domenica 12 dicembre 2004

Giuliano Zincone:
i nonni ed il comunismo

Corriere della Sera 12.12.04
Luogo Comune
Lenin, Stalin e i «nonni buoni»: quegli eredi smentiti dalla Storia
di GIULIANO ZINCONE

Il nonno che avevi tanto amato è morto da un pezzo. E adesso tante lettere e tante testimonianze inoppugnabili ti rivelano che lui era un ubriacone manesco, un uomo egoista e crudele. Come reagisci? Forse ti disperi e vuoi dimenticarlo. O forse ti costringi a pensare che i documenti siano falsi. Poi dirai: «Era mio nonno, gli volevo bene e niente me lo strapperà dal cuore». Ciò è normale. Alessandra Mussolini, per esempio, è una «fascista di sinistra», ma guai a toccarle il nonno Benito. Malgrado le sue colpe, i suoi delitti e i suoi fallimenti, il Duce rimane un idolo, per lei e per i suoi seguaci che, votandola, rischieranno di consegnare la vittoria agli avversari nelle prossime elezioni regionali. Il culto dei nonni politici è diffuso in ogni schieramento, ma è clamoroso tra i comunisti variamente convertiti. Essi condannano i crimini del cosiddetto «socialismo reale», che attribuiscono esclusivamente allo «stalinismo». E continuano a credere che il boia Stalin tradì le generose direttive di Lenin. Il bisnonno che si chiama Comunismo, insomma, merita ancora devozione. Poi vennero due nonni. Uno buono (Lenin) e uno cattivo (Stalin). Davvero? Certo, Stalin scatenò contro il suo popolo persecuzioni micidiali, ma seguì alla lettera le teorie (gli ordini) di Lenin. Leggiamo quel che scriveva il «nonno buono».
«Abbiamo in ostaggio centinaia di socialisti-rivoluzionari di sinistra. È indispensabile schiacciare dappertutto senza pietà questi miserabili e isterici avventurieri. Siate dunque implacabili contro di loro» (telegramma di Lenin a Stalin, 1918). Poi passiamo alla strage dei kulaki (piccoli proprietari terrieri, in gran parte coltivatori diretti). «La lotta contro i kulaki è la lotta finale, decisiva. Guerra implacabile contro questi kulaki! A Morte! Odio e disprezzo per i partiti che li difendono: per i socialisti-rivoluzionari di destra, per i menscevichi e per gli attuali socialisti-rivoluzionari di sinistra» (1918). Si parla spesso del terrorismo di Stato. Eccone un esempio: «Instaurare subito il terrore di massa... Deportazione di massa dei menscevichi e degli elementi infidi» (telegramma di Lenin al Soviet di Nizni-Novgorod, 1918). «Occorre schiacciare implacabilmente i vampiri kulaki» (telegramma di Lenin al Comitato esecutivo di Zadonsk).
Di fronte a queste testimonianze, gli innamorati del «nonno buono» rispondono in due modi: a) «Lenin faceva la Rivoluzione, che non era un banchetto di gala, ma una dura battaglia». b) «Certo, ci furono eccessi, ma Lui non ne fu responsabile». Ma come? Nel 1918 la vittoria è già in cassaforte, e Lenin continua a impartire strategie crudeli. «La (nostra, ndr) dittatura è un potere che poggia direttamente sulla violenza e non è vincolato da alcuna legge». «Il terrore e la Ceka (feroce polizia segreta, ndr) sono cose assolutamente indispensabili» (VII Congresso dei Soviet, dicembre 1919). «Questa dittatura presuppone l’uso implacabilmente duro, rapido e deciso della violenza... La fucilazione: ecco la giusta sorte dei vili in guerra» (1919). Ovviamente, Lenin non parla del conflitto mondiale, ma della guerra contro i suoi sudditi. E la giustizia? Ecco la ricetta leninista: «Il tribunale non deve eliminare il terrore... Bisogna giustificarlo e legittimarlo sul piano dei principi» (1922). Insomma: il «nonno cattivo» Stalin si limitò ad applicare (esagerando?) i comandamenti che gli consegnò il «nonno buono». Sarebbe ora che tutti gli eredi si rendessero conto che il Comunismo bisnonno fu un’immensa fontana di delitti e di umiliazioni collettive. Non c’è proprio niente da rifondare, caro Bertinotti. Anzi, sarebbe urgente togliere dalla bandiera del suo partito la falce&martello, odiosa quanto la svastica, per tanti popoli europei oppressi dai comunisti. No, compagni: tutti i nonni sono morti e non è giusto rimpiangerli. Pensiamo ai nostri nipoti, piuttosto.