oltre al'uscita del terzo numero di Left, due lettere su Liberazione di questa mattina, di Loredana e di Lamberto
Lettere Liberazione 3 marzo 2006
"Liberazione"
Un grazie a Angela Azzaro
Caro direttore, titolo in prima pagina di "Liberazione" 28.02.2006: “L’origine dell’odio xenofobo è la donna”….bellissimo.
Questa Angela Azzaro questa volta batte tutti. Scriverò per ringraziarla, sperando di non essere cestinata questa volta, perché mi ha regalato un momento di gioia e di speranza in questo mondo così grigio. Finalmente un accenno alla verità:«La volontà di subordinare alla vita astratta, fondata sull’amore di dio, le vite reali, quelle delle donne (che rappresentano il massimo della diversità)»... e poi: «Quando il Papa dice: "L’embrione è persona" subordina la vita delle donne in carne e ossa alla difesa degli embrioni...»
[Vi avevo scritto due volte prima d’ora, con la prima riprendevo tutto il magnifico discorso scientifico fatto più volte da Giulia Ingrao, (mi ero sempre chiesta perchè fosse conoscenza ormai pubblica che per stabilire la diagnosi di morte di una persona fosse fondamentale la valutazione della presenza di funzionamento cerebrale, e lo stesso principio non fosse così chiaro per la diagnosi di inizio vita umana…tant’è che ne diventava un fatto politico..), - ed ora chiederei: quanto un politico, un giornalista ha il dovere di sapere la verità anche se per averla fosse necessario inerpicarsi in un approfondimento scientifico come ad esempio la geologia del sottosuolo per la TAV?
Nella seconda parlando di Gesù Cristo riflettevo sul messaggio all’umanità della figura di un uomo che solo con la sua morte poteva dare veramente qualcosa agli altri. Mi sono sempre ribellata perché so bene un fatto: per un bamino non è sopportabile sapere di essere, di esserci perché qualcun altro sta male..una vita mea- mors tua che proposta soprattutto quando l’essere umano è un bambino…può fare impazzire, impazzire dal dolore perché un bambino non è un perverso polimorfo.
Ratzinger che dice che una donna che abortisce secondo la legge 194 è un’assassina… “sei perché qualcun altro non c’è più”…e non è vero !!]
Queste parole: «Le donne che rappresentano il massimo della diversità subordinate alla vita astratta, fondata sull’amore di dio», le ripeto ancora perché sono bellissime e coraggiose, è la verità da secoli e secoli. Un meccanismo che non si arresta. All’“origine dell’odio xenofobo”, da secoli e secoli. Grazie Angela.
Loredana via e-mail
quanto qui sopra appare in corsivo e tra parentesi
non ha però trovato spazio sulla pagina delle Lettere di "Liberazione" di oggi
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non ha però trovato spazio sulla pagina delle Lettere di "Liberazione" di oggi
Modelli
“Striscia” un sorriso velenoso
Cara “Liberazione”, l’altro giorno discutendo in classe di Pirandello, siamo arrivati a parlare dei falsi modelli che molte trasmissioni propongono, e l’elenco potrebbe essere lungo: essere famosi, apparire, l’estetica, ecc.
Le trasmissioni incriminate erano “Uomini e donne”, “Saranno Famosi”, i vari reality, ma non nominavano quella che a mio parere è più violenta… Sì, penso che “Striscia la notizia” sia la più violenta. Perché? Mi aiuto con un testo di psichiatria dove, in un capitolo sull’esibizionismo, si parla di ebefrenia. E’ il sorriso del matto che ci guarda ci dice: «Sì, io sono matto, ma lo sei anche tu. Siamo tutti matti». “Striscia” fa uguale: «In quell’ospedale manca questo e quello»?, risate. «Questa opera pubblica non è stata finita e non si sa dove sono finiti i soldi»?, risate. Il messaggio è: sono tutti disonesti, ridiamo, sono tutti pazzi, ridiamo… Ora, per far capire cosa si intende per sorriso ebefrenico, dovrei fare qualche esempio di persona che ha un sorriso del genere e, sebbene abbia in mente una bocca con stampato sopra un sorriso, non mi viene in mente un volto preciso, solo come una grossa immagine che di sfuggita mi sfiora gli occhi mentre guido. Se qualcuno di voi ora ha sorriso, faccia la prova e verifichi se è lo stesso che a volte capita anche a me di avere mentre seguo “Striscia”, provi a togliere l’audio e si accorgerà del sibilo del serpente che ti inietta un veleno terribile perché indolore, non te ne accorgi. Ma se riesci a seguire ciò che dicono senza farti invadere dal sorriso ebefrenico, ti accorgi di una pantomima che invita a fregarsene del mondo e di tutto, tanto «siamo tutti matti, tutti disonesti, è così!» La vera forza è fregarsene, quella superiorità che diventa indifferenza verso tutto, compreso e forse soprattutto verso la politica. Infatti, per le nuove generazioni la politica è una cosa da tenere
lontana, sporca. Chissà chi avrà dato loro questo pensiero? Pirandello? Qualche disonesto? Il serpente strisciante per vendere i suoi valori made in Usa per cui è importante apparire, essere famosi? …
Cara “Liberazione”, l’altro giorno discutendo in classe di Pirandello, siamo arrivati a parlare dei falsi modelli che molte trasmissioni propongono, e l’elenco potrebbe essere lungo: essere famosi, apparire, l’estetica, ecc.
