giovedì 30 dicembre 2004

Petrarca

Repubblica 30.12.04
LUCI E OMBRE NEL BILANCIO DEL SETTIMO CENTENARIO
il Petrarca celebrato e quello dimenticato
Bisogna ancora aspettare per l'edizione nazionale
di GIUSEPPE LEONELLI

L'anno del centenario è finito con lo sciamare di studiosi di varie nazionalità verso Roma, la città che a suo tempo Francesco Petrarca aveva preferito a Parigi nell'accettazione della laurea poetica e che gli ha dedicato un convegno, «Petrarca e Roma», tenutosi dal 3 al 5 dicembre. Una delle ultime, questo incontro, di una serie di occasioni celebrative, fra le quali anche mostre di prezioso materiale medievale, che hanno visto redivivi clerici vagantes spostarsi da Tours a Barcellona, puntare su Firenze ed Arezzo, scendere fino a Napoli e Siracusa, risalire a Bologna, Padova e Trieste. Era prevista anche una puntata in America, poi non effettuata. Non è, quest'elenco di sedi europee, l'unica controprova, qualora ce ne fosse bisogno, dell'internazionalità della fama di Petrarca e del carattere cosmopolita della sua opera. Sul piano editoriale, quel che più conta, spiccano recentissime iniziative bibliografiche di grande importanza.
Nell'imminenza del centenario, in Francia l'interesse s'è concentrato sul Petrarca epistolografo, al quale sono state dedicate nella celebre collezione «Les belles lettres» vari volumi di Familiares e Seniles, un settore di grande rilievo, solo apparentemente collaterale rispetto alle Rime sparse. Il testo latino e la traduzione francese sono corredati da un ampio commento di Ugo Dotti. Si aggiunge la pubblicazione, da parte dell'editore Millon di Grenoble, di testo, traduzione e commento del De otio religioso e del De remediis utriusque fortunae, mentre in Germania sono uscite le Epistolae metricae, molto bene annotate, la cui ultima edizione risaliva ai primi del Novecento.
L'Inghilterra, da parte sua, ha proposto le Invectivae e il grosso volume di Joseph Burney Trapp, Studies of Petrarch and his Influence, pubblicato a Londra. Da segnalare infine due importanti iniziative che vengono dall'oriente: la traduzione cinese del Canzoniere, a cura di Li Guoqing, e quella giapponese dei Trionfi, dovuta a Kiyoshi Ikeda.
E l'Italia che cosa ha fatto, convegni e mostre a parte, per ricordare degnamente il suo poeta? Fra poche settimane, sarà disponibile quella che possiamo considerare una delle gemme di questa attività di studio, il nuovo commento al Canzoniere curato, per Einaudi, da Rosanna Bettarini, già presentato ai lettori della Repubblica, mentre è uscita proprio quest'anno la seconda edizione del Meridiano Mondadori dedicato alle rime, per le cure, aggiornate nella parte bibliografica, di Marco Santagata. L'editore Donzelli riconfeziona il commento di Ugo Dotti intestandolo al centenario e lo ripropone al lettore.
Vanno poi sottolineati i Saggi petrarcheschi, di Enrico Fenzi (Fiesole, Cadmo, 2003), il volume sesto della rivista Critica del testo, che raccoglie gli atti di un convegno, «L'Io lirico: Francesco Petrarca. Radiografia dei Rerum vulgarium fragmenta», tenutosi alla Sapienza, l'unico contributo, sottolinea nella premessa Roberto Antonelli, «dedicato esclusivamente ai Rerum vulgarium fragmenta nel ricchissimo panorama di celebrazioni previste» e soprattutto, il bellissimo Petrarca. Lezioni e saggi di Natalino Sapegno, curato da Giulia Radin, con introduzione di Pasquale Stoppelli, per l'editore Aragno, che raccoglie corsi universitari e altri scritti dispersi del grande italianista. È da poco in libreria un libro che Petrarca non ha mai scritto, almeno nella forma in cui viene proposto al lettore. Si tratta di Lettere dall'inquietudine, a cura di Loredana Chines (Carocci, pagg. 319, Euro 19,80), un'opera filologicamente testata, corredata di un apparato esegetico sobrio e funzionale, che assembla passi tratti dalle epistole: ne risulta un ritratto suggestivo del poeta, una sorta di Petrarca par lui-même, dedicato a un pubblico non di soli specialisti. Chi si fosse aspettato qualche contributo editoriale da parte del Comitato per l'Edizione Nazionale delle opere di Francesco Petrarca, attualmente presieduto da Michele Feo, dovrà pazientare ancora. L'ultima opera, delle quattro uscite in cent'anni, è stata licenziata nel 1964, prima o poi uscirà la prossima.
Di quest'autunno è un curioso libro di Amedeo Quondam, Petrarca, l'italiano dimenticato (Rizzoli, pagg. 276, Euro 15,50) su cui vale la pena di soffermarsi un po'. Potremmo definirlo, e credo che l'autore sarebbe d'accordo, un saggio di petrarchismo militante. Petrarca è, sostiene Quondam, lo scrittore che ha dominato il canone letterario italiano, con forti riflessi anche all'estero, per almeno tre secoli, quelli del cosiddetto classicismo d'Antico regime. Il periodo sarebbe in seguito stato identificato, secondo un modello storiografico, oggi totalmente superato, fornito dal Sismondi e rielaborato e rilanciato dal De Sanctis nella Storia della letteratura italiana, come l'epoca della finis Italiae, della decadenza morale, civile, politica, artistica e letteraria della nostra nazione. Questo ha fatto sì che scrittori di prima grandezza come Marino, Metastasio e Monti siano stati considerati secondari, quando non spregiati come "poeti del consenso", ma soprattutto che ci sia stata, a partire dalla fine del Settecento, una progressiva polarizzazione dell'interesse verso la figura di Dante, con forte ridimensionamento, nella nostra cultura, della centralità di Petrarca, fino a pochi anni prima ancora considerato princeps, padre della poesia e della lingua letteraria. È il prevalere, commenta Quondam, di un'idea eteronoma di letteratura, «fondata sul contenuto e sulla sua funzione civile», oggi assolutamente non proponibile, contro «l'autonomia della letteratura (e dell'arte) e delle sue forme».
Si può consentire a quest'appassionata diagnosi? Forse sì, almeno nelle sue linee generali e soprattutto se pensiamo che il risultato del recente e specioso culto di Dante esecrato da Quondam, lungi dal compensare la scarsa presenza del poeta nel laboratorio di buona parte della nostra poesia, ce lo restituisce in formato Italietta, sostanzialmente utilizzabile solo per la retorica, i monumenti e il conio delle monete