lunedì 11 luglio 2005

American Psychiatric Association
ortoressia

La Stampa 11 Luglio 2005
Ossessionati dal cibo sano?
Attenzione, è una malattia

Francesca Paci

Il dottor Steven Bratman è un ex freakettone americano, che negli Anni Settanta viveva in una comune agricola all’ombra dei tolleranti grattaceli di New York. Figlio dei fiori ma soprattutto dei frutti rigorosamente organici coltivati nell’orto. «Sarei scivolato nel fondamentalismo alimentare se un mattino non fossi stato folgorato sulla via di Damasco», scrive nel saggio «Health Food Junkies». Fu quando il suo guru gastronomico, un vegan oltranzista che si nutriva di frutta e poco altro, gli confidò d’essersi convertito alla pizza dopo un sogno rivelatore. Ne è passato di tempo da allora. La margherita divide ormai con il kebab il titolo di cibo più nazional-popolare del mondo, l’economia comunarda ha ceduto il passo al business alternativo dei centri sociali, e il dietologo Steven Bratman ha legato il suo nome allo studio dell’ortoressia, una patologia che si traduce con l’ossessione per il cibo sano.
Secondo l’American Psychiatric Association i disturbi alimentari rappresentano oggi le principali cause di morte per malattia mentale in Europa e negli Stati Uniti. L’ortoressia (dal greco orthos che significa giusto e orexis che sta per appetito) comincia piano piano, strisciante, subdola. L’insalata del contadino sì, il latte a lunga conservazione solo se è il 15 agosto e non si vede in giro neppure il miraggio di un bar, i broccoli surgelati neanche a parlarne. Nel sito www.orthorexia.com Bratman spiega che all’inizio la patologia si manifesta come «un innocente desiderio di stare in forma e mangiare prodotti naturali». Un problema di semplice qualità, non di quantità maniacalmente controllata come per i fissati della linea. Così, certo d’essere al sicuro dietro lo scudo della salute, l’ortoressico s’avventura in un labirinto di regole alimentari talmente complicato da perderci il senno. Bratman conosce per esperienza il tarlo del senso di colpa che si mette a scavare alla minima trasgressione. Se dopo la defezione del suo vecchio guru non avesse incontrato David Steindl-Rast, un monaco benedettino convinto che lasciare del cibo nel piatto fosse comunque un’offesa a Dio, Bratman sarebbe probabilmente stato risucchiato dal loop, la spirale che ha intrappolato molti suoi amici e futuri pazienti.
Ecco l’ennesima americanata, dirà qualcuno. E può darsi che la visione psicocentrica della società made in Usa, descritta così bene nei classici di Woody Allen, sia una forma più sofisticata di ossessione. D’altra parte, qualsiasi critica alimentare proveniente dalla «Fast Food Nation» del saggista Eric Schlosser è destinata a suscitare scetticismo negli europei. Ma Steven Bratman, un dietologo stimato che è stato consulente del Medical Board di Washington ed è autore della collana «Natural Pharmacist Natural Medicine Encyclopedia», ha analizzato decine e decine di casi. Donne e uomini magrissimi, emaciati, corrosi da una forza di volontà inversamente proporzionale a quella fisica sempre più debole. A giudicare dagli effetti, sembrava una forma meno grave di anoressia. Fino alla scomparsa di Kate Finn, una ragazza americana ossessionata dal mangiare sano fino a morirne, nel 2003. Pesava talmente poco che bastava una pacca sulla spalla per spostarla come una bambola.
In Italia non se parla ancora granché. Tra le prime ricerche effettuate ce n’è una condotta alcuni mesi fa da un team di studiosi dell’Istituto di Scienza dell’Alimentazione dell’Università La Sapienza di Roma su 404 persone a rischio di «ortoressia nervosa». Ventotto di loro sono state riconosciute affette da «sindrome ossessiva-compulsiva per i cibi sani». Oltre a nutrirsi di alimenti essenziali alla maniera degli antichi eremiti, associavano istintivamente alcuni aggettivi al variegato contenuto di un frigorifero: «pericoloso» per i prodotti conservati, «artificiale» per quelli sintetizzati in stabilimento, «salvifico» per le coltivazioni biologiche. Un identikit in cui qualsiasi vegetariano potrebbe riconoscersi, a condizione di non farne una malattia. Una curiosità: a differenza della maggior parte delle anoressiche, questi acclarati ortoressici italiani sono soprattutto uomini.