Le trasmissioni incriminate erano “Uomini e donne”, “Saranno Famosi”, i vari reality, ma non nominavano quella che a mio parere è più violenta… Sì, penso che “Striscia la notizia” sia la più violenta. Perché? Mi aiuto con un testo di psichiatria dove, in un capitolo sull’esibizionismo, si parla di ebefrenia. E’ il sorriso del matto che ci guarda ci dice: «Sì, io sono matto, ma lo sei anche tu. Siamo tutti matti». “Striscia” fa uguale: «In quell’ospedale manca questo e quello»?, risate. «Questa opera pubblica non è stata finita e non si sa dove sono finiti i soldi»?, risate. Il messaggio è: sono tutti disonesti, ridiamo, sono tutti pazzi, ridiamo… Ora, per far capire cosa si intende per sorriso ebefrenico, dovrei fare qualche esempio di persona che ha un sorriso del genere e, sebbene abbia in mente una bocca con stampato sopra un sorriso, non mi viene in mente un volto preciso, solo come una grossa immagine che di sfuggita mi sfiora gli occhi mentre guido. Se qualcuno di voi ora ha sorriso, faccia la prova e verifichi se è lo stesso che a volte capita anche a me di avere mentre seguo “Striscia”, provi a togliere l’audio e si accorgerà del sibilo del serpente che ti inietta un veleno terribile perché indolore, non te ne accorgi. Ma se riesci a seguire ciò che dicono senza farti invadere dal sorriso ebefrenico, ti accorgi di una pantomima che invita a fregarsene del mondo e di tutto, tanto «siamo tutti matti, tutti disonesti, è così!» La vera forza è fregarsene, quella superiorità che diventa indifferenza verso tutto, compreso e forse soprattutto verso la politica. Infatti, per le nuove generazioni la politica è una cosa da tenere
lontana, sporca. Chissà chi avrà dato loro questo pensiero? Pirandello? Qualche disonesto? Il serpente strisciante per vendere i suoi valori made in Usa per cui è importante apparire, essere famosi? …
Lamberto Vaghetti via e-mail
Gabriella Cetroni segnala:
l'Unità 3.3.06 prima pagina e pagina 23
Ingrao: 1956, i miei errori nel nome di Lenin
«Altro che imperturbabilità! Appena rientrato in Italia Togliatti tacque e basta sul Rapporto segreto di Krusciov. E al Comitato centrale di li a poco, evocò i progressi dell’Urss e l’importanza del XX Congresso.Con qualche cenno al “culto della personalità”, e all’errore staliniano di aver ingigantito l’insidia dei nemico. Non senza elogi a Stalin, e senza riferirsi alla denuncia di Krusciov». Cìnquant’anni dal XX Congresso del Pcus e cinquanta dall’esplosione dell’«indimenticabile 56», celebre definizione coniata da Ingrao sulla scorta di un vecchio film sovietico (L'indimenticabile 1919).
Parla Pietro Ingrao. Il XX Congresso le tragedie di Polonia e Ungheria. Il dirigente comunista allora direttore de «l’Unità» racconta il dipanarsi degli eventi dopo il ritorno di Togliatti da Mosca e l’esplosione delle rivelazioni su Stalin.
