martedì 10 maggio 2005

storia
un'idea di Roosevelt

L'Arena Lunedì 9 Maggio 2005
Una vicenda singolare e dimenticata
Benedetto Croce, il filosofo che poteva diventare re
Emanuele Luciani

Sui rimedi per i mali della società, Platone non aveva dubbi. Continueranno ad essercene, scriveva, "a meno che i filosofi non divengano re, oppure che coloro che adesso vengono chiamati re non divengano filosofi". Una prospettiva più utopica che realistica, anche perché il re, o più in generale chi detiene il potere, deve misurarsi con i problemi concreti e non con le astrazioni del pensiero. Se non manca qualche eccezione, come dimostra il caso di Marco Aurelio, di solito si impone una sorta di divisione del lavoro, anche perché l'uomo di pensiero aspira più al ruolo di consigliere del principe che a quello di principe.
Eppure, proprio in Italia ed in tempi relativamente recenti, al re-filosofo, o meglio al filosofo-re, ci siamo quasi arrivati. Si tratta di una vicenda tanto singolare quanto dimenticata, portata alla luce da Emanuela Scarpellini dell'Università di Milano. Ne sono protagonisti tre personaggi: Winston Churchill, Franklin Delano Roosevelt e Benedetto Croce. I primi due in particolare, perché Croce viene tenuto all'oscuro di tutto e solo nel 1951 verrà a sapere che avrebbe potuto diventare un filosofo-re. Non nasconderà la sua sorpresa e ci terrà a precisare che quel ruolo lo avrebbe comunque rifiutato.
La vicenda si sviluppa fra il febbraio ed il marzo del 1944, quando l'Italia, per usare proprio un'espressione crociana, è "tagliata in due". Al Nord i tedeschi e la Repubblica sociale di Mussolini, al Sud gli Alleati il re e Badoglio, in mezzo la guerra. Croce vive quel drammatico periodo al Sud e gode di un notevole prestigio anche in campo politico. Nella politica, comunque, si trova coinvolto per senso del dovere: preferirebbe dedicarsi agli studi, anche perché la situazione è complicatissima. Il re e Badoglio, spalleggiati da Churchill, cercano di conservare nelle loro mani il potere (poco) che gli Alleati concedono agli italiani. I partiti, soprattutto quelli di sinistra, appoggiati o quanto meno ascoltati da Roosevelt, vogliono invece contare di più e chiudere i conti non solo con il re ma con la monarchia. I liberali e Croce puntano ad una difficile mediazione: dare spazio ai partiti, convincere il re a farsi da parte, ma salvare la monarchia. Che è poi la soluzione che finirà per imporsi, con Vittorio Emanuele III che nominerà il figlio Umberto luogotenente del Regno.
Ma prima di arrivarci, si percorrono varie strade. Roosevelt, nel marzo del 1944, manda a Churchill un telegramma in cui propone che Vittorio Emanuele venga tolto di mezzo. Al suo posto, come luogotenente, va collocato un personaggio dotato di un prestigio tale da essere accettato da tutti i partiti: Benedetto Croce. Ma il filosofo, che tra l'altro è all'oscuro di tutto, sta vivendo momenti difficili. Si è fratturato un braccio, è depresso per il destino dell'Italia e si sente assediato dai politici. Infatti, proprio mentre Roosevelt lo vorrebbe capo dello Stato, sono in molti a premere perché accetti di sostituire Badoglio alla guida del governo.
Paradossalmente, egli vorrebbe solo tornarsene ai suoi studi ed è Churchill a trarlo indirettamente d'impaccio. Il premier inglese aveva già preso una chiara posizione in febbraio, con un discorso che sarà poi ricordato come "il discorso della caffettiera". A suo giudizio, Badoglio e la monarchia dovevano restare, perché mancavano alternative. "Quando occorre tenere in mano una caffettiera bollente - aveva affermato alla Camera dei Comuni - è meglio non rompere il manico finché non si è sicuri di averne uno altrettanto comodo e pratico".
Con queste premesse, non meraviglia la sua risposta al telegramma di Roosevelt: sarà il figlio Umberto e non un vecchio filosofo, famoso soprattutto per aver scritto libri noiosi, a prendere il posto di Vittorio Emanuele III. Politico abituato al realismo, Churchill non apprezza l'idea di un filosofo-re. Ed è proprio Croce a confermarlo indirettamente nel suo giudizio con un'annotazione rivelatrice affidata al diario: "ho dovuto fermamente dichiarare che non sentivo in me le esperienze e le doti necessarie per governare la mia patria". Tutto ritorna così al suo posto: i politici a fare i politici ed i filosofi a fare i filosofi. Roosevelt ritira la sua proposta, e Croce non diventa il primo filosofo-re della storia italiana. Resisterà anche alle pressioni di chi lo vorrebbe presidente del consiglio. Accetterà, più semplicemente e più coerentemente, di essere ministro senza portafoglio: una scelta che gli permette di non rubare troppo tempo alla filosofia.