domenica 7 novembre 2004

citato a villa Piccolomini
intervista con Vittorio Foa

Repubblica 28.10.04
UNA VITA PIENA DI PASSIONI
Anticipazioni
Sarà presentata sabato a Cuneo una videointervista con Vittorio Foa

"Perché non mi sono schierato contro i comunisti? Se l'avessi fatto, sarei stato assorbito dalla Cia e dalla parte più reazionaria del mondo politico"
E poi i giudizi inattesi su Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Aldo Moro
L'antifascismo e l'anticomunismo, gli ideali, gli errori, le speranze d'un protagonista del 900
SERGIO SOAVE

Per Duccio Galimberti
L´INTERVISTA filmata a Vittorio Foa, che in parte pubblichiamo, sarà presentata sabato a Borgo san Dalmazzo (Cuneo). L'occasione è il sessantesimo anniversario della morte del partigiano Duccio Galimberti. Realizzata da Sergio Soave, curata da Sergio Anelli, con la regia di Ugo Giletta, l'intervista sarà pubblicata da Aragno in una edizione non venale. L'iniziativa è stata promossa dall'Associazione Cuneo Eventi nell'ambito della manifestazione Librinviaggio finanziata dall'Unione europea, dalla Regione Piemonte, dal Comune di Cuneo.


