mercoledì 16 febbraio 2005

storia
una legge in discussione al Senato vuole equiparare i nazifascisti ai resistenti

La Stampa 16 Febbraio 2005
I REPUBBLICHINI MASSACRAVANO I CIVILI ITALIANI COME SE SI SENTISSERO IN TERRA STRANIERA
Salò, i «patrioti» della crudeltà
di Giovanni De Luna

Prosegue al Senato il cammino della legge per i benefici ai reduci di Salò. In tre articoli, la legge riconosce la qualifica di militari belligeranti a quanti prestarono servizio nell'esercito della Repubblica Sociale Italiana. In aula, il relatore Piero Pellicini (An) aveva sottolineato che il disegno di legge si basa su una sentenza del 1954 del Tribunale militare che riconosceva ai soldati di Salò la qualifica di combattenti perchè la Rsi aveva «tutte le caratteristiche di governo operante sul territorio sottoposto alla sua sovranità effettiva». Intanto le discussioni e le polemiche continuano. Ieri, in una conferenza stampa al Senato, il presidente emerito della Repubblica Oscari Luigi Scalfaro e i rappresentanti delle associazioni di combattenti e partigiani hanno preso posizione contro il ddl.
NELLA memoria dei reduci di Salò c'è un insistito richiamo all'Italia e alla Patria così da fare del «patriottismo» il valore fondante delle loro scelte. Ed è nel nome di questo «amor di patria» che oggi chiedono al Parlamento italiano di cambiare, - con una legge -, il loro ruolo nella storia, di passare da «nemici» e fiancheggiatori di un occupante straniero a «combattenti» legittimati e riconosciuti. Insieme alla «fedeltà all'alleato tedesco» (che però oggi viene omessa) era proprio «la difesa dell'onore degli italiani» il cardine della loro autorappresentazione 60 anni fa. Ma come tutte le autorappresentazioni anche questa finisce col vacillare se confrontata con quelli che furono i comportamenti realmente messi in pratica dalle forze armate di Salò nei venti mesi della guerra civile.
Quello che colpisce, ad esempio, è la crudeltà sistematica con cui infierirono sui corpi dei partigiani e civili che uccidevano. Ci sono migliaia di fotografie che documentano una sorta di «messa in scena della morte». Ogni volta un cartello («ha colpito in armi la Decima»), un messaggio, una didascalia, «Dio stramaledica gli inglesi e chi li aspetta», così da trasformare quei corpi in altrettanti «monumenti» di una diffusa pedagogia funeraria. A Castelletto Ticino, il 10 novembre 1944, sei partigiani furono prelevati da un reparto della X Mas comandato dall'ex pilota Ungarelli. La popolazione del luogo fu obbligata ad assistere alla loro fucilazione; la gente che transitava sui battelli o sui treni fu fatta scendere. Le salme furono lasciate esposte per tutta la giornata e la notte seguente per quello che Ungarelli definiva «spettacolo punitivo»; quindi vennero sepolte dalla popolazione del luogo nel cimitero del paese, ma, per l'opposizione dei fascisti, non fu possibile racchiuderli dentro le bare. Uno dei fucilati, Barbieri, che insieme agli altri era stato catturato nel corso del rastrellamento in una baita dove si trovava ammalato, gridò all'ultimo istante: «Sparatemi sul cuore e non sul viso, perché voglio essere riconosciuto dopo morto». Ungarelli rispose sparandogli il colpo di grazia sul viso.
Per i fascisti veramente l'uccisione pubblica dei nemici sembra avere un significato che prescinde quasi totalmente dagli scopi militari della guerra; le fotografie dei partigiani fucilati e impiccati, come ci ha ricordato Santo Peli, ci spalancano le porte di una vera e propria «strategia di reificazione dei corpi... in cui viene negata la stessa dignità del morto»; quei ganci di macellaio utilizzati per appendere i nemici uccisi rinviano senza mediazioni alla degradazione dell'avversario a rango di bestia.
