venerdì 11 febbraio 2005

Luciana Sica e Remo Bodei su Repubblica

Repubblica 11.2.05
I NUOVI INDIFFERENTI
Convegni/ Analisti, filosofi e scrittori discutono a Roma sui disagi contemporanei
Il malessere nasce dalle speranze deluse dal senso diffuso di non contare nulla Parla Remo Bodei
I modelli del passato sono tramontati Gli eroi della tivù sono i padroni dell'immaginario
LUCIANA SICA


«Nei paesi dell'Occidente in cui il benessere è relativamente esteso, una delle forme di disagio più diffuso è rappresentata dalle speranze deluse»: siamo nell'era dei frustrati, dice Remo Bodei, docente di Storia della filosofia all'università di Pisa. Da anni, l'originale traiettoria del suo pensiero viene seguita con attenzione quasi devota negli ambienti psicoanalitici. E certamente, al convegno in programma per domani a Roma, la sua relazione sui malesseri che segnano la condizione post-moderna è tra le più attese.
Professor Bodei, sono le aspettative tradite, le ambizioni ormai accantonate, i traguardi mai raggiunti a rendere infelici gli uomini del mondo più evoluto?
«È una questione politica: nelle società democratico-egualitarie - a partire da quella americana degli inizi del secolo scorso - tutti hanno formalmente accesso agli stessi diritti e dunque tutti, anche i più sfavoriti, aspirano a superare la soglia della propria condizione di partenza per innalzarsi ai vertici della piramide sociale...».
Ma solo uno su mille ce la fa, come dice la canzonetta.
«Esatto. Il punto è che si è aperta una grave falla nel dispositivo d'inibizione delle aspettative, collaudato da millenni. Le società tradizionali possedevano strumenti abbastanza efficaci per compensare gli uomini degli svantaggi della loro condizione, per giustificare le gerarchie. Ad esempio, l'accettazione dei limiti e delle privazioni della vita trovava il proprio risarcimento nella prospettiva religiosa di una ricompensa in cielo».
Oggi, almeno in Occidente, quest´argomento non sembra fare breccia nella gran folla dei frustrati.
«Una delle forme di compensazione che le moderne civiltà, e non solo occidentali, usano per fare accettare l'esistenza che ciascuno conduce consiste nel far vivere altre vite, per mezzo di una immaginazione alimentata più che altro dai media. Di fronte al prevedibile naufragio dei tanti che mai riusciranno a far collimare le vite sognate con la realtà, l'inflazione di vite parallele rappresenta una strategia di gestione delle frustrazioni».
In cosa differisce l'immaginario del passato da quello del presente?
«Nel passato erano soprattutto i modelli imposti dalla politica, dalla religione, dalla filosofia, dalla società o dalla famiglia a forgiare sia l'immaginario che la condotta effettiva degli uomini. Oggi, con il diffondersi dei mezzi audiovisivi - alla portata di tutti, anche degli analfabeti - il catalogo delle vite parallele accessibili all'immaginazione coinvolge miliardi di persone».
I nuovi eroi sono, in particolare, quanti hanno avuto successo o visibilità nei media...
«Certamente non si cresce nel culto degli eroi di Plutarco, avendo come vite esemplari da imitare quelle di Alessandro Magno, Caio Gracco, Cesare o Bruto. E neppure nella propensione - così viva nel Medioevo - all'imitatio Christi e alla santità...».
Effettivamente non si cresce così... Lei dice che oggi il senso della realtà rischia di dissolversi in un eccesso di fantasticherie? È un consolatorio principio d´irrealtà che prevale?
«La fuga nell'immaginazione significa sradicarsi dalla realtà e accumulare infelicità futura: o si vive in uno stato di perenne disancoramento dal mondo oppure col mondo bisogna farci i conti. Questo non significa farsi schiacciare dai condizionamenti, rinunciare a ogni aspirazione, a ogni speranza. Difendo la logica del desiderio, che non deve essere mai spenta, senza però accontentarsi di paradisi a prezzi stracciati. E magari con una qualche capacità di "autosovversione", coltivando l'attitudine a modificarsi, a cambiare, a non guardare alla propria vita con un senso perenne di mortificazione».
Autosovversione, lei dice. Bella idea, non troppo praticata... Ma questi nuovi eroi televisivi, padroni dell'immaginario collettivo, non rischiano alla fine di accentuare il senso di esclusione?
«La sua domanda mi fa pensare a un articolo di Marco Lodoli, uscito di recente sul vostro giornale... Lui - lo scrittore-insegnante - giustamente sollecitava i suoi allievi a non piegarsi ai tic di massa, dall'ombelico scoperto alle mutandine firmate. A conservare la propria personalità, a crescere nell´autonomia. Ma una ragazza gli fa notare: nessuno di noi può aspirare a una propria individualità, non contiamo e non conteremo mai niente, e allora tanto vale non pensarci e fare come gli altri... Beh, io l'ho trovata un'osservazione molto intelligente».
Molto amara, anche, visto che qui il senso del fallimento è percepito già nell'adolescenza...
«Sì, ma spiega come la consapevolezza di essere brutalmente esclusi dal banchetto, dalle luci della ribalta, possa spingere sulla falsariga del così fan tutti».

