sabato 15 marzo 2003

Il Messaggero 15.3.03
L'isteria secondo Juliet Mitchell
Donatella Trotta

«L’isteria? Non è affatto scomparsa dal mondo occidentale del ventesimo secolo; piuttosto, questo mondo manifesta un’isteria nascosta. Non necessariamente femminile, bensì maschile», dice Juliet Mitchell riportando subito un fenomeno classico, definito «utero vagabondo» nell’antica Grecia, «seduzione del diavolo» nel Medioevo e «soffocamento della madre» nel XVII secolo, all’attualità. Un presente minato dalle guerre, percorso da ingenti movimenti migratori, costellato di catastrofi naturali, attentati e violenza, sessuale e morale, dove l’isteria prende secondo Mitchell altri nomi: trauma, attacchi di panico, anoressia, disturbi della personalità. Con una possibile via d’uscita: «La valorizzazione della relazione di fratellanza, biologica ma anche sociale. Un modello, uno sguardo di lateralità omesso nelle teorie delle scienze sociali, psicologiche e politiche, completamente dominate da un paradigma verticale, secondo lo schema discendente o ascendente madre/padre-figlio, o figlio-genitori».
Juliet Mitchell è la grande madre del femminismo psicoanalitico contemporaneo in ambito anglosassone: colei che negli anni ’70, riabilitando l’opera freudiana, ha segnato il passaggio del movimento di liberazione della donna verso una teoria della differenza di genere. Neozelandese di origine, psicoanalista della British Psycho-Analytical Society e dell’Ipa, docente di psicoanalisi e studi di genere e società all’università di Cambridge, dove dirige il dipartimento di Scienze politiche e sociali, è una donna solare e comunicativa che ha firmato testi di culto come La condizione della donna, Psicoanalisi e femminismo, La rivoluzione più lunga. È di passaggio per Napoli in compagnia del marito antropologo, perché dopo la rivisitazione riveduta e corretta dell’isteria nel suo ultimo libro Mad Men and Medusas. Reclaiming Hysteria (2000), di imminente uscita in traduzione italiana per Raffaello Cortina editore, il prossimo ottobre la studiosa pubblicherà in Inghilterra un nuovo saggio, Fratelli. Sesso, violenza e genere, le cui conclusioni sono state anticipate ieri in un incontro presso l’Istituto per gli Studi filosofici, promosso dallo psichiatra e psicoanalista freudiano Franco Scalzone, con la collaborazione della collega Gemma Zontini.
«Quando i soldati della prima guerra mondiale hanno iniziato a soffrire di sintomi isterici - racconta Mitchell -, dimostrando l’esistenza di un’isteria maschile già individuata da Charcot a Parigi a metà Ottocento e ribadita da Freud nel 1886, la diagnosi isterica scompare, e nelle attuali diagnosi non esiste più». Usando studi sui soldati, ma anche la storia di Don Giovanni, Mitchell svela così la storia segreta dell’uomo isterico, liberando le donne da un gravoso sterotipo. «Ma la pratica clinica e la teoria psicoanalitica disattendono l’importanza dei fratelli e delle sorelle nello sviluppo di questa sintomatologia, una presenza relazionale responsabile anche della genesi del genere, ben oltre il complesso edipico», aggiunge. In ambito creativo, letterario o cinematografico, invece, la relazione di fratellanza ha descrizioni convincenti: «Penso al film di Visconti ”Rocco e i suoi fratelli” - spiega Mitchell - che antropomorfizza, per usare un concetto di Visconti, un punto di transizione tra una società basata su codici di socialità noti (il clan dei fratelli in Sicilia) ad un’altra da acquisire: la cultura individualistica della famiglia mononucleare a Milano».
Di più. Esiste anche un nesso significativo tra aumento della follia e aumento dell’emigrazione per ragioni di lavoro, studiato dall’antropologa con competenze psicoanalitiche Ann Parson: «Ma anche nel suo confronto tra la schizofrenia di emigranti italiani in una clinica di Boston e la stessa patologia in un ospedale napoletano manca in Parson la chiave fondamentale di lettura della fratellanza», osserva Mitchell. E cosa pensa della distruzione in atto della relazione materna, minacciata tra l’altro dalle biotecnologie, come ha di recente denunciato Luisa Muraro? La maternità non è forse la vera questione irrisolta della condizione femminile? «Le biotecnologie non sono le sole responsabili di questa situazione: basti pensare che anche nell’Africa subsahariana e in India la natalità è inversamente proporzionale al reddito da lavoro femminile». Condivide il Contrattacco alle donne analizzato da Susan Faludi? «La storia del femminismo è sempre stata storia dell’antifemminismo. In un saggio che ho curato nel ’96, Chi ha paura del femminismo?, si indaga proprio questo antagonismo interno al movimento stesso delle donne: basti pensare alle posizioni di Camille Paglia. Oggi è difficile trovare delle giovani che dichiarino di essere femministe. Ma tutte credono nella parità». E come vede allora le nuove frontiere del cyberfemminismo, con la ridefinizione del genere e dell’identità? «Già prima delle nuove tecnologie esistevano generi di transizione: basti pensare alla mitologia indiana, o all’antica Grecia coi suoi satiri e le Menadi. Oggi c’è in giro molta sessualità, che è cosa diversa dalla riproduzione, a dispetto della realtà virtuale comunque legata a due genitori, quindi alla differenza di genere anche nel caso di figli in provetta».