venerdì 22 aprile 2005

Bertinotti intervistato dal Corsera

Corriere della Sera 22.4.05
«La Chiesa si sente sfidata Il rischio è l’integralismo»
Bertinotti: dall’aborto alla donna, vivremo una radicalizzazione
«Non vedo continuità con Wojtyla su guerra e giustizia nel mondo»

Daria Gorodisky

ROMA - Fausto Bertinotti, leader di Rifondazione comunista: Joseph Ratzinger non rappresenta la figura di Papa che lei auspicava, cioè un esponente della parte povera del mondo, attento alle questioni sociali... «Sì, è vero, speravo in certe caratteristiche. Ma naturalmente solo come può sperarlo un non credente».
Che cosa significa?
«Bisogna partire da una doppia premessa. Innanzi tutto non si possono misurare le cose della Chiesa con il metro della politica. Tanto per fare un esempio, la divisione destra/sinistra è del tutto inadeguata: la Chiesa è un fenomeno religioso e pone al centro il rapporto tra uomo e Dio. Inoltre, parliamo di una istituzione millenaria che ha la sua potenza fondamentale nella sua unità. Quello che i cattolici chiamano grazia di Stato crea la differenza tra essere cardinale ed essere Papa. Ed è proprio in virtù di questi elementi che la Chiesa ha potuto compiere scelte altrimenti impossibili».
Rapporto tra uomo e Dio, lei dice. Tuttavia la Chiesa si esprime poi sulle «cose mondane», dunque inevitabilmente nella politica. Che cosa si aspetta allora da Benedetto XVI?
«Io forse sottovalutavo quando parlavo di un Papa del Terzo mondo. La Chiesa ha compiuto una scelta forte, con una connotazione già marcata visto che si tratta di colui che era prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. È stata messa da parte l’idea di un Papa di transizione o di mediazione. Si è preferito un profilo molto forte perché la Chiesa si sente sfidata dal tempo in cui vive. E da qui nasce un rischio di integralismo».
Una rottura rispetto al papato di Giovanni Paolo II?
«Credo che da lui Ratzinger erediti l’essere milite di Cristo con l’orgoglio del combattente. Invece non vedo continuità sui grandi drammi del nostro tempo, a partire dalla guerra. Mi sembra che l’elemento che si fondava sulla giustizia del mondo sia omesso. All’atteggiamento conciliare che individua un cammino comune tra credenti e non credenti, vedo contrapporsi un accento sulla comunità dei credenti secondo la parola di Cristo».
Da qui il rischio di integralismo?
«Joseph Ratzinger coglie due grandi questioni della vita contemporanea: l’Occidente e la modernità. Io concordo sul rischio catastrofe che deriva da questi problemi, ma la soluzione non può e non deve essere che solo Cristo ci può salvare. Perché questo vuol dire chiusura, negare altri aspetti sociali su cui i suoi predecessori si sono cimentati. E allora il rischio integralismo non riguarda solo il piano teologico, ma si traduce sul terreno mondano».
Un esempio?
«Prendiamo l’Europa. Per Ratzinger appare sulla via del congedo anche etnicamente. Mentre per me il meticciato, la contaminazione sono scelte di civiltà e vera base di dialogo».
Nella «Dominus Jesus» del 2000 l’allora cardinale Ratzinger non sembrava lasciare alcuno spazio al valore salvifico delle altre religioni.
«Va bene l’Europa cristiana, purché vadano bene anche quella ebraica, islamica, bianca, nera e via dicendo».
Cosa succederà sui temi aborto, donne, omosessualità...?
«Giovanni Paolo II non ha avuto posizioni di apertura su questi argomenti. Però certamente non ha mai affermato, come invece ha fatto Ratzinger, che chi fa campagna e vota in favore dell’aborto o dell’eutanasia è in grave peccato e non dovrebbe ricevere i sacramenti. Perciò penso che adesso vivremo una radicalizzazione della linea di Wojtyla».
Piero Fassino dice che Benedetto XVI «rassicura sul piano dottrinario» e che «non sarà un Papa integralista».
«Io segnalo dei rischi. Vedremo. Comunque non mi piace commentare le opinioni di altri su Ratzinger, preferisco esprimere direttamente il mio pensiero».
Ritiene che i dati politico-biografici di Ratzinger - dal suo passaggio nella Gioventù nazista alle posizioni nette contro i movimenti del ’68 - siano significativi per la linea che traccerà il neo-Papa?
«Come per chiunque. Detto questo, sono così significativi che è stato il braccio destro di un Pontefice che abbiamo tutti osannato...».
Benedetto XVI ha segnalato il relativismo culturale come principale avversario.
«Io sono ovviamente molto critico verso il relativismo, in nome di una politica pensata come idee forti, persino come ideologia. Però secondo me il pericolo principale per il mondo in cui viviamo deriva dai fondamentalismi, che lavorano per un conflitto di civiltà. Questo mi preoccupa. Quando si sostiene che non c’è carità senza fede, si preclude il dialogo. Il rischio integralismo nasce dal primato assoluto, e sottolineo assoluto, della fede sulla ragione. Non si può abbandonare la via che discendeva dal Concilio Vaticano II di utilizzare gli strumenti della società contemporanea».
Ratzinger ha paura per l’umanità...
«La ha davvero e giustamente. Ma il rischio nasce dalle sue posizioni teologiche. È un crociato, ma non un rozzo uomo di destra; è un raffinato intellettuale mitteleuropeo, non un politico della Lega o di Forza Italia... Ha una dialettica molto complessa che gli ha anche fatto esprimere giudizi positivi sulla socialdemocrazia».
La stampa del Sud del mondo esprime grande preoccupazione. Viene sottolineata anche la presenza del cardinale Medina come annunciatore dell’«Habemus Papam».
«Medina, sostenitore di Pinochet, si è macchiato di crimini in nome dell’anticomunismo e su questo noi abbiamo criticato anche il papato precedente. Ma la Chiesa non si divide mai al suo interno».
Negli ultimi anni lei sta compiendo quello che ha definito «un percorso» sul terreno religioso. Con il nuovo Pontefice, pensa che cambierà velocità?
«Non cambia nulla. Si deve guardare alla Chiesa nella sua complessità. Nemmeno in politica io giudico i partiti in base al segretario del momento».