LA MALINCONIA PREVALE SULLA NEVROSI

SE RESTA SOLTANTO IL CORPO
interventi di Chianese Sanguineti e Yehoshua
di Luciana Sica

ROMA
. Non è la nevrosi - dice Domenico Chianese, presidente della Società psicoanalitica italiana - il modello più adeguato per rappresentare la forma collettiva contemporanea del disagio. Prevalgono modelli diversi come le perversioni, gli stati borderline più pericolosamente inclini alle forme della psicosi, e soprattutto certe condizioni melanconiche. «Non si ha né il tempo né lo spazio necessario per farsi un'anima»: la citazione della Kristeva, l'autrice del Sole nero, serve ad alludere al senso generalizzato di vuoto, di perdita diffusa di energie, d´assenza di progettualità.
Chianese: «Non userei quella parola abusata che è depressione, perché non è di questo che si tratta, ma piuttosto di quella "indifferenza dell'anima" di cui ha scritto Lucio Russo. Della difficoltà alla rappresentazione e alla simbolizzazione dovuta alla perdita di quei "garanti metasociali", per usare il lessico di Touraine, che sono l'autorità, le gerarchie, i miti, le credenze... Potrei parlare più semplicemente, giocando con una metafora pittorica, di uno "stato bianco", di una condizione inerte in cui gli "oggetti" che possono appassionare non si trovano, non si costruiscono e neppure s'inventano...».
Vengono in mente certe riflessioni amare ma poco contestabili sull'età della tecnica in cui siamo immersi: i soggetti senza più memoria né sguardo sul futuro, ridotti a numeri intercambiabili e destinati a funzioni prefissate, piuttosto che all´espressione di un qualche talento, sono condannati a vivere staccati dalle proprie più autentiche emozioni. E cioè: in uno stato di dissociazione.
Chianese: «Un discorso tutto a parte meriterebbero i giovani, in genere molto sofferenti. Lì è vistosa la frattura tra il Sé ideale e la possibilità di realizzare i propri ideali. Tra i ragazzi c'è un´enfatizzazione mediatica del lato immaginario e una scarsità di meccanismi difensivi rispetto a più probabili frustrazioni. Lo stesso culto del corpo, che nei giovani è un elemento particolarmente evidente, è un segno chiaro di grande disagio. L'assenza di un sistema simbolico in cui tende a crescere smisuratamente l'onnipotenza del corpo e l´incertezza sui suoi confini, contribuisce alla perdita di un orizzonte di senso».
"L´infelicità nella Civiltà", era il titolo originario a cui aveva pensato Freud per il suo celebre saggio del '29, Il disagio della civiltà. In quel libro di taglio anche antropologico, oggetto di molte riserve, in qualche caso dello stesso autore, Freud allude alla nevrosi - intesa come il costo della "rinuncia pulsionale"- come a un segno della faticosa accettazione del "principio di realtà", come all´incarnazione soggettiva del disagio strutturale della Cultura.
È evidente però che anche i disagi non sono più quelli di una volta, che cambia vistosamente il malessere dell'umanità contemporanea: «sull´orlo dell´abisso del presente», per dirla con Le Goff. La lezione di Freud va contestualizzata nella cornice più ampia di un´epoca storica e di una particolare temperie culturale, senza improbabili tentazioni universalistiche. È in questo senso che assume un sapore finalmente innovativo il tema di un convegno in programma tra domani e domenica a Roma, a Palazzo Altemps, che ruota intorno a "I disagi delle Civiltà", un titolo coraggioso per alludere ai nuovi disagi senza dimenticare che non esiste solo il primo mondo, cioè il nostro. A parlarne sono stati chiamati alcuni autorevoli psicoanalisti, non solo italiani - da Widlocher a Kaes, a Tuckett -, ma anche due scrittori di razza come Sanguineti e Yehoshua, e un drappello di filosofi, da Marramao a Bodei.
L'idea è però tutta di Chianese, è lui l´artefice di questo appuntamento: così che ha voluto chiudere i suoi quattro anni da presidente della Società psicoanalitica, oggi senz'altro più aperta che in passato: a succedergli sarà Fernando Riolo.