Perciò, intervista «obbligata» Con Ingrao, testimone diretto degli eventi nel Pci e direttore de l'Unità nel 1956. Quello citato sopra è un frammento di una conversazione avvenuta in casa sua a Roma. impervia e un po’ tormentata. Perché Ingrao all’inizio non è affatto persuaso che l’intervista sia poi tanto obbligata: «Non sono così presuntuoso e sono cose di cui ho già parlato tante volte!». E poi Pietro - ipocrita darsi del lei davanti ai lettori - alla vigilia delle sue 91 primavere (31 marzo) ha un sacco da fare. Un’intervista sul cinema di Visconti. Una sulla musica classica («se dovessi bruciare tutto, salverei solo le cassette»). E l’infinita autobiografia che sta ultimando e che abbiamo sbirciato, quasi pronta per la stampa. Non molliamo la presa. E così, salite due volte le scale della sua casa dietro Piazza Bologna e dopo invio di traccia scritta, lo convinciamo. Ne nasce un colloquio fluviale, con dentro moltissime cose. Le emozioni e il clima delle rivelazioni su Stalin. L’iniziale muro di gomma di Togliatti e l’apertura delle cataratte. L’aspro confronto interno, inframmezzato dalle due «mazzate»: rivolta polacca e Ungberia. E poi ancora l’VIII Congresso del Pci, quello del caso Giolitti: «Aveva ragione sull’Ungheria - dice Ingrao - e per coerenza con la proclamazione del pluralismo avremmo dovuto riconoscere il suo diritto al dissenso». lngrao inoltre è convinto che quegli anni furono decisivi per aprire un ciclo di rinnovamento: «Portavamo sulle spalle i peccati dello stalinismo ma riuscimmo a non farci isolare, perché incarnammo grandi battaglie di progresso e libertà per milioni di persone».
Al suo rientro il segretario tacque sul Rapporto Segreto di Krusciov ma intanto Boffa da Mosca ci informava. Il che malgrado le occasioni mancate nel superare «l’appartenenenza di campo» - predispose il Pci agli «appuntamenti» del decennio successivo: centrosinistra, ripresa operaia, lotte del 1968. E pure di questo a lungo s’è parlato. Alla fine però decidiamo insieme di salvare solo il nocciolo iniziale del colloquio: il 1956. Che era poi il progetto originario dell’intervista. Ed ecco quel che Ingrao ci ha detto su quell’ anno fatale nel Pci.
Togliatti arriva a Roma alla stazione Termini,pochi giorni dopo la lettura del rapporto segreto di krusciov e la fine del XX Congresso del PCUS. E tu eri fra quelli che andarono a riceverlo. Quali erano i tuoi pensieri e quali le tue prime mosse al momento di incontrarlo?
«Al ritorno di Togliatti a Roma, in quel drammatico inverno dcl 1956- io ero ancora direttore dell’Unità - insistetti più volte, a lungo, per -avere da lui un’intervista sulle rivelazioni di Krusciov. Anche pcrch6 Boffa, il nostro corrispondente che da anni lavorava a Mosca, ci informava sul fermento che scuoteva quel paese: pensare che dopo anni uscivano dalle carceri, oltre che dai campi di concentramento, uomini e scrittori pieni di speranze, di timori e anche desideri di vendetta»
Insistenze disattese e frustrate?
«Alle mie richieste rispondeva sempre di no senza dare spiegazioni. Nel rapporto al Comitato Centrale parlò a lungo della nuova era che si apriva in Urss ma non disse parola sul rapporto segreto. A marzo la vicenda esplose in America - sul New York Times mi sembra- venne pubblicato il testo del rapporto segreto Gli americani lo avevano avuto dai, comunisti polacchi, felici forse di poter dare qualche fastidio a quegli uomini di Mosca che tante angherie avevano fatto a quel loro partito. Tornai ancora da Togliatti ad insistere per un’intervista, che ormai mi sembrava persino obbligata, necessaria. Rispose ancora di no. E noi dell’Unità ci limitammo a riprendere le notizie sconvolgenti che oramai viaggiavano su tutti i giornali borghesi. Mi sembrava impossibile che un giornale come l'Unità tacesse».
Eri persuaso che una discussione prima o poi si sarebbe aperta in quel partito scosso da tante rivelazioni sconvolgenti che colpivano al cuore il mito di Stalin?
