giovedì 10 marzo 2005

un libro
la violenza del Novecento

L'Unità 10.3.05
Novecento, il secolo della volontà di violenza
Massimiliano Melilli

A dover stilare l’elenco dei responsabili, dei luoghi e degli effetti della violenza nel Novecento, si fa prima ad osservare un mappamondo e a trarne subito le deprimenti conseguenze. Poche aree sfuggono all’odio. Da Occidente a Oriente è un continuo viaggio di sola andata lungo i sentieri della morte. E nel gran calderone dove si cucinano più o meno lentamente conflitti di scarsa o grande visibilità, finiscono popoli, ideologie, minoranze, etnie, religioni, despoti. Un mix micidiale, inarrestabile. Che comunque lo si voglia interpretare, produce inevitabilmente lo stesso risultato: odio. E lutti.
Dai gulag dell’Urss allo sterminio di Auschwitz all’apartheid in Sudafrica al regime khmer rosso in Cambogia. Ancora. Dai trentamila desaparecidos in America Latina al massacro in Ruanda di Hutu e Tutsi alle fosse comuni nell’ex Jugoslavia fino alle stragi quotidiane in Iraq. Un lungo viaggio critico nei conflitti del Novecento, lo stesso secolo che teoricamente avrebbe dovuto portare ovunque libertà e democrazia e che invece si contraddistingue per un’ondata di violenza. Senza fine. E poi una sfilza di questioni drammaticamente aperte. Le violenze sono tutte uguali? C’è differenza tra guerra e genocidio? È possibile il perdono e la riconciliazione?
Sono questi i temi al centro di un saggio che appassiona (e divide) la comunità scientifica a livello internazionale, Tutta la violenza di un secolo (Feltrinelli, pagine 206, euro 13,00). Lo ha scritto uno studioso di spessore Marcello Flores, attualmente docente di Storia contemporanea alla Facoltà di Lettere dell’Università di Siena, dove dirige anche il Master in diritti umani. Un saggio che parla con schiettezza e semplicità a una vasta platea di possibili lettori: studenti, educatori, operatori sociali, genitori. Una sorta di dizionario dei conflitti e delle ragioni geopolitiche che li generano. Un testo prezioso per comprendere teoria e prassi di un secolo. Capitolo dopo capitolo emerge un’esplorazione in profondità di fatti e misfatti che hanno segnato il Novecento. La narrazione è asciutta. Il tono minimalista, i contenuti attuali. In tale dimensione, il saggio di Flores richiama il metodo di Claude Lévi-Strass, allorché annota: «Esplorare non significa tanto coprire una distanza in superficie, ma studiarla in profondità. Un episodio fuggevole, un frammento di paesaggio o un’osservazione colta al volo possono costituire l’unico mezzo per comprendere e interpretare delle zone che altrimenti resterebbero prive di significato».
«La spiegazione ideologica della violenza - sostiene Flores - non può che restare alla superficie della questione, rispondendo al bisogno psicologico di trovare un movente più della necessità analitica di comprendere un evento storico (…) Essa, tuttavia, è una causa insieme ad altre, in alcuni casi più importante e decisiva e in altri meno, sempre presente e decisiva per forgiare la risolutezza dei massacratori, la disponibilità dei complici e l’acquiescenza degli spettatori».
Ai fini della comprensione del presente, risulta importante l’approccio critico al tema della violenza su base etnica e religiosa: «Sono queste due violenze - avverte Flores - che hanno luogo, per precisi motivi storici, in situazioni di maggiore ritardo culturale e politico quanto a rispetto dei diritti individuali e della tolleranza; i paesi più avanzati hanno in genere bisogno della legittimazione della guerra per praticare violenze forse anche più distruttive». Una forza distruttiva che ormai si propaga a livello globale fino alle stragi quotidiane in Iraq. Paradossalmente, il numero delle azioni terroristiche e delle vittime, lievitano dalla fine del conflitto vero e proprio mentre la presenza e il ruolo della «coalizione della libertà» non riesce ad arginare la forza dirompente di questi attacchi.
Ma in questo saggio, un dato che fa riflettere è legato alla trasversalità della violenza nel Novecento. È come un magma che travolge tutto e tutti, a più dimensioni, attraverso fasi cicliche che s’inseguono tra spirali d’intolleranza e refoli di opportunismo. È la violenza di massa. Sostiene Marcello Flores: «In uno stato e in una società che commettono violenze di massa, ci sono politici e civili, militari e paramilitari, burocrati e propagandisti, tutti in qualche modo legati da una stessa catena di volontà e di partecipazione, ma non certo responsabili nella stessa misura, sia che si prenda il comportamento individuale come parametro della colpevolezza sia che si prenda l’azione collettiva come criterio di valutazione». Altro che libertà, dunque. Il Novecento è un secolo di violenza.