In Emilia la prima struttura di rieducazione. Sarà affidato a San Patrignano: ed è polemica
Un carcere per tossicodipendenti
La nuova struttura di rieducazione aprirà a Castelfranco Emilia il 21 marzo.
DAL NOSTRO INVIATO JENNER MELETTI
Sarà inaugurato da Fini e ospiterà 140 detenutiCASTELFRANCO EMILIA. Sembrano contadini come gli altri, gli uomini che portano il fieno alle vacche da latte. Uno guida il trattore, l'altro scarica le balle, un terzo taglia i campi per andare a controllare le arnie delle api. Ma un fossato e una rete alta poco più di due metri raccontano che questo non è un podere come gli altri: è una Casa di Lavoro, con detenuti che dopo il carcere hanno subito anche questa «pena supplementare». Proprio qui, oltre la rete sorretta da pali verdi ed i resti dei muraglioni del Forte Urbano il 21 marzo verrà inaugurato alla presenza di un bel pezzo di governo (sicuri per ora il vicepremier Gianfranco Fini e il ministro Carlo Giovanardi) il primo carcere speciale per tossicodipendenti.
Campi, vigneti, laboratori e stalle per far lavorare chi sconterà la pena.
Una popolazione fissa con reati che non consentono l'ingresso in comunità.
L'assessore regionale: operazione fatta in segreto. Muccioli: in realtà ci invidiano.
Il progetto è stato preparato dalla comunità di San Patrignano, che sarà impegnata anche nella gestione del carcere, con attività «di carattere eminentemente educativo».
Il direttore della Casa penale, Francesco D'Anselmo, dice solo che non può raccontare nulla e che bisogna chiedere al Dipartimento amministrazione penitenziaria (che nemmeno risponde). Per fortuna, in un'intervista al settimanale della diocesi modenese, Nostro Tempo, il direttore D'Anselmo nel gennaio 2004 aveva svelato qualche segreto.
«Stiamo facendo lavori di ristrutturazione e presto potremo accogliere 140 persone. La nostra diventerà una struttura a custodia attenuata per le pene inflitte ai tossicodipendenti. Il lavoro sarà importante anche per i nuovi detenuti: abbiamo 16 ettari di seminativi, un frutteto, un vigneto, una stalla, alveari per la produzione di miele».
I lavori sono ancora in corso, ma le celle - a due o tre posti letto - sono state in gran parte ristrutturate. Ancora aperto il cantiere per i nuovi impianti di luce, acqua e gas. Ma ad appena un mese dall'inaugurazione ancora non è chiaro a cosa serva questo che il ministro Giovanardi ha chiamato «carcere modello».
«È una struttura che serve - ha spiegato il ministro il 16 febbraio a Roma, in un incontro dedicato a «Strategie nazionali e internazionali nella lotta alla droga» - per il recupero di detenuti tossicodipendenti condannati a pene detentive che non permettono l'assegnamento alla comunità. È evidente che chi è condannato per omicidio non può uscire dal carcere, ma non per questo si rinuncia all'idea di un recupero dalla tossicodipendenza».
Una struttura, dunque, molto diversa dai Servizi a custodia attenuata esistenti da più di un decennio (il primo è stato aperto a Rimini nel 1992 proprio dall'attuale direttore di Castelfranco) in otto carceri italiane. «In Emilia Romagna - spiega l'assessore alle politiche sociali Gianluca Borghi - oltre a Rimini abbiamo un altro piccolo reparto «attenuato» a Forlì. Entrambi funzionano benissimo, ma sono «reparti» con 10 o 15 detenuti.
Qui si sta aprendo un carcere con più di 100 detenuti e alla Regione, in questi 4 anni, non è stato detto nulla. Scriverò al ministro Castelli e al direttore del Dap per fare sapere che esistiamo anche noi. A Rimini e Forlì il tossicodipendente riflette sulla possibilità di entrare in una comunità. Gli operatori - medici, psicologi, esperti di comunità, mandati dalle Asl - cercano di capire se davvero ci sia un impegno serio. E dopo un mese, due, quattro, c'è il passaggio alla comunità».
Secondo il ministro, il carcere di Castelfranco sembra invece destinato ad una popolazione «fissa», e questo contrasta anche con le intenzioni espresse dal partner principale dell'amministrazione penitenziaria in questo progetto, San Patrignano. Si era parlato già nel 2001, della presenza della comunità diretta da Andrea Muccioli in un carcere dello Stato.
«Ci dispiace per chi ci invidia - dichiarò allora il figlio di Vincenzo Muccioli - ma l'idea l'abbiamo avuta noi. Quella di Castelfranco sarà una struttura nuova ed estremamente originale. Chi ci invidia è interessato solo alla spartizione delle vacche. Tutto nasce da un nostro progetto, che ho portato personalmente al ministro Castelli».
Quattro anni di lavoro in sordina, e ora arriva la conferma.
«San Patrignano - spiegano ora i dirigenti della comunità - ha ideato e sta definendo, insieme al direttore della Casa circondariale di Castelfranco ed altre realtà attive nel campo del recupero e del reinserimento, un progetto d'avanguardia, di forte valenza educativa e sociale».
La comunità si fa forte della propria esperienza. «Dal 1984 ad oggi, qui da noi, 3.500 anni di carcere sono stati sostituiti da percorsi alternativi mirati alla riabilitazione e al pieno reinserimento sociale».
Ma anche la comunità di Rimini non sembra pensare a detenuti chiusi a Castelfranco fino alla fine della pena. «Il progetto - dicono infatti - prevede attività motivazionali, di sostegno e formazione, propedeutiche all'ingresso in comunità per il completamento del programma».
Nella fretta di arrivare ad un'inaugurazione in campagna elettorale forse non tutto è stato dunque definito. A dicembre, ad esempio, il direttore di Castelfranco ha incontrato a Modena il Ceis e la comunità l'Angolo di don Soffritti, oltre agli operatori del Sert. Ha chiesto la loro collaborazione e il loro contributo, senza fare però cenno alla presenza degli operatori di San Patrignano. Anche i 24 «internati» tuttora presenti nella casa di lavoro non sanno nulla del loro futuro: forse saranno trasferiti nella vicina casa di lavoro di Saliceta San Giuliano.
Già trasferite invece quasi tutte le 60 mucche di razza olandese, che saranno sostituite dalle pregiate vacche bianche di razza modenese. Si vuole infatti avviare una stalla modello. Sembra davvero l'inizio di una nuova San Patrignano.