«Avvenne di peggio. Per la primavera erano indette in ltalia le elezioni amministrative. Si può comprendere l’ansia con cui attendevamo - dopo le sconvolgenti vicende di Mosca i risultati di quel voto. In aprile, difatti, si tenne a Livorno un Comitato Centrale straordinario. Togliatti tenne in quell’incontro livornese una lunga. relazione di apertura, tutta dedicata alla vicenda. Senza nemmeno una parola sulle rivelazioni contenute nel rapporto di Krusciov. L’assemblea fu sconvolta e ferita da quel silenzio.
Alla fine del discorso, mentre scattavano gli applausi di rito, Amendola e Pajetta tennero ostentatamente le mani schiacciate sul loro• banco, a manifestare pubblicamente il loro dissenso. Poi nei corridoi che portavano alla scala si scatenarono nella massa dei compagni, commenti amari, proteste, interrogazioni smarrite. Nel pomeriggio parlarono all’assemblea Amendola e Pajetta e chiesero conto duramente di quel silenzio del capo. Nella sua replica finale Togliatti tacque ancora sugli eventi di Mosca. Disse solo alcune parole amarissime su ciò che aveva vissuto e patito nel suo soggiorno moscovita, al Komintem».
Finchè la situazione si sblocca, con la famosa intervista di Togliatti a Nuovi Argomenti. In cui parla di insufficienza della critica al “culto della personalità”.
Dopo Ie rivelazioni del New York Times l’Unità dette Infine la notizia della denuncia kruscioviana sulla questione di Stalin. E tira fuori il “Policentrismo” delle vie nazionali, con la logica dello stato-guida. Fu una svolta?
«Quel silenzio su Stalin non poteva durare più a lungo, di fronte alla tempesta politica che si era scatenata anche in Italia. E a giugno Togliatti concesse quell’intervista a Nuovi Argomenti. Contemporaneamente ne diede il testo anche a me. Ricordo le parole con cui accompagnò quei fogli. Mi disse: “Ecco il testo, non sono disposto a nessun cambiamento”; e la cosa era già evidente a tutti noi. L’intervista ebbe un’eco grande: in Italia e oltre frontiera. A luglio si tenne un Comitato Centrale già più sereno, in cui la riflessione sullo stalinismo si allargò, e si discusse anche delle iniziative possibili e della ricerca da impostare, compresa una rilettura della storia tormentata del Partito comunista italiano. E naturalmente subito tornò il nome di Gramsci. Presto però venne un grande mutamento di rotta».
La mazzata della rivolta di Poznan in Polonia, con decine e decine di morti….
«Scattò di nuovo la sanguinosa repressione sovietica sui moti sorti nella città di Poznan. E improvvisamente - credo senza consultazione con alcuno Togliatti scrisse un articolo che legittimava la repressione. E già il titolo posto a quello scritto era grave e significativo. Si intitolava: La presenza del nemico. Era il vecchio, finito argomento tante volte usato da regimi tirannici per legittimare la repressione. Era un brutto segnale, e io non seppi capirlo. Anzi, presto vennero errori miei gravi, che sono nmasti nella mia mente come un errore amarissimo».
I carri Sovietici a Budapest e quel tuo articolo che tanto ti è stato rimproverato: “Da una parte della barricata” Oggi lo rinneghi e sostieni l’esatto contrario. Con quali argomenti ?
«In autunno scoppiò la rivolta ungherese. E presto si scatenò la repressione da parte di Mosca. Io allora scrissi sull’Unità quell’articolo pessimo. Giustificava l’intervento sovietico ed era un articolo fatuamente enfatico, che ricorreva a quell’immagine romantica, “da una parte della barricata”, simbolo di tutte le insorgenze... E dimenticava cbe a Budapest c’era un popolo oppresso che insorgeva e l’esercito straniero di una grande potenza che reprimeva sanguinosamente. Certo: a Budapest c’era Minszenty, quel cardinale reazionario, e anche gruppi oonservaton che tentavano una rivincita. Ma questo non poteva assolutamente giustificare la repressione armata condotta in quel paese da un esercito straniero. Pesava anche - dentro di me - la lettura sbagliata della rivoluzione proletaria non solo com’era stata interpretata sanguinosamente da Stalin, ma anche nella vicenda -del leninismo, che mentre invocava la liberazione del proletariato serrava il potere nelle mani di un gruppo d’avanguardia. Più tardi, e ancora incompiutamente, compresi che libera rione del proletariato non poteva esserci se il potere restava stretto in poche mani, e avallato con le armi. Veniva crudamente cancellata la verifica quotidiana delle masse popolari (per che non usare queste parole antichissime) misurandosi con tutti i rischi necessari che reca con sé il dibattito libero e l’apprendere fecondo che nasce dal confronto riconosciuto e cercato».