Ma non è solo questo. Una delle caratteristiche «militari» della guerra civile è quella di estendersi anche a comunità periferiche, spesso collocate in posizioni strategiche ininfluenti per la conduzione della guerra convenzionale. Così l'esibizione della morte da parte dei fascisti segue percorsi che geograficamente non hanno niente a che vedere con il «fronte» e con la guerra contro gli Alleati coinvolgendo piccoli borghi e grandi città, allargando i cerchi dell'orrore attraverso una vera e propria «imposizione a vedere» a cui sono sottoposti gli abitanti (Mirco Dondi). Nelle stragi, dovunque, al centro come alla periferia, si seguiva un copione preciso, scegliendo ogni volta punti cruciali per lasciare in mostra i morti. E i nostri viali e le nostre piazze ne uscirono sfigurate: «questa serena piazza provinciale, che era popolata per noi dai magici ricordi della fanciullezza - scriveva Piero Calamandrei - ha perduto per sempre la sua pace accogliente da quando sappiamo che vi è rimasto esposto per ventiquattro ore, tra sentinelle tedesche, un povero ragazzo innocente impiccato ad un'inferriata; e in un altro paese toscano il viale dei vecchi platani, nel quale dalla porta delle mura sfociava nei pomeriggi domenicali la folla festiva, è diventato, da quel giorno che a ogni tronco si vide penzolare uno dei cento ostaggi, un desolato cammino di cimitero… quante generazioni occorreranno per dimenticare il maleficio inflittoci da coloro che trasformarono in forche per creature innocenti i benigni alberi delle nostre campagne?».
E' facile incontrare su altri fronti e in altre guerre novecentesche pubbliche esposizioni dei cadaveri lasciati appesi per ore, per giorni, agli alberi, alle forche, ai lampioni, ai balconi, immagini che assumono le cadenze quasi «di azioni sceniche di un teatro di strada». C'è da chiedersi se esiste un tratto tipico dei fascisti nella pratica di questi orrori. In questo senso Mario Isnenghi ne ha sottolineato una sorta di perversa razionalità: da un lato si trattava di assecondare il tentativo di «rescindere ogni legame tra resistenti e popolazione civile»; dall'altro di lasciare sfogare le pulsioni più profonde dei carnefici: «i cadaveri degli uccisi devono restare evidenti, visibili agli uccisori e non solo al popolo. Servono agli uccisori come monito e conferma della propria potenza». Un esempio che sembra confermare questa interpretazione è quello della fucilazione ad opera della banda fascista comandata da Mario Carità di cinque giovani rastrellati a Vinchio, nel Mugello. La scena davanti al plotone di esecuzione fu straziante: i condannati urlavano e si dimenavano ed il plotone dì esecuzione, formato da giovani reclute, era molto scosso. Il plotone si disunì al momento dello sparo (nonostante i componenti fossero stati minacciati il giorno prima, proprio da Mario Carità, il quale aveva promesso loro la stessa fine se si fossero rifiutati di sparare) e sparò malissimo. Tre dei condannati rimasero in vita urlanti per lo spavento e il dolore. Fu data una seconda scarica ma, siccome due ancora urlavano e si dimenavano, Carità diede loro il colpo di grazia. Da allora la persona di Carità divenne, per opinione pubblica, sinonimo di ferocia.
Il ruolo dei vari comandanti delle bande fasciste fu certamente decisivo nell'indurre i militi a comportamenti particolarmente efferati, senza contare il loro particolare reclutamento (volontari fanatici e avventurieri).
Evocando questi capi e queste bande ci imbattiamo in altri aspetti, che investono decisivi «nodi» storiografici. Il tentativo della RSI di dotarsi di una propria forza armata autonoma si era arenato in un marasmatico groviglio logistico e operativo; i tedeschi si erano affermati di fatto come l'unico potere reale presente sul territorio italiano formalmente repubblicano. Per il resto, il moltiplicarsi di formazioni armate tutte apparentemente legali (le Brigate Nere, la Guardia Nazionale Repubblicana, la X Mas, ecc...), la loro eterogeneità, la diversità dei loro comportamenti, disintegravano gli stessi concetti di ordine e legalità a cui la gente aveva sempre riferito i propri bisogni di sicurezza.
Dalla frantumazione dello Stato, dalla sua forzata rinuncia ad esercitare il monopolio legale della violenza e della forza armata, fuoriuscì il magma di una violenza privata incontrollata e incontrollabile. Fu questo lo scenario politico da cui scaturì la scelta disperata ed efferata di trasferire direttamente nei corpi dei nemici uccisi l'unico fondamento della propria credibilità istituzionale e della propria autorità statuale. Se la spontaneità della folla rivoluzionaria infierisce sulle sue vittime per sancire la nascita del nuovo potere, il vecchio potere usa le sue pratiche in un disperato tentativo di protrarre la sua durata: gli impiccati devono rimanere penzolanti, i fucilati insepolti, perché alla sua autorità resta come unico fondamento la paura della morte e la violenza sui corpi nemici.
