martedì 8 luglio 2003

Baricco da Repubblica del 6.7

(citato al seminario del lunedì)
La Repubblica 6.7.03
Le strane analogie tra il conte creato da Stoker e il personaggio mozartiano
Dracula, sosia di don Giovanni
LE IDEE
ALESSANDRO BARICCO

L' articolo di Baricco, che qui pubblichiamo, riproduce parzialmente il saggio scritto per il quarto volume del Romanzo, l' opera einaudiana curata da Franco Moretti e interamente dedicata a sondare tecniche, forme, storia e geografia di questo genere letterario. Il quarto volume (pagg. 865, euro 68,50) si intitola Temi, luoghi, eroi. Clotilde Bertoni e Massimo Fusillo si occupano dei topoi di lunga durata, Sylvie Thorel-Cailleteau del tema della mediocrità, Peter Burke dei Promessi sposi come storia sociale. Altri studiosi affrontano i luoghi dei romanzi (Piero Boitani si occupa, per esempio, della foresta). L' ultima sezione è dedicata ai personaggi: Nadia Fusini esamina Ottilia delle Affinità elettive e Hester Prynne della Lettera scarlatta. Benedetta Bini affronta Clarissa, dall' omonimo romanzo di Samuel Richardson. Baricco si cimenta, infine, con Dracula. SE è possibile vorrei iniziare da Sherlock Holmes. Una cosa interessante, a proposito di Sherlock Holmes, è che non c' è una sola pagina, scritta da Arthur Conan Doyle, in cui il famoso detective pronunci la frase: «Elementare, Watson». Potrei aggiungere qualcosa sul fatto che, a voler restar fedeli ai libri scritti da Conan Doyle, il celebre detective non fuma una pipa ricurva e una sola volta indossa, forse, quel ridicolo cappello con la visiera davanti e anche dietro. Ma in realtà può bastare, nella sua limpida sintesi, quel primo esempio: Sherlock Holmes non ha mai detto la frase «Elementare, Watson». Il che aiuta a ricordare come la vita postuma di un personaggio, al di là e dopo i testi che l' hanno creato, ottenga spesso di arricchirne il profilo originario fino a renderlo pressoché irriconoscibile. Non che quella vita postuma sia insignificante. Anzi: si potrebbe dire che essa dispieghi le verità nascoste di quelle figure. Ma resta il fatto che in origine quelle erano figure magari celibi ma nettissime. Misteri molto chiari. A volte, tornare nella tersa provvisorietà di quegli esordi può servire a pronunciarli con una ripristinata meraviglia. Vorrei pensare al conte Dracula dimenticando tutto ciò che è successo dopo Bram Stoker. Non credo che sia un modo di avvicinarsi al segreto di quel personaggio. è solo un modo di guardarlo da un' angolatura vagamente caduta in disuso. Mi sembrerebbe anche il più appropriato, per un testo che partecipa a una riflessione collettiva sul Romanzo. Un metodo bisogna pur darselo. Il metodo potrebbe essere riassunto così: attenersi allo scritto di Bram Stoker. Smetterla di immaginarsi Mina Harker con la faccia di Wynona Rider. Difficile, ma non impossibile. Una cosa curiosa di Dracula è che Dracula vi compare pochissimo. Di persona, intendo dire (se si può usare l' espressione di persona parlando di un vampiro). Riassumendo, lui compare in carne e ossa (idem) nella prima parte del romanzo, quando Jonathan Harker gli rende visita in Transilvania. Poi, si può dire che scompaia. Le sue apparizioni sono poco più che bagliori: un cane che scende da una nave, un pipistrello che sbatte contro un vetro, una nebbia che scivola sotto le porte. Di rado compare in fattezze umane, e quando lo fa è sempre per pochi istanti, subito ingoiato dal buio, dalla folla, dalla nebbia: sulla collina di Whitby, con Lucy; una volta per strada, in mezzo alla gente; stretto a Mina in un lampo che acceca i testimoni; e poi il tempo di una breve invettiva, prima di scappare, quando gli inseguitori lo attirano in una stanza dove non riusciranno a prenderlo. Anche la sua voce, così pedante e rigogliosa durante la visita di Jonathan, sparisce nel polverone delle parole altrui: il virgolettato di Dracula, per quattro quinti del romanzo, si riassume in una paginetta di frasi neanche tanto memorabili. Considerato quanto parlano gli altri, lui