sabato 19 febbraio 2005

Charles Louis de Secondat barone della Bréde e di Montesquieu 1689/1755

Il Tempo 19.2.05
Montesquieu, così la luce della ragione fecondò il liberalismo europeo
di STEFANO B. GALLI

DUECENTOCINQUANT'anni fa, nelle prime settimane del 1755, quando festeggiò il suo sessantaseiesimo compleanno (era nato, infatti, a Bordeaux il 18 gennaio 1689), a Parigi incominciò a diffondersi una violenta epidemia febbrile. Charles Louis de Secondat barone della Bréde e di Montesquieu era debole fisicamente, malconcio in salute, quasi stanco di vivere; da molto tempo aveva ormai perduto l'uso della vista e gli ultimi capitoli dello «Spirito delle leggi» (il suo capolavoro, dato alle stampe sul finire del 1748 a Ginevra) li aveva dettati ai suoi segretari. Avvertendo l'approssimarsi del momento dell'estremo giudizio, nelle sue «Pensée» aveva già scritto: «Tocco quasi il momento in cui devo cominciare e finire, il momento in cui tutto si smaschera e si nasconde, il momento d'amarezza e di gioia, il momento in cui perderò finanche le mie stesse debolezze. Perché occuparmi ancora di qualche scritto frivolo? Cerco l'immortalità ed è in me stesso. Anima mia, ingranditevi! Precipitate nell'immensità! Tornate nel grande Essere!». Assai vulnerabile, sul finire del mese di gennaio fu colpito da una polmonite virale che, rapidamente, nel giro di una dozzina di giorni, durante i quali ripeteva spesso di nutrire una forte speranza, tuttavia «condita di timore», ne causò la morte. Era il 10 febbraio 1755. L'indomani, al mesto corteo che scortava la salma al cimitero di Saint-Sulpice partecipò il solo Denis Diderot, tra gli uomini di lettere e i philosophes. Nella miglior tradizione settecentesca, all'immortale autore dello «Spirito delle leggi» entro la fine di quel 1755 vennero dedicati due "elogi", l'uno firmato da Jean Baptiste d'Alembert, condirettore insieme a Diderot dell'Encyclopédie per il settore scientifico, e l'altro da Pierre Louis de Maupertuis, successore di Leibniz alla guida dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Non è per nulla casuale che, rispettivamente, un matematico e un fisico, cioè due uomini di "scienza", abbiano firmato gli "elogi" di Montesquieu, per consegnarne ai posteri l'eredità intellettuale. Nella Prefazione di quel monumentale affresco che gli era costato vent'anni di lavoro, Montesquieu aveva scritto: «Molte volte ho cominciato, e molte volte ho abbandonato quest'opera; mille volte ho gettato al vento i fogli che avevo scritto; non trovavo la verità che per perderla; ma quando ho scoperto i miei princìpi tutto quello che cercavo è venuto a me; e nel corso di venti anni ho visto la mia opera cominciare, crescere, avanzare e giungere a compimento». E concluse le pagine introduttive con queste parole: «Quando ho visto quello che tanti grandi uomini in Francia, in Inghilterra e in Germania, hanno scritto prima di me, ho provato grande ammirazione, ma non mi son perso di coraggio. "E io anche son pittore", ho detto con il Correggio». Il riferimento al pittore parmense Antonio Allegri, detto Lætus, ammirato dai francesi e poi da Stendhal, è in lingua italiana nel testo francese ed è assai significativo poiché rivela l'intendimento montesquieiano di descrivere e di analizzare sin nei minimi particolari i meccanismi più profondi del funzionamento di una società politica nei suoi rapporti con la legge, le istituzioni, i governi, l'economia, la religione, rappresentandoli in tutte le loro movimentazioni "cromatiche". Il grande disegno di Montesquieu è proprio questo ed egli adottò un metodo rigorosamente scientifico, mutuato dall'unitarietà della storia naturale, evoluzionistica e laica, e dalle scienze biologiche (erano i tempi in cui Buffon stava scrivendo i 32 volumi della sua Storia naturale), fondando le scienze politiche e sociali. Proprio nel momento in cui, per effetto delle dottrine del diritto naturale, si affermavano valori di carattere universale (la libertà, la ragione, l'istinto, la proprietà), Montesquieu sottolineò il significato "relativo" di tali princìpi autenticamente politici rilevando l'unità interna dell'ordinamento giuridico e il suo rapporto "necessario" con l'"ordine delle cose". La grande invenzione montesquieiana consiste appunto nell'aver intuito il relativismo storico e geografico dell'ordinamento giuridico che presiede alla vita civile e norma il potere nell'ambito di una comunità politica organizzata e che deriva dagli usi, dai costumi, dalle tradizioni, dalle usanze locali, nella declinazione appunto di quei valori assoluti. Fu questa davvero la sua grande "scoperta", prima ancora della tripartizione dei poteri in legislativo, esecutivo e giudiziario, e della teoria dei governi che archiviò, una volta per tutte, l'artistotelismo politico (mentre Aristotele aveva classificato i governi in monarchia, aristocrazia e democrazia, secondo il principio numerico «uno, pochi, tutti» di chi detiene il potere, Montesquieu li aveva suddivisi in repubblica democratica e aristocratica, monarchia e dispotismo, in base a un criterio di tipo qualitativo: non importa quanti detengono il potere, ma come lo gestiscono. Prima dello «Spirito delle Leggi» che lo consacrò come uno dei padri del liberalismo europeo, grande maestro dell'illuminismo gius-politico, riverito e ossequiato nei salotti dell'Encyclopédie, Montesquieu era stato membro e poi presidente à mortier del parlamento di Bordeaux, carica ereditata dallo zio, per una decina d'anni (1716-1726), ma soprattutto aveva scritto le «Lettere persiane» (1721), un capolavoro di ironia e di malizia che raccolse un grande successo e che gli costò la cooptazione nell'Accademia di Francia. Lo schema narrativo del viaggio di due persiani, Rica e Uzbeck, in Europa, consentì all'anonimo autore di osservare non solo la Francia, ma l'intero vecchio continente, secondo la prospettiva dell'"altro" e di sottolineare i rischi di orientalizzazione dispotica connessi agli abusi di potere dell'assolutismo monarchico, quale severo monito per l'avvenire. Era forse la prima volta in cui l'Europa si guardava dal di fuori, nel segno del pluralismo delle opinioni, oltre la forza del pregiudizio.