C'è, inoltre, una marcata analogia con le pratiche che emergono nella «guerra ai civili» condotta dalle truppe di occupazione naziste nei vari paesi europei; non solo nella strategia «ammonitiva» in cui si inserisce l'esposizione pubblica nei corpi, ma anche in quella «vendicativa» che vede quei corpi profanati e oltraggiati nei momenti della ritirata, quando il fronte sta passando, i combattimenti raddoppiano di violenza e la sconfitta appare inevitabile. Le ultime operazioni fasciste a Firenze, ad esempio, ebbero esattamente questo carattere (si pensi al massacro di piazza Torquato Tasso, del 17 luglio '44, dove in un folle tiro al bersaglio un reparto fascista, guidato dal pluri-pregiudicato Bernasconi, aveva ucciso anziani e bambini, tra cui Ivo Poli di quattro anni).
Sarebbe forte la tentazione di lasciare questa cruda elencazione delle pratiche efferate adottate dagli armati di Salò al solo orrore che può suscitare l'esibizione del «sangue dei vincitori», quasi giustapponendo crudeltà a crudeltà, violenza a violenza. Ma lo storico non può fermarsi alla compilazione di un semplice catalogo dell'orrore.
Quelle violenze possono essere decifrate, così da restituirci i caratteri più profondi dell'esperienza mortuaria di Salò e rappresentare un utile promemoria rispetto alle questioni che oggi si discutono in Parlamento. Accanto all'ansia di legittimazione istituzionale, quei comportamenti suggeriscono infatti la possibilità che i fascisti si sentissero come in terra straniera, quasi si trattasse di rendere credibili uomini e istituzioni appartenenti a una potenza occupante e si dovesse combattere dando per scontata una ostilità generalizzata delle popolazioni civili. Era una «sensazione» che si concretizzava in una precisa linea politica, sostenuta senza remore anche dal ministro degli Interni della Rsi, Guido Buffarini Guidi, il quale, in un rapporto inviato ai prefetti delle province piemontesi scriveva, appunto, che «la popolazione civile nella sua più ampia maggioranza favorisce i banditi e quindi tutta può e deve pagare». Sembrava la riedizione, anche nei termini usati («ricordare che ogni cittadino può mascherare un partigiano che, seppellito il fucile e impugnata la vanga, è pronto a riprenderlo per tirare nella schiena ai nostri soldati») degli ordini impartiti ai reparti italiani in Jugoslavia. Riaffioravano scelte e comportamenti adottati sia in Etiopia, sia nella repressione dei movimenti partigiani nei Balcani e negli altri territori tenuti dalle truppe italiane prima dell'8 settembre 1943, operazioni compiute tutte al di fuori delle regole della «guerra simmetrica». Solo che in questo caso la violenza colpiva non slavi o abissini ma direttamente gli italiani.

L'Unità 16 Febbraio 2005
La Legge dell’Orrore
di Nicola Tranfaglia

L’offensiva degli eredi del fascismo italiano, a sessant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale e nell'imminenza del 25 aprile del 2005 che ricorda la ricorrenza della vittoria dei partigiani e della liberazione delle grandi città del Nord prima delle truppe alleate, raggiunge un primo, importante obbiettivo per distruggere le basi della Repubblica e della Costituzione vigente.
Questo è il significato, ignorato fino ad oggi da tutti i canali televisivi e dalla cosiddetta stampa indipendente, del disegno di legge numero 2224 presentato dai parlamentari di Alleanza Nazionale.
Un disegno di legge che in due soli articoli rovescia il senso della resistenza e della contrapposizione storica tra i giovani che scelsero di lottare contro i tedeschi occupanti e i fascisti della repubblica sociale italiana e quelli che all'opposto decisero di arruolarsi nelle file delle truppe di Salò che combatterono per venti mesi contro i partigiani e gli alleati angloamericani.
La legge che la maggioranza di centro-destra al potere vuole far approvare dalle Camere, utilizzando una sentenza del Tribunale Supremo Militare del 25 aprile 1954, formato in assenza di epurazione, da magistrati militari che erano stati fascisti e lo erano rimasti fino alla fine, decreta che ai soldati e ufficiali che militarono nell'esercito della repubblica sociale italiana, deve essere riconosciuto lo status di militari combattenti equiparati a “quanti combatterono nei diversi paesi in conflitto durante la seconda guerra mondiale”.
Ma una simile affermazione é contraddetta nella sostanza dal significato che ebbe sul piano storico la caduta del governo fascista di Mussolini il 25 luglio 1943 e il Capo dello Stato, secondo lo Statuto albertino, cioè il re Vittorio Emanuele III, dopo le dimissioni date da Mussolini, diede al maresciallo Pietro Badoglio l'incarico di formare un nuovo governo.
