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riproponiamo un articolo apparso su ''Liberazione'' di Sabato 30 ottobre
Ingrao: «Sinistra unisciti, fai presto»
Parla lo storico leader comunista: un processo di riaggregazione è necessario, e siamo già in ritardo. Abbiamo bisogno di programmi chiari e di opzioni qualificanti
di Piero Sansonetti, direttore di Liberazione
Bertinotti ha proposto di costruire un nuovo contenitore per la sinistra. Asor Rosa ha proposto un’assemblea nazionale, e ha detto che torna alla ribalta della politica la contraddizione fondamentale: quella tra capitale e lavoro. Tu pensi che il problema della riaggregazione della sinistra ci sia e che i tempi siano maturi?
Spero ardentemente che si arrivi al più presto a questo processo che tu chiami di “riaggregazione della sinistra”. Siamo già in serio ritardo. Da ciò che vado scrivendo, credo si capisca facilmente una cosa: ritengo che Rifondazione sia un fattore essenziale in questo cammino che non è semplice. Mi auguro che essa sappia sviluppare tutta l’apertura e la capacità di ascolto, necessari per costruire questa originale e difficile unità. A dire la verità, quella parola che usa Fausto – “contenitore “- non mi piace molto. Dà l’idea di un avvicinamento meccanico, o di una alleanza esteriore. Io invece credo che si debba tendere a costruire un soggetto politico collettivo, con una intesa limpida sul programma e sui modi di un lavoro comune. Ma intendiamoci: io sono quidam de populo: questioni così alte e delicate non sono di mia competenza.
Ma sei d’accordo o no sulla proposta di assemblea costituente proposta da Asor Rosa? Oppure tu pensi che in fondo c’è già “Rifondazione”, che è quello il partito di sinistra e va bene così?
No, io penso che non va bene così. Penso all’opposto che “Rifondazione” deve uscire dal suo guscio, deve sviluppare un lavoro tenace e dichiarato di dialogo e costruzione di una intesa con le altre forze di sinistra. Altrimenti anche l’incontro proposto utilmente da Asor rischia di finire in una fragile ammucchiata: può sembrare che si vada d’accordo su tante cose, ma poi non si fanno passi in avanti veri. Se però uno mi dice che un’assemblea di questo livello può servire come preparazione di un processo, come primo atto di un incontrarsi, che ha già un suo significato, va bene così: si faccia. In verità, io sento molto di più il bisogno di una ricerca programmatica organizzata, e soprattutto di atti di lotta comune sulle brucianti questioni politiche e sociali oggi squadernate.
Fabio Mussi ha detto: noi (cioè la sinistra Ds) siamo in trincea per impedire che si formi il partito riformista. Per questo restiamo nei Ds: per combattere questa battaglia che può ancora essere vinta. Per impedire una deriva blairiana nei Ds. Se poi nascerà davvero una formazione riformista, ha detto Mussi, è nelle cose che si formi un nuovo partito. Non so se traduco bene il suo pensiero, ma più o meno mi sembra questo: la sinistra Ds resta nel partito solo se se la maggioranza rinuncia all’idea del partito riformista o della federazione riformista. Se la maggioranza va avanti,ed è probabile che vada avanti, la sinistra ds esce. Cosa ne pensi?
Temo che non ci riescano: e che poi all’ultim’ora accettino l’operazione del “partito riformista”. Che incassino il colpo. Ad ogni modo, se quello che dice Mussi avviene davvero, lo considererei un fatto fortemente positivo. Aiuterebbe a mettere nome e cognome ai vari soggetti politici che stanno sulla scena. E’ molto importante la chiarezza. Io, per esempio, spesso ho delle critiche da fare a “Rifondazione”. Però penso che con “Rifondazione” si possa fare un cammino: è un partito che nella politica italiana oggi rappresenta un segnale, una scelta di campo che ha un contorno netto. Direi che in Italia mai come oggi abbiamo bisogno di programmi chiari, di opzioni qualificanti. Poi diventa più facile confrontarsi: e anche fare compromessi, se serve.
C’è il problema dei movimenti. Si dice: facciamo un’alleanza politica non solo tra i partiti ma anche con i movimenti. E’ un modo di dire un po’ generico. Sono anni che si dice così. Però se non si affrontano i problemi delle differenze genetiche che ci sono tra partiti e movimenti,e talvolta persino delle incompatibilità, si rischia di pestare acqua nel mortaio. Non vedi questo rischio? E quali sono le differenze genetiche tra partiti e movimenti? E come si possono superare, o aggirare, o far coesistere?
