Dedicato a Rosa Luxemburg
"La rosa e le spine", un convegno oggi a Napoli dal Forum donne del Prc
«Nel buio sorrido alla vita»
La febbrile vitalità, la capacità di reagire alle situazioni più difficili, la fiducia, tutta laica e "materialistica", nella possibilità del riscatto finale dell'umanità
L'attualità di Rosa Luxemburg
di Rina Gagliardi
Un convegno-seminario su Rosa Luxemburg? E perchè? Non c'è alcun anniversario, quest'oggi, da celebrare. Non ci sono neppure circostanze particolari che "giustifichino" la giornata di discussione che si terrà quest'oggi a Napoli, la rosa e le spine, promossa dal Forum delle donne del Prc, dall'ateneo Federico II, dall'associazione Transform. E dunque? Dunque, c'è semplicemente la voglia di fare i conti con una figura straordinaria del '900: una «ebrea polacca», come scrisse Bertolt Brecht, «che combatté per i lavoratori tedeschi». Una donna che morì sulle barricate, nel 1919, durante lo sfortunato moto insurrezionale spartachista e che, troppo spesso, è stata ricordata solo come «martire», eroina sconfitta, icona. Ma proprio questa donna, questa intellettuale cosmopolita che visse sul crinale tra Otto e Novecento, questa rivoluzionaria intransigente che gli avversari del tempo rappresentarono come «Rosa la sanguinaria», fu anche e soprattutto il «miglior cervello» marxiano del suo tempo: «un'aquila», come ebbe a scrivere Vladimir I. Lenin, in un saggio pur ampiamente polemico che raccomandava alle generazioni future «la lettura e lo studio» delle sue opere complete. Può oggi quest'aquila dirci ancora qualcosa di importante e di utile, a noi, s'intende, che non abbiamo smesso di pensare alla grande trasformazione del mondo? Possiamo provare a riannodare i fili - rimasti troppo a lungo spezzati - di un'eredità rivoluzionaria che abbia finalmente al suo centro l'alternativa sociale, ciò che lei chiamava Umwaelzung, rivoluzionamento profondo di tutti i rapporti indotti dal dominio e dall'egemonia "borghese"? E ritrovare qualche radice della nostra attuale lotta per la pace nelle sue analisi e nella sua lotta contro il militarismo e la guerra?
Noi, appunto, anche quelli di noi che più hanno amato, letto e discusso Rosa Luxemburg, non siamo luxemburghiani - non cerchiamo nuove (e nel caso specifico insostenibili) ortodossie. Noi siamo mossi e motivati, una volta di più, da quel bisogno di rammemorazione - del passato e delle sue sconfitte - di cui parlava Walter Benjamin.
Socialismo o barbarie
«... E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi un qualche segreto magico che sbugiarda tutto il cattivo e triste e lo trasforma in chiarità e felicità. E io stessa cerco la causa di questa gioia, ma non trovo niente, e di nuovo non posso che sorridere di me stessa. Credo che il segreto non sia altro che la vita stessa...». Per capire la singolare personalità di Rosa Luxemburg, questo brano di una lettera famosa (scritta nel dicembre del 1917 dal carcere di Breslavia, dove stava scontando il suo terzo anno consecutivo di prigionia), può essere più utile di tanti articoli di analisi o battaglia politica: c'è qui la sua febbrile vitalità, la sua capacità di reagire alle situazioni più difficili o apparentemente perdute, e quella sua fiducia, tutta laica e "materialistica", nella possibilità del riscatto finale dell'umanità, che non ha nulla a che fare con l'ottimismo - neanche con l'ottimismo della volontà. Nonostante tutto, è la conclusione di quella lettera. Nonostante la morte, il sangue e le sofferenze (anche del «fratello bufalo») che la guerra sta producendo. Nonostante il revisionismo, la disfatta degli eserciti proletari. Nonostante la coazione carceraria. Tentare di rovesciare il corso degli eventi, provare a produrre da soli un nuovo corso della storia, anche se l'esito è sempre incerto, è sempre possibile: è una "necessità".