Sul piano formale, come su quello sostanziale, nasce così il governo legittimo dell'Italia che é spinto dall'armistizio e dalla presenza delle truppe tedesche a lasciare la capitale e a stabilirla a Brindisi nel territorio liberato dagli alleati angloamericani.
Alla luce degli avvenimenti, e indipendentemente dal giudizio negativo che si può dare della fuga del sovrano e di Badoglio da Roma che favorisce oggettivamente l'occupazione della capitale da parte delle truppe naziste, esiste e non può esistere che un solo governo legittimo italiano.
Quello nato a Salò, per opera dei nazisti e del decaduto dittatore italiano, é un governo illegittimo che, in maniera illeggittima, forma un esercito che combatte, sotto il comando nazista, contro i partigiani italiani e le truppe alleate.
Non si può sostenere, come fa il disegno di legge presentato dagli eredi del fascismo, sulla base di quella sentenza del Tribunale Supremo Militare del 1954 e di una circolare del Ministero della Guerra del maggio 1945 che va nella stessa direzione, che tutto deve essere rovesciato e che poiché il governo della repubblica sociale, governo di fatto, dura quasi due anni e arma truppe che hanno proprie insegne e proprie armi e, nello stesso tempo, il governo di Badoglio opera in un territorio occupato dagli alleati, va riconosciuta ai combattenti di Salò la qualifica di militari belligeranti al pari di tutti i combattenti della seconda guerra mondiale.
Non si ricorda in quel disegno di legge che le truppe di Salò più che combattere contro gli alleati vennero usate essenzialmente per rappresaglie contro i partigiani e stragi contro i civili durante i venti mesi di guerra né che il governo di Salò agiva in regime di occupazione, al pari di quello legittimo, e che, a differenza del governo Badoglio era alle strette dipendenze della Wermacht e delle SS.
Si mette sullo stesso piano, in altri termini, la scelta di chi ha lottato e versato il proprio sangue per costruire in Italia una democrazia parlamentare e quella di chi non solo non ha rinnegato gli obbiettivi politici e ideologici della dittatura fascista ma ha ritenuto di poter condividere la visione hitleriana e razzista dell'Ordine nuovo nazista.
Per ora non si parla di pensioni e di riconoscimenti economici per i combattenti della repubblica sociale ma é solo il primo passo. Approvato questo disegno di legge, ce ne sarà un secondo che dovrà stabilire le elargizioni dello Stato nei confronti dei reduci di Salò. Basta aspettare qualche settimana o qualche mese e il secondo disegno di legge completerà il rovesciamento dei valori e della storia che si vuol compiere.
È bastato che si dicesse,qualche anno fa, che molti giovani avevano scelto di combattere con Salò in buona fede, vale a dire credendo che il fascismo, malgrado l'alleanza con Hitler, fosse ancora il governo legittimo dell'Italia, il custode della fede e dell'onore degli italiani malgrado l'immensa disfatta della guerra e tutti quelli caduti in Grecia e in Russia per la colpevole impreparazione militare del regime, perché gli eredi del fascismo si sentissero autorizzati a rivalutare sul piano storico e istituzionale i propri caduti fino a proporre di equipararli a tutti gli effetti ai partigiani antifascisti.
La verità é che questa non é una destra democratica ed europea, capace di riconoscere i gravi errori del passato ma é una destra che non rinuncia all'esperienza fascista persino nella sua versione peggiore colpevole della deportazione e del massacro degli ebrei, degli zingari e degli oppositori politici, sia come complice dei nazisti, sia in proprio con il proprio sistema di campi di concentramento, con le stragi compiute in Jugoslavia e nei paesi balcanici.
Possibile che tanti che a destra si definiscono liberali e democratici, che i grandi quotidiani di questo paese non sentano il bisogno di sollevare un simile problema e cercare di fermare l'approvazione di una legge così chiaramente immorale e storicamente illegittima? È quello che vedremo nei prossimi giorni e settimane.
Possibile che tanti liberali e democratici, che i grandi quotidiani di questo paese non sentano il bisogno di cercare di fermare una legge così immorale e storicamente illegittima?