Il problema è il modo e la volontà con cui i movimenti sapranno misurarsi con le molteplici dimensioni della politica. Tu lo ricorderai: io sono stato e sono molto interessato alla loro vita. E tuttavia vedo un problema che loro non possono aggirare: come incidere sui poteri legittimi così come sono fissati in Costituzione. Io credo alle battaglie nel Paese, calati fra la gente - anche a livello “globale”- che i movimenti originali di questi anni hanno messo in campo. E tuttavia le lotte di classe e di popolo, per cambiare davvero l’Italia, hanno bisogno di incidere sui poteri che hanno dalla loro parte la legittimità e il sostegno dello Stato. Berlusconi oggi, purtroppo, ha nelle sue mani i poteri pubblici e la forza, l’autorità dello Stato. Come possono, devono agire i movimenti per togliere dalle sue mani queste leve? Non vedo in ciò, per nulla, una perdita e nemmeno uno smarrimento della natura creativa che i movimenti in tante occasioni hanno saputo mostrare. Anzi credo che solo con la loro iniziativa dal basso potremo sconfiggere figure come Bush, che hanno nelle loro mani e i danari e gli eserciti.
Torniamo al problema della riaggregazione della sinistra. Non hai paura che questo dibattito rischi di riprodurre un po’ la noiosissima discussione che da vari anni agita il centro sinistra: quali regole? Chi è il leader? E poi non si parla mai di politica…
Perché sei così sbrigativo su questa questione delle regole? Io non la penso così. Le regole sono importanti. Ti faccio un esempio. La Camera dei deputati in questi giorni ha preso una decisione secondo me grave e pericolosa. Ne abbiamo parlato su “Liberazione” nei giorni scorsi: la maggioranza berlusconiana ha cambiato in modo drastico la struttura del potere politico rispetto ai testi costituzionali. E’ la famigerata questione del premierato. Quel “premierato forte” (è singolare, è quasi divertente che abbiano voluto aggiungere quell’aggettivo: forte…) praticamente scardina i pilastri delle regole vigenti nel nostro paese: quelle regole che furono convalidate dalla grande lotta della Resistenza. Posso dirlo senza essere accusato di retorica? La Costituzione indica chiaramente tre livelli di potere. Il primo è il voto popolare, il secondo è il potere delle assemblee elettive, il terzo è il potere di tutela e di convalida che è assegnato al capo dello Stato. Dunque la Costituzione chiede esplicitamente- in modo direi clamoroso- che il potere pubblico sia articolato. Per più di mezzo secolo siamo stati attentissimi a impedire che potessero essere spostati questi equilibri. Lasciami ricordare una battaglia- addirittura esasperata! - che conducemmo contro una riforma del sistema elettorale, nel 1953: contro quella riforma che chiamammo “legge truffa”. A pensarci oggi quello era uno zuccherino, una modifica non certo sconvolgente…
Non era neppure una modifica della Costituzione, era solo una legge elettorale…
Sì: era una legge elettorale che toccava però uno degli elementi fondamentali del sistema: il modo in cui si forma l’assemblea elettiva. Quindi pur non essendo una modifica costituzionale, la sinistra decise che era una ferita insopportabile. E scatenò l’inferno per bloccarla. Vinse. Oggi quella legge truffa, di fronte alla riforma costituzionale di Berlusconi, sembra una bazzecola. Eppure – di fronte a ciò- in Italia sinora non c’è stato nessun putiferio. Non è successo quasi niente…
C’è stato uno scontro alla Camera…
Non direi esattamente uno scontro: direi una differenziazione. E poi basta. E non vedo attualmente una campagna contro questo mutamento radicale della Costituzione e quindi della democrazia italiana. Il “premierato forte” è un accentramento chiaro dei poteri nelle mani del premier, a scapito del capo dello Stato e del Parlamento. Berlusconi vuole questa dilatazione (incostituzionale) della sua potenza. Quanti in Italia sanno di questa vicenda, e di quanto essa può incidere sulla loro vita?
Quali sono secondo te i due o tre punti di programma sui quali la sinistra può riaggregarsi e può ritrovare una sua identità?
Ne vedo tre: la lotta contro la guerra, la questione del lavoro, la questione di genere, cioè il ruolo e il potere delle donne. Partiamo dalla guerra. C’è la terribile novità della guerra preventiva. E’ la novità introdotta in questo inizio di secolo dall’iniziativa dell’imperialismo americano. Ecco: non si tratta solo di battersi per arrestare la carneficina in Iraq. Bisogna riproporre nella coscienza popolare, e nella voce delle assemblee, la consapevolezza di ciò che rappresenta questa terribile innovazione nella vita di miliardi di persone. Non mi stancherò mai di insistere su questa definizione che ha dato Bush: guerra preventiva. Dunque cadono le vecchie coperture, e si indica chiaramente l’attacco armato come mezzo normale e autonomo per incidere sulla sistemazione del mondo e sulla vita dell’umanità.
