Oltre all'articolo dalla Stampa che pubblichiamo di seguito, segnaliamo anche, fra numerosi altri, quello di Nello Ajello su Repubblica (Garin, maestro umanista) e quello di Armando Torno sul Corsera (ndr).
La Stampa 30 Dicembre 2004
SCOMPARSO A 95 ANNI IL GRANDE STUDIOSO: INSIEME AD ABBAGNANO È STATO UNO DEGLI INNOVATORI DELLA METODOLOGIA STORIOGRAFICA
Negli anni del dopoguerra si cercava di rinnovare il nostro pensiero aprendosi soprattutto alla scuola anglosassone
Lui tentò invece sulla linea di Gramsci di ricollegarsi
alla tradizione, dall’umanesimo a Vico, da Croce a Gentile
Ricostruire il pensiero dei maestri del Medioevo
e del Rinascimento significava rinnovare l’idea stessa di filosofia
Eugenio Garin era nato a Rieti nel 1909. Laureato nel 1929 con Limentani, aveva insegnato Filosofia morale e Storia della filosofia all'Università di Cagliari e Firenze; dal '74 all'84 aveva insegnato Storia del pensiero del Rinascimento presso la Scuola Normale di Pisa. Garin era uno dei massimi studiosi dell'umanesimo italiano. Pur sostenendo la novità della letteratura morale e civile dell'Umanesimo, Garin respingeva con decisione la tesi ottocentesca che vedeva nella modernità laica del Rinascimento una negazione dei valori religiosi del Medioevo. Anzi, sottolineava con forza la continuità tra le due epoche storiche. Ammiratore di Croce, di Gramsci, pensava alla filosofia come un «sapere storico» (titolo di un suo famoso saggio del ‘59).
Garin ha curato le edizioni degli scritti di Pico della Mirandola e di Leon Battista Alberti.
Tra le opere più importanti della sua lunga carriera, Giovanni Pico della Mirandola (Firenze, 1937); Il Rinascimento italiano (Milano, 1941); L'Illuminismo inglese. I moralisti (Milano, 1941); Dal Medioevo al Rinascimento (Firenze, 1950); L'Umanesimo italiano. Filosofia e vita civile nel Rinascimento (Bari, 1952); Medioevo e Rinascimento (Bari, 1954); La cultura filosofica del Rinascimento italiano (Bari, 1961); Scienza e vita civile nel Rinascimento italiano (Bari,1965), Dal Rinascimento all'Illuminismo: studi e ricerche (Pisa, 1970); L'uomo del Rinascimento (Torino, 1989).
Eugenio Garin è stato autore anche di una Storia della Filosofia (uscita per la prima volta nel 1947, poi più volte ristampata e ampliata) in cui ha individuato una specificità del pensiero italiano, dalla crisi della latinità e dall’eredità medievale fino all’idealismo di Croce e Gentile.
La sua passione intellettuale, vissuta nel segno dell'antifascismo, lo portò a realizzare nel 1974 anche un libro su L'intellettuale italiano del XX secolo. Tra gli ultimi contributi di cultura «militante» nel 1997 il libro Intervista sull'intellettuale a cura di Mario Ajello.
di Gianni Vattimo
NON è forse un semplice caso che uno degli ultimi lavori di Eugenio Garin, uscito nel 1991, sia l'ampia e, in molti sensi, appassionata introduzione all'edizione Garzanti delle Opere filosofiche di Giovanni Gentile. In molti sensi, queste pagine sono un fedele autoritratto del professore fiorentino, della sua formazione nella cultura filosofica italiana dei primi decenni del Novecento, del suo insegnamento negli anni successivi alla seconda guerra mondiale e anche della sua presenza politica nelle vicende della sinistra italiana di quell'epoca. Persino il fatto che proprio Garin si sia assunto il compito di curare una ampia silloge delle opera maggiori di Gentile in anni in cui, nonostante lo scarto temporale, il fondatore dell'attualismo era ancora marcato dalla sua adesione al fascismo e dalla estrema avventura con la Repubblica Sociale (alla quale aveva aderito per una sorta di volontà di coerenza nel momento in cui le cose volgevano decisamente al peggio), è denso di significato per la ricostruzione della portata del suo insegnamento nella cultura italiana.
Garin era stato infatti, negli anni Cinquanta del secolo, una sorta di mentore del gramscismo italiano, vicino a Togliatti e al suo progetto di preparare il rinnovamento della società italiana attraverso un riconoscimento della continuità con la cultura passata del nostro paese. Ora, un tale proposito, sia pure spinto all'estremo di vedere nel pensiero italiano dell'Ottocento (Rosmini, Gioberti) una anticipazione dell'idealismo hegeliano, era stato proprio uno dei punti fondamentali del programma filosofico di Gentile.