praticamente tace. La cosa è curiosa perché, al contrario, tutto il romanzo è ossessivamente posseduto, senza eccezioni, dalla sua figura. Non c' è nulla, in Dracula, che sia lì per una qualche sua energia autonoma: tutto esiste perché esiste Dracula. Lui è la luce che ritaglia via gli altri dall' indistinta oscurità del semplicemente esistente. Tutto diventa racconto se incontra lui, e nulla che non incontri lui diventa racconto. Naturalmente non è così raro il fatto che un romanzo abbia un simile rapporto ossessivo con il proprio protagonista. Ma il fatto è che, di solito, quel protagonista è visibile, ben piazzato al centro del testo, quasi costantemente in azione, sempre rintracciabile. Non è normale che il dio di quel piccolo mondo sia, per lo più, altrove. Che uno debba aspettare trecento pagine per ascoltare una sua parola. Che nulla, dico nulla, di ciò che è raccontato sia raccontato da lui. Che praticamente mai sia consentito di sapere cosa ne pensa lui, di tutta quella faccenda. Tanto che, prima o poi, la domanda ti arriva, in testa: e se non fosse lui, il protagonista? Se si rigira un po' il testo non è difficile dar corpo al sospetto. Dracula è la storia di una ragazza inglese che con l' aiuto dei suoi amici vince il duello con un mostro (protagonista: Mina Harker, che, in effetti, sta sul set tutto il tempo). Oppure: due amanti difendono il loro amore dall' insidia di un vecchio mago sporcaccione (protagonisti: i coniugi Harker). O addirittura: un vecchio scienziato pazzo olandese trascina nei suoi deliri un gruppo di giovani inglesi, portandoli alla pazzia (protagonista: Van Helsing. E qui ci sarebbe la variante, niente male, della inesistenza totale di Dracula, che a quel punto sarebbe solo il prodotto della follia collettiva). Ciascuna di queste ipotesi sta in piedi, e solo l' abitudine a considerare il libro di Stoker in modo draculacentrico (pardon) ce le ha rese difficili da immaginare. A ben pensarci sono addirittura più logiche, più rispettose degli abituali equilibri architettonici della forma-romanzo. Il protagonista sarebbe di nuovo al suo posto, dove siamo abituati a vederlo. Tornerebbe ad essere un dio logico, ottocentescamente artefice dell' accadere: la pietra angolare che tiene in piedi la casa. E invece: Dracula, un buco nero, un' assenza, un bagliore. Uno che nemmeno è chiaro se è vivo o morto. Si può reggere in piedi un romanzo, nel 1897, su un protagonista che non c' è? O non è piuttosto tutto un equivoco, e Dracula è un romanzo normale in cui un carattere secondario - il conte - ha preso la mano all' autore e a tutti i lettori, per sette generazioni? Non so la risposta, ma conosco la domanda. Nel senso che ci sono già passato. Era un' altra storia, era anche un altro secolo, ma il sapore della domanda, e l' imbarazzo conseguente, era lo stesso. Don Giovanni. Stavo ascoltando il Don Giovanni di Mozart. E me lo ricordo: la domanda era la stessa. Don Giovanni è un altro che non esiste. Eppure senza di lui nessuno esisterebbe nella storia che prende il suo nome. (Tante storie, a dire il vero. Ma penso soprattutto alla versione di Mozart e Da Ponte: che, in questo, è esatta fino alla provocazione). Gli altri sono personaggi: lui è poco più che una forza. Tutti parlano ossessivamente di lui, tutti vivono come se vivere significasse esclusivamente vivere con o senza o contro di lui. Lui, in compenso, quasi non esiste: non ha un profilo psicologico comprensibile (nell' opera buffa tutti l' avevano, era il sigillo stesso dell' esistere), quando sta in scena ci sta, quasi esclusivamente, facendo finta di essere un altro, e cioè travestito; tutte le volte che può si fa sostituire da Leporello, travestendo lui o mandandolo avanti a parlare al posto suo; non ha praticamente un' Aria sua e quando Mozart e Da Ponte gliela danno la brucia in un' apparizione di puro ritmo che non dice nulla su di lui se non che, appunto, è un ritmo, un' energia (Finch' han dal vino). Su di sé dice pochissimo, sentimenti veri non sembra averne. Giunto