La tua critica nel tempo si è spostata da Stalin a Lenin, fino a scorgere nel leninismo il germe di tante tragedie posteriori. Come ci sei arrivato?
«Faticosamente, in seguito appresi a valutare anche tutti i limiti del leninismo: e come l’insorgenza eroica di una minoranza non valesse a cancellare la costruzione libera di un sentire comune. Compresi solo dopo che anche il disprezzo di Togliatti verso gli intellettuali di Irodalmi Ujsag era ingiusto e infecondo, perché si esprimeva in uno sbrigativo annullamento invece di misurarsi con la complessità:anche dell’avversario, del diverso da noi “rossi”, comunisti d’avanguardia. Tanto più che noi, in Italia ed altrove, non volevamo la liberazione di pochi, ma di molti, e dei più reietti, dei più bisognosi di interrogazione e di ascolto. Ma tutto questo cominciai a capirlo solo anni dopo».
l'Unità 3.3.06 prima pagina e pagina 23
Ingrao: 1956, i miei errori nel nome di Lenin
«Altro che imperturbabilità! Appena rientrato in Italia Togliatti tacque e basta sul Rapporto segreto di Krusciov. E al Comitato centrale di li a poco, evocò i progressi dell’Urss e l’importanza del XX Congresso.Con qualche cenno al “culto della personalità”, e all’errore staliniano di aver ingigantito l’insidia dei nemico. Non senza elogi a Stalin, e senza riferirsi alla denuncia di Krusciov». Cìnquant’anni dal XX Congresso del Pcus e cinquanta dall’esplosione dell’«indimenticabile 56», celebre definizione coniata da Ingrao sulla scorta di un vecchio film sovietico (L'indimenticabile 1919).
Parla Pietro Ingrao. Il XX Congresso le tragedie di Polonia e Ungheria. Il dirigente comunista allora direttore de «l’Unità» racconta il dipanarsi degli eventi dopo il ritorno di Togliatti da Mosca e l’esplosione delle rivelazioni su Stalin.
Perciò, intervista «obbligata» Con Ingrao, testimone diretto degli eventi nel Pci e direttore de l'Unità nel 1956. Quello citato sopra è un frammento di una conversazione avvenuta in casa sua a Roma. impervia e un po’ tormentata. Perché Ingrao all’inizio non è affatto persuaso che l’intervista sia poi tanto obbligata: «Non sono così presuntuoso e sono cose di cui ho già parlato tante volte!». E poi Pietro - ipocrita darsi del lei davanti ai lettori - alla vigilia delle sue 91 primavere (31 marzo) ha un sacco da fare. Un’intervista sul cinema di Visconti. Una sulla musica classica («se dovessi bruciare tutto, salverei solo le cassette»). E l’infinita autobiografia che sta ultimando e che abbiamo sbirciato, quasi pronta per la stampa. Non molliamo la presa. E così, salite due volte le scale della sua casa dietro Piazza Bologna e dopo invio di traccia scritta, lo convinciamo. Ne nasce un colloquio fluviale, con dentro moltissime cose. Le emozioni e il clima delle rivelazioni su Stalin. L’iniziale muro di gomma di Togliatti e l’apertura delle cataratte. L’aspro confronto interno, inframmezzato dalle due «mazzate»: rivolta polacca e Ungberia. E poi ancora l’VIII Congresso del Pci, quello del caso Giolitti: «Aveva ragione sull’Ungheria - dice Ingrao - e per coerenza con la proclamazione del pluralismo avremmo dovuto riconoscere il suo diritto al dissenso». lngrao inoltre è convinto che quegli anni furono decisivi per aprire un ciclo di rinnovamento: «Portavamo sulle spalle i peccati dello stalinismo ma riuscimmo a non farci isolare, perché incarnammo grandi battaglie di progresso e libertà per milioni di persone».