L'Unità 14.02.2005
La loro legge: SS uguali ai partigiani
di Wladimiro Settimelli

Sì, anche le Ss italiane che operarono direttamente al comando dei nazisti negli ultimi mesi di vita della Rsi, se passerà il progetto di legge presentato da Alleanza nazionale e ora all’esame del Senato, potrebbero essere ritenute «cobelligeranti». Insomma, essere equiparati ai partigiani e ai combattenti della libertà. Tale onore non toccherebbe, dunque, soltanto alla Guardia nazionale repubblicana, alle camicie nere della «Muti» e ai membri delle varie bande di torturatori e di assassini che operarono, prima della Liberazione, a Roma, a Firenze, a Milano e a Torino. Tra loro, come sta scritto in tutti i testi di storia, c’erano gli uomini di Bardi , Pollastrini e Pietro Kock per quanto riguarda Roma o agli uomini del maggiore Mario Carità per Firenze.
Legittimi combattenti
Ma quello che più colpisce, appunto, è la eventuale possibilità che persino gli ancora vivi delle «Ss» italiane, vengano considerati e riconosciuti legittimi combattenti.
Insomma, se il progetto di legge è assurdo e inaccettabile per i «repubblichini», mette in ansia e riempie di angoscia l’eventualità che la stessa situazione venga persino applicata a coloro che servirono direttamente agli ordini di Hitler.
Gli arruolamenti nelle «Ss» avvennero previo diretto e inequivocabile accordo tra il governo di Salò e lo stato maggiore delle «Ss» a Berlino. Dunque, gli italiani arruolati nel «corpo scelto» del nazismo, un corpo «arianissimo» al servizio dei Reich, un corpo responsabili di sterminii impensabili e gestore anche dei campi di concentramento, a tutti gli effetti erano anche soldati di Salò. Certo, il loro trattamemnto, dal punto di vista economico, da quello dell’armamento e della vita nelle caserme era completamente diverso dagli altri arruolati e questo suscitò proteste e gelosie tra gli stessi fascisti. Anche le «Ss» italiane,ovviamente, furono considerate formazioni d’elite e un corpo armato del tutto particolare. Intanto, sottratto allo stato maggiore italiano, ai vari gerarchi come Ricci e Pavolini e allo stesso Mussolini.
Arruolatevi!
L’arruolamento, si svolse in maniera rapidissima, perfino nei campi di prigionia italiani in Germania. È dunque chiaro che alcuni si arruolarono solo per tornare in Italia. Altri, successivamente, si unirono alle formazioni partigiane portando via dalle caserme tutto quanto potevano. Altri ancora, i peggiori, valutarono attentamente il fatto che, in Italia, e nelle zone sotto controllo fascista, con la divisa delle «Ss» addosso, era possibile spadroneggiare, rubare, torturare, senza doverne rispondere direttamente ai comandi italiani. Molti altri si arruolarono per poter servire fino alla fine il potere di Hitler, con il «rigore» tipicamente nazista e la insindacabilità concessa alle «Ss» anche sul suolo italiano.
Le «Ss» nostrane raggiunsero, ben presto, la forza di alcuni battaglioni ed erano, dunque, diverse centinaia.
Per quali operazioni vennero usati gli uomini? Ovviamente per rastrellare e catturare i partigiani, gli antifascisti o i giovani che si erano rifiutati di presentarsi per il servizio di leva. È inutile aggiungere che parteciparono ad alcuni terribili massacri e che si distinsero nell’incendiare paesi e paesetti. Quando si trattava di deportare la popolazione civile, in pratica si «nascondevano» sotto la divisa nazista evitando persino di parlare in italiano per non farsi riconoscere. Così capitò spesso che certe stragi e certi rastrellamenti apparvero come opera dei soli soldati tedeschi. Nell’«armadio della vergogna» e nel corso delle indagini su certe stragi terrificanti in Emilia, Toscana, Piemonte e in Liguria, pare siano apparsi, nel dopoguerra, i nomi di alcune comnpagnie di «Ss» italiane.
Scartoffie.
Naturalmente, quei nomi sono sempre rimasti sepolti sotto le scartoffie e nessuno di quei personaggi, per ora, è stato chiamato a rispondere del proprio operato. Molti di loro, alla fine della guerra, partirono per il Sud America. Ora, con la proposta di legge di Alleanza nazionale, anche loro potrebbero diventare come i partigiani e gli altri combattenti della libertà. Per questo, martedì, nell’immediato pomeriggio, proprio al Senato, i rappresentanti delle Associazioni partigiane e della Resistenza, dei perseguitati politici, dei deportati nei campo di sterminio, della Federazione dei combattenti per la libertà, delle Associazioni ebraiche, terranno una conferenza stampa.
Saranno presenti anche l’ex presidente della Repubblica Scalfaro e il partigiano Vassalli. Non mancheranno anche alcune famosissime medaglie d’oro della Resistenza.