In qualche modo, Garin da un lato ereditava tale programma, naturalmente trasformato in senso radicale ma non del tutto sfigurato; e occupandosi di ripresentare alla cultura italiana le opere di Gentile attuava questo stesso programma proprio nei confronti del suo autore. Così concludeva infatti l'introduzione citata: «Attraverso Gentile, la cultura italiana sperimentò in forme proprie e originali la crisi profonda del pensiero europeo tra Ottocento e Novecento… Con i limiti propri della tradizione nazionale: dalla retorica “eredità umanistica” a innegabili chiusure nei confronti delle scienze e del progresso tecnologico… Ciò non toglie che sul piano del pensiero filosofico l'Italia si aprì molto presto, e più di altri grandi paesi europei, a Hegel, e proprio con Gentile.. a cogliere l'importanza del nesso Hegel-Marx e della “filosofia della prassi”».
Non è riduttivo vedere nel lavoro di Eugenio Garin, caratterizzato da un prevalente interesse per la storiografia di alcuni grandi periodi della filosofia occidentale, l'attuazione, potremmo dire secolarizzata e spogliata delle sue implicazioni metafisiche, di questo programma «gentiliano». Che, negli anni della ricostruzione italiana del dopoguerra, si colorava di importanti connotazioni politiche, alle quali Garin rimase fedele per tutto il resto della sua vita, anche con minore interesse per la filosofia militante e per la politica in senso stretto. Aveva avuto una parte importante nel grande convegno gramsciano del 1956 a Firenze e nel dibattito che vi fece seguito (di cui dà conto in modo analitico e documentatissimo Giovanni Fornero nel volume IV, 2 della Storia della filosofia di Abbagnano, edizione Utet). Contro alle tendenze che, anche nella cultura di sinistra, tendevano a cercare un rinnovamento della filosofia italiana aprendosi soprattutto agli autori e alle scuole anglosassoni (uno dei principali esponenti di questa tendenza era Giulio Preti, suo collega a Firenze negli stessi anni), Garin - che pure non osteggiò mai queste aperture - sottolineava piuttosto la necessità di ricollegarsi, del resto sulla linea di Gramsci, alla tradizione del pensiero italiano, dall'umanesimo a Vico a De Sanctis, Labriola, Croce e allo stesso Gentile. Non è difficile vedere in questo proposito, oltre all'influenza di Gramsci, anche il parallelo del programma togliattiano di realizzare la trasformazione comunista in Italia come una prosecuzione e compimento del Risorgimento.
Con i suoi studi sul pensiero rinascimentale, in polemica contro le troppe semplificazione immanentistiche e antireligiose che vedevano il Rinascimento come il puro e semplice rovesciamento della religiosità medievale, Garin aveva già insegnato a vedere la continuità tra gli inizi del pensiero moderno, e della stessa scienza, e l'eredità del tardo Medio Evo. Una continuità che, da storico «filologo» quale fu sempre, egli riconosceva al di fuori di ogni presupposto storicistico, come quelli che gravavano sulle prospettive storiografiche delle scuole crociana e gentiliana, tutte protese a cercare «ciò che è vivo e ciò che è morto» nei pensatori del passato, o a documentare precorrimenti di posizioni attuali considerate vere.
Anche sul piano della metodologia storiografica in filosofia, Garin fu, insieme a Nicola Abbagnano e a pochi altri, un innovatore che segna anche oggi questa disciplina nelle nostre università. Ma, ancora una volta riprendendo in modo critico e originale la lezione di Croce e di Gentile, il lavoro storiografico fu sempre, per lui, anche lavoro «teorico». Ricostruire il pensiero del Rinascimento significava infatti anche rinnovare l'idea di filosofia, che i grandi autori di quell'epoca avevano esercitato come riflessione su concrete esperienze individuali e sociali, per cui filosofare finiva per identificarsi con la costruzione di una interpretazione coerente della propria esperienza nel concreto momento storico, con riflessi decisivi sull'etica: ci sono qui, ancora una volta, elementi significativi dell'eredità di Croce (la filosofia come metodologia della storia) e di Gentile (la filosofia come «prassi»).
Si osserverà che forse Garin è troppo pensatore «italiano» per lasciarci una eredità spendibile nella cosmopoli postmoderna. Ma in realtà, molti degli sviluppi recenti della cultura filosofica di derivazione anglosassone stanno scoprendo proprio, magari attraverso la riconsiderazione di Hegel, l'importanza di questi elementi. Noi ci eravamo già «aperti» ad essi, e anche per merito precipuo di Eugenio Garin.