Al suo rientro il segretario tacque sul Rapporto Segreto di Krusciov ma intanto Boffa da Mosca ci informava. Il che malgrado le occasioni mancate nel superare «l’appartenenenza di campo» - predispose il Pci agli «appuntamenti» del decennio successivo: centrosinistra, ripresa operaia, lotte del 1968. E pure di questo a lungo s’è parlato. Alla fine però decidiamo insieme di salvare solo il nocciolo iniziale del colloquio: il 1956. Che era poi il progetto originario dell’intervista. Ed ecco quel che Ingrao ci ha detto su quell’ anno fatale nel Pci.
Togliatti arriva a Roma alla stazione Termini,pochi giorni dopo la lettura del rapporto segreto di krusciov e la fine del XX Congresso del PCUS. E tu eri fra quelli che andarono a riceverlo. Quali erano i tuoi pensieri e quali le tue prime mosse al momento di incontrarlo?
«Al ritorno di Togliatti a Roma, in quel drammatico inverno dcl 1956- io ero ancora direttore dell’Unità - insistetti più volte, a lungo, per -avere da lui un’intervista sulle rivelazioni di Krusciov. Anche pcrch6 Boffa, il nostro corrispondente che da anni lavorava a Mosca, ci informava sul fermento che scuoteva quel paese: pensare che dopo anni uscivano dalle carceri, oltre che dai campi di concentramento, uomini e scrittori pieni di speranze, di timori e anche desideri di vendetta»
Insistenze disattese e frustrate?
«Alle mie richieste rispondeva sempre di no senza dare spiegazioni. Nel rapporto al Comitato Centrale parlò a lungo della nuova era che si apriva in Urss ma non disse parola sul rapporto segreto. A marzo la vicenda esplose in America - sul New York Times mi sembra- venne pubblicato il testo del rapporto segreto Gli americani lo avevano avuto dai, comunisti polacchi, felici forse di poter dare qualche fastidio a quegli uomini di Mosca che tante angherie avevano fatto a quel loro partito. Tornai ancora da Togliatti ad insistere per un’intervista, che ormai mi sembrava persino obbligata, necessaria. Rispose ancora di no. E noi dell’Unità ci limitammo a riprendere le notizie sconvolgenti che oramai viaggiavano su tutti i giornali borghesi. Mi sembrava impossibile che un giornale come l'Unità tacesse».
Eri persuaso che una discussione prima o poi si sarebbe aperta in quel partito scosso da tante rivelazioni sconvolgenti che colpivano al cuore il mito di Stalin?
«Avvenne di peggio. Per la primavera erano indette in ltalia le elezioni amministrative. Si può comprendere l’ansia con cui attendevamo - dopo le sconvolgenti vicende di Mosca i risultati di quel voto. In aprile, difatti, si tenne a Livorno un Comitato Centrale straordinario. Togliatti tenne in quell’incontro livornese una lunga. relazione di apertura, tutta dedicata alla vicenda. Senza nemmeno una parola sulle rivelazioni contenute nel rapporto di Krusciov. L’assemblea fu sconvolta e ferita da quel silenzio.
Alla fine del discorso, mentre scattavano gli applausi di rito, Amendola e Pajetta tennero ostentatamente le mani schiacciate sul loro• banco, a manifestare pubblicamente il loro dissenso. Poi nei corridoi che portavano alla scala si scatenarono nella massa dei compagni, commenti amari, proteste, interrogazioni smarrite. Nel pomeriggio parlarono all’assemblea Amendola e Pajetta e chiesero conto duramente di quel silenzio del capo. Nella sua replica finale Togliatti tacque ancora sugli eventi di Mosca. Disse solo alcune parole amarissime su ciò che aveva vissuto e patito nel suo soggiorno moscovita, al Komintem».
Finchè la situazione si sblocca, con la famosa intervista di Togliatti a Nuovi Argomenti. In cui parla di insufficienza della critica al “culto della personalità”.
Dopo Ie rivelazioni del New York Times l’Unità dette Infine la notizia della denuncia kruscioviana sulla questione di Stalin. E tira fuori il “Policentrismo” delle vie nazionali, con la logica dello stato-guida. Fu una svolta?
«Quel silenzio su Stalin non poteva durare più a lungo, di fronte alla tempesta politica che si era scatenata anche in Italia. E a giugno Togliatti concesse quell’intervista a Nuovi Argomenti. Contemporaneamente ne diede il testo anche a me. Ricordo le parole con cui accompagnò quei fogli. Mi disse: “Ecco il testo, non sono disposto a nessun cambiamento”; e la cosa era già evidente a tutti noi. L’intervista ebbe un’eco grande: in Italia e oltre frontiera. A luglio si tenne un Comitato Centrale già più sereno, in cui la riflessione sullo stalinismo si allargò, e si discusse anche delle iniziative possibili e della ricerca da impostare, compresa una rilettura della storia tormentata del Partito comunista italiano. E naturalmente subito tornò il nome di Gramsci. Presto però venne un grande mutamento di rotta».
