lunedì 15 novembre 2004

su L'Unità del 15. 11

a pagina 1 e 27:

ANCHE SE DIO NON ESISTESSE
Il fondamentalismo religioso sembra aver contagiato in modo grave la grande tradizione laica dell'Occidente
Da più parti sta nascendo una spinta verso l'identificazione della morale pubblica con la morale religiosa
di OMAR CALABRESE

Un amico mi ha fatto avere via Internet un'immagine che pare riscuotere un gran successo in questo momento negli Stati Uniti (ovviamente in ambienti liberal). Si tratta della Nuova Carta Geografica del Nord America. Vi si notano solo due stati, gli United States of Canada, composti dal Canada medesimo e dalle due coste degli Usa, e Jesusland, che comprende le regioni che hanno votato per Bush. Si tratta di una vignetta satirica, è vero, ma questa vignetta interpreta meglio di molti dotti articoli lo spirito del tempo nella nostra cultura. Il fondamentalismo religioso - che credevamo confinato ai Paesi con forte giurisdizione teocratica - sembra infatti aver contagiato in modo serio (e, dico io, grave) la grande tradizione laica dell'Occidente. Le elezioni americane (ma, in piccolo, anche la precedente bocciatura dell'on. Rocco Buttiglione come commissario alla giustizia da parte del Parlamento Europeo per via di dichiarazioni integraliste) hanno provocato un dibattito sulla questione del rapporto fra laicismo e confessionalismo in politica che non conoscevamo da molti anni. Si tratta, però, di una discussione davvero paradossale. Chi cerca nella religione cristiana un paravento o un appoggio ideologico per una presunta battaglia sul ripristino dei "valori" perduti pare aver dimenticato proprio il meglio della civiltà cristiana delle origini, bizzarro che un laico come me provi a rammentarla, e tuttavia umilmente voglio provarci.
Cominciamo dalle fondamenta, e domandiamoci quale sia il significato della parola "laico", da dove provenga, e perché sia così rilevante per la concezione stessa dello Stato. Etimologicamente, l'origine è semplice. Il termine deriva dal greco (làos) e vuol dire «appartenente al popolo». L'autore che, forse, lo ha utilizzato per primo è Quinto Settimio Fiorente Tertulliano, il grande apologeta cristiano vissuto all'incirca fra il 160 e il 240 dopo Cristo, e considerato come un maestro nientemeno che da S. Agostino un paio di secoli dopo. Tuttavia, molto presto la Chiesa impiegò la parola per indicare i fedeli generici, in contrapposizione ai chierici, cioè coloro che prendevano la strada del sacerdozio. Solo a partire dall'umanesimo la differenza si fa più marcata, e laico è colui che non necessariamente appartiene alla Chiesa. Nell'Ottocento, poi, l'aggettivo assume un carattere quasi polemico, opposto a clericale, e qualifica chiunque abbia una concezione liberale del diritto: i valori della legge e della cosa pubblica devono essere separati da quelli della fede, per garantire la convivenza, la tolleranza, la coesione sociale. Le vicende della formazione degli stati nazionali europei moderni acuirono quella separazione, e la trasformarono in aperto conflitto, tanto è vero che per molto tempo la Chiesa negò ai cattolici la possibilità medesima di occuparsi di politica.
Il punto, insomma, sta tutto qui: le democrazie occidentali sono fondate sul principio della laicità dello Stato in quanto garanzia di uguaglianza fra tutti i cittadini; l'equità e la giustizia devono essere accolte come valide per tutti "etsi Deus non existet" (anche se Dio non esistesse). Si tratta di un concetto che le religioni, non solo quelle cristiane, accettano più o meno malvolentieri. In ambiente islamico, ad esempio, il rifiuto è pressoché totale. In Israele il modello è quello liberale, ma le spinte confessionali sono fortissime, tanto è vero che si contano numerosi partiti religiosi in Parlamento. In Europa, l'atteggiamento è stato sempre un po' più pragmatico, e i molti partiti cristiani esistenti accettano la formula della «libera Chiesa in libero Stato», limitandosi a contrastare l'approvazione di leggi in aperto dissidio con la morale ecclesiastica, ma non oltrepassando di solito i limiti della dissuasione. Il che è persino ovvio: un diritto riconosciuto (come può essere il divorzio o l'aborto) non obbliga affatto il credente a praticarne l'esecuzione.
Veniamo, così, ad una riflessione sui fatti di oggi, che costituiscono a mio avviso un segnale di mutamento più grave di quanto sembri. Il fatto è che da più parti sta nascendo una spinta verso l'identificazione della morale con la morale religiosa. Una traccia la si può cogliere, ad esempio, nella pressante richiesta di inserire nella Costituzione Europea il riferimento alle radici cristiane. Un'altra può essere il testo della legge sulla fecondazione assistita approvato dal Parlamento italiano. Non voglio entrare nel merito della correttezza di simili posizioni. I credenti hanno il pieno diritto di esprimere quelli che giudicano i principi irrinunciabili della lorofede. C'è tuttavia un problema. Siamo proprio sicuri che l'identificazione toutcourt della morale pubblica con quella confessionale sia una garanzia per quest'ultima? Credo francamente di no. Se, ad esempio, un giorno la maggioranza dei cittadini diventasse islamica, scintoista, animista che cosa succederebbe del diritto e di quei medesimi cittadini appartenenti ad altre fedi? Ho l'impressione che si moltiplicherebbero le guerre di religione.
E' questa, forse, una posizione strettamente "laicista"? Ebbene, tutto l'opposto. Le sue basi sono state scritte proprio da quel Tertulliano che ho citatoprima, e nel suo testo più famoso, l'Apologetico. Il libro è un'appassionata difesa del cristianesimo dalle false accuse dei Romani (idolatria, rituali sconvenienti, persino cannibalismo), e si conclude con osservazioni sui rapporti fra lo Stato e la Chiesa. Quel che preoccupava davvero la corte imperiale, infatti, era la disobbedienza dei cristiani alla legge comune. Tertulliano rivendica invece il diritto di disobbedire solo a quelle norme che contrastano con i comandamenti, separando insomma lui per primo fede e Stato.
In un'opera successiva, il De corona, anticipa il mondo moderno in maniera impressionante: inventa addirittura l'obiezione di coscienza, rifiutando pe ril cristiano l'obbligo della leva militare in virtù dell'imperativo di non uccidere. Siamo nell'anno 211 dopo Cristo! E' vero che Tertulliano morì poi eretico e dogmatico, ma resta il fatto che ha elaborato idee fondamentali sulla libera convivenza di credenti e non credenti. Possibile che milleottocento anni dopo si debbano compiere dei passi all'indietro così marcati? Molto meglio sarebbe ridefinire insieme, laici e religiosi, i nuovi fondamenti di un'etica condivisa: una sorta di massimo comun denominatore. Il prezzo, altrimenti, è troppo alto da pagare, è la democrazia medesima, e con la ipocrita scusa di ripristinare un "sistema di valori" che è invece ideologia pura.


stessa pagina (e del tutto off topic):

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di Luigi Cancrini