismo». L'uno e l'altro messi sotto scacco da un sapere frammentato, dalle divisioni specialistiche della tecnica, dal rifiuto - o incapacità - di una comprensione globale del mondo. «L'idea di Dio era un modo di apprendere l'universo intero e di dargli un senso, ponendosi in rapporto a questo Essere: il teista gli attribuiva la direzione di tutto: l'ateo gliel'ha tolta e ha incaricato l'uomo di dare un senso al mondo. L'uno e l'altro sembrano oggi superati dall'atomizzazione del sapere. La distinzione non sembra più essere fra credenti e non credenti, ma piuttosto fra coloro che affermano la possibilità razionale di pensare globalmente il mondo, in un modo divino o in un modo ateo, e coloro che si limitano a una visione frammentaria nella quale predomina il qui e l'ora, l'immediato individuabile». L'ateismo e la fede, fra loro in conflitto, sono accomunati però dalla «capacità di affermare qualcosa di globale a proposito del mondo. Si perpetueranno insieme, o periranno insieme».