al finale, dove in teoria non c' è più spazio per le menzogne, se la cava dialogando con un morto, in piena evaporazione nel sovrannaturale. In un certo senso vale per noi quello che lui dice a Donn' Anna quando lei cerca di smascherarlo: «Donna folle indarno gridi/ chi io sia giammai saprai». Se c' è qualcosa che si chiama l' umano (e l' opera buffa era lì per raccontare proprio quello), Don Giovanni riesce sempre a piazzarsene fuori, in una meticolosa dislocazione che lo fa sfumare a visione pura e semplice. Eppure: quello è il Don Giovanni. Per noi è la sua storia. Un altro edificio costruito su un buco nero. Centodieci anni prima di Dracula. Posso aggiungere qualche altra curiosa parentela tra il Don Giovanni di Mozart e il Dracula di Stoker? Ecco qua. - A parte la prima seduzione di Zerlina, tutte le azioni significative del Don Giovanni, e in particolare le aggressioni erotiche di Don Giovanni, avvengono di notte: come le aggressioni di Dracula. - Nel cast (per così dire) del Don Giovanni compare un non-morto: il Commendatore. Magari non succhia sangue, ma certo non è un morto normale. - Dove è collocata la scena cruciale del Don Giovanni? In un cimitero. - Le vittime di Don Giovanni sono tre: Donna Elvira, Donn' Anna, Zerlina. Come sono tre quelle di Dracula: Jonathan Harker, Lucy Westenra, Mina Harker. - Nel rapporto tra Dracula e Renfield il pazzo, c' è lo stesso rapporto di odio/amore, servo/padrone che c' è tra Don Giovanni e Leporello. - La geografia dei nemici di Don Giovanni è: due coppie di amanti, un single e un vecchio. Quella dei nemici di Dracula è: due coppie di amanti, due single e un vecchio. Posso aggiungere che, in entrambi i casi, una delle due coppie sopravvive all' incursione del seduttore-vampiro, l' altra no (Lucy/Arthur e Donn' Anna/Don Ottavio). - Scene paurosamente identiche: a) la seduzione di Donn' Anna avviene di notte, Don Giovanni è calato in un mantello vampiresco, lei si risveglia dopo il fattaccio come da uno stato di sonnambulismo, e si ritrova il padre stecchito, al fianco. La stessa cosa avverrà a Lucy (capitolo XI). b) Nel capitolo XXII, gli inseguitori di Dracula riescono ad attirarlo in una stanza. Lui entra. Loro sono in cinque. Armati (ostie e coltelli, si sa...) Inspiegabilmente, però, se lo fanno scappare: Dracula fugge dalla finestra, salta nel cortile, scompare. Finale primo del Don Giovanni: stessa situazione: sono in cinque intorno al libertino (Don Ottavio è anche armato: pistola) e l' hanno praticamente preso sul fatto. Ma si fermano a cantare. Lui, cantando, se ne scappa, contro ogni logica. In entrambi i casi è come se qualcosa di sovrannaturale impedisse alla gente di neutralizzare il nemico, anche quando potrebbe farlo. - Frasi intercambiabili: le tre donne vampiro, a Dracula: «Tu, che non hai mai amato, tu che non sai amare!» Don Giovanni a Leporello: «Lasciar le donne? Pazzo! sai ch' elle per me son necessarie più del pan che mangio, più dell' aria che spiro». Voilà. Magari ce ne sono anche altre, di parentele, ma già queste non sono male. Che farsene? Significano qualcosa? Possono essere utili? Risposta: non credo. Coincidenze. O magari Stoker amava ossessivamente il Don Giovanni, magari in qualche angolo riposto del suo cervello quell' opera ha continuato a lavorarselo sotterraneamente dettandogli modelli e trucchi vari. Può darsi. Non lo so. Ma è poi importante? La genesi di un atto creativo è sempre ricchissima e misteriosa, non è detto che risalirla controcorrente porti al segreto di quell' atto: magari ne allontana. Per cui: sono parallelismi sorprendenti, anche divertenti, ma sostanzialmente inutili. Eccetto che per una cosa: accostano, per così dire oggettivamente, quelle due storie. Creano una motivata urgenza a collegarle, a prescindere da qualsiasi reale parentela. In definitiva: suggeriscono l' ipotesi che, sovrapponendole, si ottenga una figura che potrebbe essere il loro senso. Proviamo. Se si sovrappone Dracula al Don Giovanni la prima cosa che succede è che si legge