Guarda a cosa è ridotta l’ONU, quell’organismo che – finita la guerra contro Hitler – alimentò tante nostre speranze… Secondo punto di programma: il lavoro. Dopo il crollo delle regole costruite nella parte felice del secolo passato, oggi il problema della certezza del lavoro e della tutela nel lavoro è drammatico. Ed è anche aggravato dall’irruzione dei diseredati del Terzo mondo. Dobbiamo prendere atto della sconfitta subita nell’ultimo decennio del Novecento da un soggetto che è stato fondamentale nella vita degli ultimi 100 anni: il sindacato, le sue basi di massa, la sua capacità di agire nel luogo di lavoro e di introdurre innovazioni forti nell’attività lavorativa. Stiamo parlando di una sconfitta cruciale, che ha mutato punti essenziali nel sistema delle relazioni sociali. Non possiamo dimenticare che l’ondata degli anni Sessanta e Settanta giunse - per esempio in Italia - a imporre un impegno pubblico che favoriva persino la “formazione” della capacità lavorativa. Cioè lo Stato - parola oggi maledetta - sorreggeva non solo la tutela dei lavoratori nella fabbrica, ma si poneva il problema di sostenere la loro vita fuori della fabbrica: si poneva il problema della crescita dei loro saperi; in fondo: della loro qualità di esseri umani e di cittadini. Su questi nodi c’è stata una sconfitta pesante: la primazia del lavoratore rispetto allo strapotere del capitale è stata pesantemente oscurata, e in Italia oggi viene persino offesa. Bisogna vedere come riproporre quel discorso e riaprire quelle battaglie.
E’ un nodo essenziale della modernità. Terzo punto, ma qui io so soltanto di sapere poco. Vedo spenta, o almeno offuscata, la scoperta più grande dell’ultimo mezzo secolo: la questione di genere. Una volta si diceva “questione femminile”. Oggi se ne parla pochissimo: sembra quasi uscita dal calendario di lotta del nostro Paese.
C’è anche un problema di identità della sinistra. Dal 1989, e cioè da 15 anni, ho l’impressione che la sinistra abbia perso la sua “identità forte”. Cioè che abbia perso la sua capacità “universalistica”, di presentarsi come una forza che ha un progetto per un mondo diverso. Non è così?
E’ vero. Però io vedo anche una novità che è proprio di questi ultimi anni: il pacifismo. Qui mi sembra che la tua affermazione sia troppo pessimista. Non coglie un aspetto: lo scatto, il balzo in avanti con cui milioni e milioni di persone hanno ripreso a ragionare sullo stato del mondo: sia per quanto riguarda i potenti- cioè quelli che hanno in mano il mondo - sia per la lettura nuova “dell’uccidere di massa” che è venuta avanti. Questa lettura e questa consapevolezza non c’erano una volta. Non dico ai tempi miei, quando ero giovinetto. Non c’erano neanche vent’anni fa. Dov’è la novità? Nel prendere in considerazione, come soggetti della vita collettiva, miliardi di persone. Certo: l’Africa è tuttora un punto oscuro del pianeta, e noi sappiamo pochissimo delle sofferenze, delle fratture e delle tragedie che scuotono quel continente. Però oggi un problema di globalità è squadernato davanti a tutti, e nessuno può più ignorarlo: è il terreno sul quale i movimenti hanno fatto più di ogni altro, e hanno effettivamente dischiuso orizzonti nuovi. Ci hanno sbattuto sul muso questioni decisivi per il futuro del mondo.
E’ possibile o no una alleanza organica tra una sinistra riaggregata e il centro riformista.Non si rischia l’incomunicabilità sul programma?
Mettiamo pure l’aggettivo riformista vicino alla parola centro, come fai tu. Però se guardo a forze come “La Margherita”, o come la maggioranza Ds, io penso che sia giusto parlare con schiettezza, e anche con rispetto, semplicemente di forze di centro. Aggiungere quell’altra parola - riformista - serve più che altro a fare confusione sui contenuti reali. Per avere un buon rapporto con quelle forze “centriste” bisogna chiamarle col loro nome vero e tenere ferma la differenza tra noi e loro. Senza nessun atteggiamento settario, ma per leggere le cose come sono. Posto questo, perché non dovrebbe essere possibile con esse un’alleanza? Perché uno schieramento di sinistra non si dovrebbe poter incontrare con una forza “centrista”, e contrattare forme di compromesso e di intesa? Il paragone può sembrare sballato, ma ai tempi famosi della lotta per la libertà noi siamo arrivati persino ad allearci con Badoglio…
Badoglio? Prodi come Badoglio?
(Ingrao ride): … beh, no, Prodi non è Badoglio, però l’esempio serve: certe volte per capirsi bene è utile estremizzare. Da che mondo è mondo la sinistra può tenere ferma la sua linea, e insieme fare compromessi che accrescano la forza dei lavoratori. E’ significativo e utile che “Rifondazione” e Bertinotti oggi abbiano una posizione politica diversa rispetto a quella che avevano nel ’98.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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