sabato 23 aprile 2005

il confronto tra Cina e Giappone

La Stampa 23.4.05
AL VERTICE DI 100 PAESI AFRICANI E ASIATICI IN INDONESIA
Tokyo chiede scusa Pechino resta gelida «Fatti, non parole»
Il premier Koizumi vuole incontrare Hu Jintao, ma una manifestazione
nostalgica di alcuni deputati giapponesi fa infuriare il governo cinese

GIAKARTA. «Forte rimorso e scuse dal profondo del cuore del Giappone»: con queste parole il premier nipponico Junichiro Koizumi ha cercato ieri di ricucire la crisi tra Tokyo e Pechino. Al vertice Asia-Africa che si è aperto ieri a Giakarta nel 50simo anniversario nella fondazione del movimento di Paesi non allineati, Koizumi ha fatto un mea culpa senza precedenti per il passato del suo Paese che ha causato «attraverso il dominio coloniale e le guerre di aggressione tremendi danni e sofferenze alla popolazione di molti Paesi, soprattutto asiatici». Un passato, quello degli anni ‘30-40, che non si ripeterà più, ha assicurato il premier giapponese: «Abbiamo rinunciato per sempre all’uso della forza come strumento di soluzione dei conflitti internazionali».
Un’ammissione di colpe senza precedenti per smorzare una crisi che è scoppiata con manifestazioni antinipponiche in diverse città cinese. Le proteste erano scattate a causa della revisione della storia operata da alcuni manuali scolastici giapponesi che minimizzavano o addirittura ignoravano episodi come il massacro di cinesi durante l’invasione del Sol Levante degli anni ‘30. Ma - in un Paese dove è difficile immaginare moti di protesta spontanei - i cinesi hanno manifestato soprattutto contro l’ipotesi dell’assegnazione di un seggio nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu a Tokyo, proprio nei giorni in cui si è discusso della riforma del Palazzo di Vetro. Il veto di Pechino, come membro permanente del Consiglio, basterebbe a bloccare le ambizioni nipponiche e Koizumi ha fatto il suo pentimento a Giakarta anche allo scopo di ottenere, oggi, un incontro con il leader cinese Hu Jintao.
La reazione della Repubblica Popolare è però stata fredda. Kong Quan, portavoce della diplomazia di Pechino, si è limitato a dichiarare: «Apprezziamo l’atteggiamento di Koizumi». Più tagliente il commento di Li Bin, ambasciatore di Pechino in Corea del Sud: «I fatti sono ben più importanti delle parole». E i fatti sono il pellegrinaggio che un’ottantina di deputati giapponesi - tra cui il ministro dell’Interno - hanno visitato Yakusuni, il tempio scintoista del patriottismo giapponese. Al Yakusuni si onora la memoria di due milioni e mezzo di caduti, tra cui criminali di guerra condannati dal Tribunale internazionale. E la visita - seppure in «forma privata» - di politici nipponici in questo luogo simbolico ha provocato le ire della Cina: «Mentre le relazioni sino-giapponesi attraversano una grave crisi, esprimiamo vigorosamente il nostro malcontento», ha tuonato un comunicato ufficiale di Pechino.
E per quanto Koizumi abbia ieri dato per certo il suo incontro con Hu Jintao a Giakarta, la parte cinese non l’ha confermato: «I ministri degli Esteri stanno ancora conducendo consultazioni», ha precisato Kong Quan ricordando che comunque l’incontro tra i due leader non basterà a risolvere la crisi se Koizumi non farà mosse concrete a sostegno delle sue dichiarazioni di scusa. E il presidente cinese nel suo discorso al forum di Giakarta ieri ha manifestatamente ignorato la questione giapponese, preferendo rivolgersi ai Paesi in via di sviluppo con un messaggio contro l’«unilateralismo» degli Stati Uniti, promettendo sostegno economico e politico agli Stati più poveri. Un discorso che, fatto davanti a un centinaio di leader dell’Asia e dell’Africa, sembra puntato a candidare Pechino a leader di un «terzo mondo» di cui, secondo Hu Jintao, il suo Paese fa ancora parte.
Una partita politica che però ha anche pesanti contraccolpi economici e il ministro del Commercio cinese, Bo Xilai, ha invitato ieri a non trasferire la polemica sui manuali di storia e il seggio all’Onu nell’economia e ha chiesto ai consumatori della Repubblica Popolare di non boicottare i prodotti giapponesi. Secondo il ministro, le proteste antinipponiche non influenzeranno i rapporti commerciali tra i due Paesi e gli investimenti di Tokyo in Cina non sono a rischio.