MORGEX. Foa, ricordi qualche cosa di Duccio Galimberti? Eri a Torino, quando fu ucciso, cosa pensaste voi in quel momento?
«Duccio morì in un momento molto brutto. L'offensiva degli alleati si era fermata e gli inglesi ci avevano detto di andare in pianura, le formazioni partigiane dovevano smobilitare. Mi ricordo ancora le discussioni con Galimberti. Cosa voleva dire andare in pianura? Andare in pianura, cioè smobilitare dalle montagne, non voleva dire abbandonare la lotta. Voleva dire trasformare la lotta partigiana in lotta civile, cioè cambiare in qualche modo la realtà della società. E questo Galimberti riuscì a farlo. Finché visse, lo fece. Il giorno della sua morte ero con Franco Venturi. Fu un colpo molto grave. Nello stesso tempo presentivamo nella persona di quest'uomo, che aveva chiarito immediatamente il significato del 25 luglio e cioè che la guerra continuava cambiando segno, noi sentivamo nell´esempio di quest'uomo qualcosa di vivo per il nostro futuro».
Cuneo è anche la patria di tanti resistenti, combattenti, grandi leader della Resistenza. Uno di questi, che è scomparso recentemente, era Nuto Revelli.
«Io ricordo il Revelli giovanissimo, che pubblicò Mai tardi. Lui raccontò la vicenda di Russia. E´ un romanzo in cui concludeva con le parole: "Mai tardi... a farli fuori". Parlava dei tedeschi. Il suo radicalismo era anche, qualche volta, un po´ infantile, ma era incantevole. E questo dava una grande tenerezza».
Revelli, per esempio, era assolutamente contrario alla dizione della resistenza anche come guerra civile. E quando lo disse Pavone non era del tutto convinto. Invece tu su questo concordi, e dici delle altre cose intelligenti, riferendoti ai resistenti dimenticati, ai seicentomila soldati che rifiutarono l´obbedienza e che, grazie a una rivalutazione come la tua e all´iniziativa forte del presidente Ciampi, ora hanno l´onore della memoria.
«Era il segno che noi, della resistenza attiva, non abbiamo lì per lì valorizzato. Non abbiamo capito l´importanza di questa altra resistenza».
A proposito di altri temi caldissimi, io vorrei toccare il tema della cosiddetta pacificazione nazionale. Nel 1996 il discorso di Luciano Violante fu molto attaccato a sinistra.
«Io ti dirò che sono sempre rimasto un po' dubbioso sulla tendenza affrettata a certe forme di riconciliazione. All'atto pratico eravamo molto diversi. Bisogna evitare che ci sia confusione. Una volta che sia chiaro che erano due mondi diversi, si può dire: "Va bene: anche voi di Salò avevate le vostre idee. Lo ammetto. Però erano idee diverse". Una volta Pisanò, durante un programma televisivo, disse: "Siamo tutti uguali, amavamo tutti il nostro paese, la Patria etc". E allora io gli dissi: "Sta attento! Perché tu dici abbiamo tutti gli ideali, siamo tutti per la Patria... però sta attento: se vincevate voi, io sarei ancora in prigione; poiché abbiamo vinto noi, tu sei Senatore della Repubblica. Questa è la differenza"».
I fautori dell'anticomunismo democratico ti imputano di non esserti schierato contro i comunisti, in virtù di quelle differenze ideologiche che tu avevi ben chiare, ma che non ti permettevano di ricusarli come compagni di viaggio.
«Guarda, io molte volte ci ho pensato. Non ero mai stato comunista, ma pensavo che, se avessi... negli anni Cinquanta, negli anni Sessanta... avessi preso delle posizioni anticomuniste, sarei stato subito assorbito dalla Cia, dagli americani, dalla parte più reazionaria del mondo politico. Che mi avrebbero comprato... cioè era facilissimo comprare. Ti faccio una rivista... quanta gente ha fatto una rivista, è stata pagata da loro... Invece, mantenere una posizione di critica dialettica era una posizione giusta. Io, però, un rimprovero lo faccio in senso diverso. Mi sono poi domandato perché, quando il comunismo finisce, quei valori popolari sono stati un po' ignorati? Come mai chi è stato comunista non rivendica almeno quei valori, come valori popolari di grande impegno?»
Li rivendicano più nella retorica del dibattito che non nella pratica. Perché nella retorica del dibattito se ne fanno scudo, ma poi nella pratica è un'altra cosa...
«Sono molto d´accordo. Bravo!».
Tu, proprio per questo, dopo l'esperienza del partito d'azione, militasti nel Partito socialista, perché il Partito socialista dava la possibilità di esprimere quegli identici valori, senza la compromissione con la storia del comunismo sovietico e di tutte le aberrazioni che sono poi venute alla luce. Ora ci sono alcune cose curiose. Tu te ne vai dal Partito socialista nel momento in cui questo esprime una sua autonomia dal partito comunista. Si stacca e decide di partecipare al Governo.
«Questa è una domanda che mi sono sentito fare, e che mi sono fatto anch'io, dando una risposta autocritica. Cioè noi abbiamo allora, con la formazione del Psiup, cioè di un socialismo di sinistra, noi abbiamo cercato qualcosa di diverso. Cercavamo un socialismo che fosse libertario. Questo è quanto io difendo di quel tentativo. Però di fatto poi noi abbiamo rallentato il processo di autonomia dei comunisti dall'Unione Sovietica. Abbiamo cioè rafforzato la posizione di subordinazione del Partito comunista, ed è stato un errore. Io credo che negli anni Settanta ho pagato anche personalmente per questo errore».
Adesso non ti ricordiamo più il tuo passato. Ti chiediamo solo dei giudizi su altre personalità. Ad esempio, su Aldo Moro sei molto severo: Moro campione dell'inazione politica, Moro che utilizza un corpo deviato dello Stato, cioè De Lorenzo. Insomma Aldo Moro è visto sempre in una luce negativa. Forse non era del tutto immobile se qualcuno pensò di fermarlo.
«Sì questo è possibile. Però... voglio dire... ciò che mi ha colpito molto in Moro è il '64. Cioè praticamente l'operazione "Solo". Cioè l'appoggio che egli ha dato a una operazione nella quale per la prima volta un corpo dello Stato - i Carabinieri - si permette di correggere la linea politica del governo con una minaccia di colpo di Stato. E la posizione di Aldo Moro allora fu una posizione molto grave. Dopodiché è vero quello che tu dici: che ci sono altre cose. Però ho voluto spiegare che nel '64 è stato dato da Moro, e anche da Nenni, l'esempio di cosa voglia dire permettere a un corpo estraneo di influenzare la politica».
C'è questo sorprendente giudizio su un Togliatti passionale e un Nenni freddo, che è un capovolgimento di ciò che in genere si pensa.
«Togliatti era molto passionale... Io ho molta simpatia per Togliatti. L'ho ammesso e l´ho scritto tante volte».
Tra le tante stagioni, ci fu almeno una piccola parentesi in quegli anni così difficili, duri per la sinistra, che fu il famoso disgelo Kennedy, Crusciov, Papa Giovanni. Quel tempo tu lo ricordi?
«Ricordo come una buona speranza. Adesso quelli che studiano la storia sovietica dicono che era un po' un'illusione... Crusciov? Ecco io ho pensato che il comunismo potesse diventare democratico. Ecco, l'idea della riforma possibile del comunismo io l'ho avuta. L'ha avuta anche Gorbaciov in fondo...».
Torniamo un attimo ancora in Italia perché non possiamo finire questa lunga cavalcata nel secolo senza gli anni Settanta e Ottanta. Qui c'è il problema Craxi, c'è il problema Berlinguer. C'è questa sinistra che nemmeno allora trova la possibilità di un accordo comune. Su Craxi tu dici delle parole oneste. Lui aveva questa idea fissa dell'autonomia socialista.
«Però non l'ha praticata. Ha preferito a un certo punto dividere il potere con i democristiani e far subito i suoi affari. Se lui avesse mantenuto ferma l'idea di un socialismo autonomo, lui poteva anche costruire un Partito socialista diverso. Però doveva avere la pazienza di aspettare, di non avere subito il potere. Invece lui era, in questo senso, un po' un vecchio socialista».
Ti vogliamo fare un'ultima domanda impegnativa: che cos'è oggi il socialismo per uno che ne ha visto e studiato tutte le varianti e che ha assistito a tutte le esperienze che sotto la bandiera socialista sono state vissute in un secolo?
«Io credo che bisogna ripensarlo. Io penso che il nuovo secolo, il Duemila, ci propone dei problemi completamente nuovi, e io vi invidio perché dovrete affrontarli. Ci sono tante cose nuove. L'idea stessa della guerra sta cambiando, della comunicazione, della ricerca... Tutto cambia. E allora aumenta enormemente il senso di responsabilità».