La mazzata della rivolta di Poznan in Polonia, con decine e decine di morti….
«Scattò di nuovo la sanguinosa repressione sovietica sui moti sorti nella città di Poznan. E improvvisamente - credo senza consultazione con alcuno Togliatti scrisse un articolo che legittimava la repressione. E già il titolo posto a quello scritto era grave e significativo. Si intitolava: La presenza del nemico. Era il vecchio, finito argomento tante volte usato da regimi tirannici per legittimare la repressione. Era un brutto segnale, e io non seppi capirlo. Anzi, presto vennero errori miei gravi, che sono nmasti nella mia mente come un errore amarissimo».
I carri Sovietici a Budapest e quel tuo articolo che tanto ti è stato rimproverato: “Da una parte della barricata” Oggi lo rinneghi e sostieni l’esatto contrario. Con quali argomenti ?
«In autunno scoppiò la rivolta ungherese. E presto si scatenò la repressione da parte di Mosca. Io allora scrissi sull’Unità quell’articolo pessimo. Giustificava l’intervento sovietico ed era un articolo fatuamente enfatico, che ricorreva a quell’immagine romantica, “da una parte della barricata”, simbolo di tutte le insorgenze... E dimenticava cbe a Budapest c’era un popolo oppresso che insorgeva e l’esercito straniero di una grande potenza che reprimeva sanguinosamente. Certo: a Budapest c’era Minszenty, quel cardinale reazionario, e anche gruppi oonservaton che tentavano una rivincita. Ma questo non poteva assolutamente giustificare la repressione armata condotta in quel paese da un esercito straniero. Pesava anche - dentro di me - la lettura sbagliata della rivoluzione proletaria non solo com’era stata interpretata sanguinosamente da Stalin, ma anche nella vicenda -del leninismo, che mentre invocava la liberazione del proletariato serrava il potere nelle mani di un gruppo d’avanguardia. Più tardi, e ancora incompiutamente, compresi che libera rione del proletariato non poteva esserci se il potere restava stretto in poche mani, e avallato con le armi. Veniva crudamente cancellata la verifica quotidiana delle masse popolari (per che non usare queste parole antichissime) misurandosi con tutti i rischi necessari che reca con sé il dibattito libero e l’apprendere fecondo che nasce dal confronto riconosciuto e cercato».
La tua critica nel tempo si è spostata da Stalin a Lenin, fino a scorgere nel leninismo il germe di tante tragedie posteriori. Come ci sei arrivato?
«Faticosamente, in seguito appresi a valutare anche tutti i limiti del leninismo: e come l’insorgenza eroica di una minoranza non valesse a cancellare la costruzione libera di un sentire comune. Compresi solo dopo che anche il disprezzo di Togliatti verso gli intellettuali di Irodalmi Ujsag era ingiusto e infecondo, perché si esprimeva in uno sbrigativo annullamento invece di misurarsi con la complessità:anche dell’avversario, del diverso da noi “rossi”, comunisti d’avanguardia. Tanto più che noi, in Italia ed altrove, non volevamo la liberazione di pochi, ma di molti, e dei più reietti, dei più bisognosi di interrogazione e di ascolto. Ma tutto questo cominciai a capirlo solo anni dopo».
(ringraziamo Giorgio Valentini per la scansione del testo)
Anselmo Teolis segnala:Liberazione 3.3.06 Cultura pagina 3
Da Marx a Freud, il disagio
per un mondo feticcio
A centocinquanta anni dalla nascita non è solo la pratica del "sospetto" ad accomunare il fondatore della psicoanalisi con il filosofo tedesco. Il legame tra i due è lo scavo negli aspetti inquietanti del quotidiano
Da Marx a Freud, il disagio
per un mondo feticcio
A centocinquanta anni dalla nascita non è solo la pratica del "sospetto" ad accomunare il fondatore della psicoanalisi con il filosofo tedesco. Il legame tra i due è lo scavo negli aspetti inquietanti del quotidiano