Corriere della Sera 2.6.05
Filosofi e storici contestano un cardine della psicoanalisi
LA RIVOLTA CONTRO FREUD
CROLLA IL MITO DI EDIPO
L’incesto fra madre e figlio è l’architrave dell’inconscio Ma la crisi della famiglia oggi lo rimette in discussione
di Silvia Vegetti Finzi
«Se il re Edipo riesce a scuotere l'uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, scrive Freud nell' Interpretazio ne dei sogni (1900), riferendosi alla omonima tragedia di Sofocle, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che... il suo destino sarebbe potuto diventare anche il nostro». Anche noi durante la prima infanzia amiamo il genitore di sesso opposto e consideriamo un rivale quello del medesimo sesso ma, più fortunati di Edipo, punito con la cecità e l'esilio, non realizziamo questo desiderio, limitandoci a fantasticarlo finché, colpito dal divieto dell'incesto, precipita nell'inconscio a opera di una rimozione che ci rende nevrotici perché umani. Per Freud il mito di Edipo, che costituisce la trama della tragedia sofoclea, si impone come vero per gli effetti emotivi che suscita, né potrebbe essere altrimenti dato che svela un «materiale onirico primordiale», in cui è possibile riconoscere l'architrave dell'inconscio e la mappa della terapia psicoanalitica.
Nella sua antropologia (Totem e Tabù, 1912-13), il complesso di Edipo si rivela strutturare tanto la mente individuale quanto i rapporti familiari, entrambi basati su desideri incestuosi e sulla loro interdizione. Un'interdizione che non solo limita l'onnipotenza dell'inconscio, ma obbliga le famiglie, per contrarre alleanze matrimoniali, a stabilire patti simbolici tra di loro. Come tale l'Edipo fonda la società e separa, secondo Lévi-Strauss, la legge morale dalla promiscuità animale, la cultura dalla natura. Ma ora, nel momento di crisi della famiglia nucleare, si pongono nuovi quesiti: è ancora necessario che i bambini, per definire la propria identità sessuale, affrontino il complesso di Edipo e la sua interdizione? L'unica struttura della famiglia è il triangolo padre-madre-figli? La società è tuttora, come riteneva Aristotele, fondata sulla famiglia? Domande che ci confrontano con la convinzione di Freud che il mito di Edipo esprima una verità valida per tutti e per sempre.
Proprio sullo statuto attuale dei miti è sorta un’interessante discussione nell'ambito del ciclo di conferenze, organizzato da Gennaro Carillo presso l'Università Suor Orsola Benincasa di Napoli («I Contemporanei del futuro», dedicato a Giuseppe Pontiggia, al suo appassionato amore per i classici).
Gli interventi, espressi da alcuni dei maggiori studiosi della cultura antica quali Guido Avezzù, Franco Montanari, Mario Vegetti e lo stesso Gennaro Carillo, seppur differenti tra loro, mostrano quanta distanza ci separi da Freud, dalla sua convinzione che il mito esprima una verità a priori, universale e perenne. Avezzù rileva infatti un'interruzione epocale tra il mito, inteso come racconto condiviso, «racconto già raccontato», e la sua rielaborazione letteraria. In questo senso l'Edipo di Sofocle è una delle tante narrazioni disponibili, anche se, nella tradizione culturale, quella versione si è imposta su tutte le altre. Carillo, Montanari e Vegetti sono d'accordo con lui ma sottolineano la continuità delle produzioni mitopoietiche che, con differenti espressioni, troviamo in tutte le culture ed epoche. Per Avezzù, attento al lessico dei mass-media, sulla narrazione verbale prevale ora l'immagine iconografica e, per Carillo, con finalità differenti rispetto al passato per cui alla «verità» del mito si è sostituita ora l'efficacia persuasiva, il potere di edificazione morale, sino a suggerire la inquietante ipotesi di una «psicosi consapevolmente indotta», finalizzata alla difesa dell'assetto sociale esistente, come nel film The Village di Shyamalan, dove l'evocazione di paurose «creature innominabili» serve a mantenere quella piccola comunità rurale entro i tradizionali recinti del villaggio.
Quanto alla contrapposizione tra Mythos e Logos, tra immaginazione e ragione, il più deciso è Mario Vegetti il quale nota che, benché anche la filosofia si avvalga del mito, come mostrano Platone nella Repubblica e Hegel nella Fenomenologia dello spirito, tuttavia le due forme di pensiero si contrappongono perché l'una si fonda sull'interpretazione, l'altra sull'argomentazione. Ciò nonostante convivono, nota Avezzù, per cui anche il manager aziendale, al di fuori dall'ambito professionale fondato su razionalità e calcolo, può interrogare il «sapere» della cartomante.
I miti hanno un accesso privilegiato alla verità? Sì, risponde Carillo, perché la esprimono con l'immediatezza della metafora e ci permettono, sottolinea ancora Avezzù, di «visualizzare» situazioni altrimenti indefinibili. Per Montanari i miti sono un linguaggio che esprime in modo efficace valori e conflitti di ogni civiltà. Il mito di Edipo, ad esempio, rappresenta, nell'Atene del V secolo, il conflitto tra uomo e divinità. Ma, anche se fossero le espressioni più originarie del pensiero, dice Vegetti, non per questo i miti sarebbero più veri: la fisica di Empedocle non è più "vera" di quella di Einstein perché si colloca all'inizio del pensiero occidentale. Analogamente il mito di Edipo non è più vero della leggenda di Amleto o di 2001 Odissea nello spa z io . Infine tutti gli studiosi convergono sul fatto che i miti hanno ancora qualche cosa da dirci. Per Montanari sono «una importantissima porta d'ingresso per l'interpretazione di una civiltà»; per Vegetti, esprimono ciò che siamo in grado di leggervi come interpreti-interroganti attivi. Ma ogni epoca, precisa ancora Avezzù, li interpreta a modo proprio: «per noi, oggi, spezzate le tradizionali gabbie interpretative, Edipo non deve necessariamente essere re, può essere un uomo qualunque, perché no? Un marinaio venuto d'oltremare; e invece che nella reggia di Tebe il suo dramma può ripetersi in una casupola dell'Alfama, il vecchio e popolare quartiere arabo di Lisbona».
Penso che, se Freud potesse intervenire nella discussione, sarebbe d'accordo con gli antichisti per quanto riguarda la storia della cultura, ma ribatterebbe che l'inconscio non conosce il tempo e che pertanto l'Edipo rimane una stella fissa nell'universo in movimento. Con la conseguenza di produrre un divario sempre più lacerante tra ciò che dentro di noi sentiamo e quanto di fatto viviamo.
Gli interventi citati sono stati espressi da: Guido Avezzù, ordinario di Letteratura greca, Università di Verona; Gennaro Carillo, ordinario di Storia delle Dottrine Politiche, Università Suor Orsola Benincasa di Napoli; Franco Montanari, ordinario di Letteratura greca, Università di Genova; Mario Vegetti, professore fuori ruolo di Storia della Filosofia antica, Università di Pavia.
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