venerdì 28 gennaio 2005

embrioni

Repubblica 28.1.05
L'inizio della vita secondo la Chiesa
CORRADO AUGIAS

Caro Augias, l'embrione è una persona, non è una muffa. Un concetto «alto», senza dubbio, quello espresso di recente dal presidente del Senato. Premesso che ognuno può avere la sua opinione (anche se chi rappresenta un'istituzione dovrebbe forse mantenere un profilo neutrale in quella che è diventata una battaglia politica), vorrei far sapere al presidente Pera, che per la scienza l'embrione non è considerato una persona fin dal concepimento. Per questo trovo aberrante la nuova legge sulla fecondazione assistita. Oltre a non poter congelare gli embrioni, ora è possibile fecondare solo tre ovociti che devono poi essere tutti impiantati. Un numero fisso che non incontra le esigenze di donne diverse: per una donna con più di 38 anni tre ovociti potrebbero essere pochi, ma per una più giovane potrebbero essere troppi e quindi comportare una gravidanza gemellare, indubbiamente più a rischio. E' certo difficile dare un giudizio imparziale su questa legge 40 ed è giusto che ciascuno di noi dichiari senza ipocrisie la propria cultura di provenienza. Ebbene, io rivendico la mia appartenenza laica. Per questo mi sento offesa da una legge che riflette solo il punto di vista della morale cattolica, mentre il pensiero laico avrebbe privilegiato la strada della convivenza umanistica tra più etiche differenti. Laura delle Donne, Roma
In questa lunga e delicata questione degli embrioni un aspetto non è stato sufficientemente discusso ed è il seguente: la posizione della Chiesa che vuole l'embrione "persona" titolare di diritti fin dai primi istanti da dove proviene? La chiesa infatti fa coincidere fecondazione e «animazione», un punto di vista più di fede che realmente scientifico. La scienza, più possibilista, sottolinea invece la gradualità dello sviluppo di un embrione, i vari stadi che le cellule fecondate attraversano, giudica che la sua potenzialità evolutiva non sia un dato sufficiente per attribuirgli subito diritti personali. Da dove la chiesa ricava il suo dettato? Un libro che all'apparenza riguarda altro, ci aiuta a rispondere. Nel saggio «Battesimi forzati» (Viella ed.) Marina Caffiero dedica un capitolo a "Il feto come non nato". Accadeva talvolta che qualche ebreo convertito al cattolicesimo offrisse anche la conversione dei suoi congiunti ("oblazione") compresa una figlia o nipote incinta. L'atteggiamento della chiesa in quei casi era di rifiutare il battesimo del feto «ventris pregnantis» cioè ancora nel corpo della madre. La Caffiero racconta come l'assessore del Sant'Uffizio autorevolmente argomentasse questo rifiuto «derivante da assioma filosofico, sulla base di S. Agostino e di S. Tommaso, e dal consenso dei giuristi secondo cui il feto doveva ritenersi parte del corpo della stessa madre, dunque non autonomo da quella ma totalmente subordinato».
Il libro non dice quando questa giurisprudenza è cambiata; sappiamo però che la questione è rimasta aperta fin quasi ai primi del 900 e che solo in seguito, soprattutto su impulso dei cattolici irlandesi, si è ritenuto di poter battezzare i feti di aborti spontanei avviando così il processo che ha portato alle convinzioni attuali.
La chiesa ha quindi come fonte una posizione affermatasi solo di recente e non senza contrasti. Un dato che finora è mancato alla discussione.