Certo, questi sono, per Rosa, gli anni più terribili della sua vita. La guerra mondiale imperversa, produce devastazioni e carneficine di massa, brucia «la meglio gioventù» operaia sui campi d'Europa. Ma, soprattutto, il movimento socialista ha ceduto di schianto: ha abbracciato in ogni singolo Paese la causa della «guerra patriottica», venendo meno ai solenni impegni internazionalisti e pacifisti fino ad allora sottoscritti. Per Rosa Luxemburg - che aveva visto con molti anni d'anticipo la natura struttturale del riarmo imperialista ed era stata incarcerata, nel 1913, per la sua propaganda attiva contro il militarismo e la guerra - il tradimento socialdemocratico è una delusione drammatica, un trauma politico ed esistenziale: quel 4 agosto 1914, nel quale i socialisti tedeschi votano a favore dei crediti di guerra, diventa perciò un tournant della storia. «Questa guerra», scriverà nel saggio La crisi della socialdemocrazia, «è già in sé la sconfitta del proletariato mondiale. Questa guerra «è la barbarie»: è la manifestazione dispiegata di un aut aut che il capitalismo cova da decenni nel suo seno, a dispetto dell'esplosione di progresso di fine Ottocento: socialismo o barbarie, appunto. Guerra o rivoluzione. Regresso o percorso verso il socialismo.
Una persona "intera"
Nel marxismo creativo e antidogmatico di Rosa Luxemburg, dunque, la tensione rivoluzionaria nasce dalla disillusione "riformista", dalla persuasione analitica (perfino "scientifica") che il modo di produzione capitalistico non è correggibile, non è riformabile, perchè non incarna più una civiltà davvero progressiva. Dunque, si diventa rivoluzionari, come lei è diventata, non per pura vocazione soggettiva o un qualche "fuoco" messianico, ma in virtù di un rapporto positivo col mondo, con le persone, con la natura - sulla base di un'istanza di nuova civiltà, il socialismo. In questo senso (e solo in questo senso), lei fu una intellettuale organica che però non ebbe alcun bisogno di "tradire" la sua classe d'origine. Ebbe un'infanzia e un'adolescenza felici, in una famiglia affettuosa ed aperta, fu una "prima della classe", divenne una "migrante politica": una che stava a proprio agio «dovunque ci fossero nuvole» e lotte politiche. Una persona «intera» nella quale non è lecito separare più di tanto il pubblico dal privato (ho una maledetta voglia di essere felice scrive al suo compagno, Leo Jogiches, mentre si sta organizzando la fondazione della nuova socialdemocrazia polacca) - così come l'etica dalla politica, l'idea di sé dall'idea dell'Altro. In virtù di questa intierezza, Rosa Luxemburg non fugge da Berlino, nel momento in cui la sconfitta della rivoluzione si profila con nettezza all'orizzonte: non è una scelta eroica, non è voluttà di sacrificio. E', quasi all'opposto, l'impossibilità di separare la propria sorte personale da un evento - la rivoluzione pur immatura - che si è contribuito comunque a produrre. E' ubbidienza ad una responsabilità tutta terrena e terrestre, rigorosamente antiidealistica: chi salvaguarda se stesso, la propria sopravvivenza ad una temperie rivoluzionaria, non confessa in fondo di custodire nella propria persona un "messaggio" capace di attraversare i tempi e i contesti? Rosa Luxemburg fu, come tutta la sua vita ha testimoniato, una rivoluzionaria e una pacifista senza se e senza ma. Ma visse sempre la sua vita di partito con un sottile e permanente disagio: «Come lei sa, spero di morire sulle barricate» scrive in un'altra nota lettera. «Ma in cuor mio sento di appartenere più alle cinciallegre che non ai compagni». Fu proprio, come scrisse Paul Froelich, una candela che brucia dalle sue parti.
Rina Gagliardi