meglio il suo schema fondativo. Lo riassumerei così: una comunità apparentemente sana e funzionante inizia a marcire per l' incursione di una forza estranea che, dall' interno, si mette a corroderla. La comunità reagisce. Alla fine riesce ad annientare il virus, ma a una condizione: alleandosi con il sovrannaturale. Non è uno schema abituale. Il protagonista è il virus, che NON è un membro della comunità. Ed è un' entità non comprensibile, non prevista dalla logica delle cose, un soggetto senza nome, in definitiva non umano. Per un romanzo di fine Ottocento (come per un' opera di fine Settecento) il terreno abituale era un altro: in una comunità sana e funzionante uno dei membri imprime una deviazione ai propri comportamenti che mette in sofferenza l' intero sistema. Alla fine la comunità fa rientrare il pericolo, spesso annientando il soggetto deviato, comunque sempre combattendo con armi interne al sistema. Questo sì era lo schema più naturale. Le fortune del romanzo ottocentesco poggiano su quello schema. Offriva al lettore il brivido di immedesimarsi nel soggetto deviato (che lui, potenzialmente, era) e simultaneamente gli offriva la certezza che la comunità avrebbe poi sistemato tutto, rassicurandolo sul fatto che tutto era sotto controllo. Ma Dracula no. Dracula è diverso. Innanzitutto la comunità non è in grado di farcela da sola: inizia a vincere solo quando accetta di pensare l' impensabile, ad ammettere l' esistenza dell' inconcepibile, a scendere sul terreno del mistero, delle superstizioni, del non più controllabile. Non è poi molto rassicurante che Van Helsing e compagni alla fine ce la facciano a stecchire il vampiro: una volta ammesso che cose del genere possano accadere, l' infinito del possibile sarà lì ogni santo giorno a compromettere qualsiasi quotidiana tranquillità. E poi: il lettore, nel suo istintivo lavoro di immedesimazione, è sbalzato via dal posto di comando. Voglio dire che, comunque la si rigiri, è impossibile immedesimarsi in Dracula: lo si può ammirare, lo si può perfino amare, ma immedesimarsi? Come ti immedesimi in uno che non esiste? Che è un buco nero? Che neanche è vivo? è così ovvio che, al contrario, finisci per immedesimarti con tutti gli altri, anche se non vorresti, anche se poi non lo ammetti, ma se tu, proprio tu, sei da qualche parte, in quel romanzo, tu sei Mina, Jonathan e tutti gli altri, in bilico tra fascinazione assoluta per Dracula e terrore totale, lì a baciarlo e a cercare di fregarlo, simultaneamente. Noi siamo Emma Bovary. Ma non siamo Dracula, e nemmeno, ahimè, Don Giovanni. Noi non sopravvivremmo a quella condizione di sconfinata non esistenza. Noi stiamo sull' orlo del buco nero. Ma dentro, mai. Possiamo tollerare di farlo in un incubo notturno o per rari istanti sul lettino dello psicanalista. Ma non seduti a teatro, non sdraiati a leggere un libro. Riassumendo, Dracula sarebbe figlio di uno schema narrativo anomalo in cui il principio dinamico della storia è collocato in un buco nero, e il lettore è dislocato tra le vittime di quel principio, lì a difendersi e a rispondere alle mosse di un nemico onnipotente che non conosce e non ha mai visto prima. Esisteva già un simile modello prima di Dracula? La presenza del Don Giovanni dice di sì. E immagino che decine di altri esempi potrebbero confermare. Così come non sarebbe difficile ricostruire lo sviluppo di quel modello dopo Dracula (su su fino al Cavaliere inesistente di Calvino passando per L' uomo senza qualità?) Ma quel che importa qui è fissare il decisivo perfezionamento che Stoker imprime a quel modello. Per così dire, lui lo porta alle estreme conseguenze. Intuisce che è un modello destabilizzante, che mette il lettore in difficoltà e, in generale, spinge l' umano alle corde: gli toglie la sicurezza di un centro stabile e anche la consolazione di una cornice infrangibile. Prende alla lettera la constatazione che, raccontato così, il mondo inizia a far paura: e lascia che quel modello, nel modo più esplicito, scenda negli inferi del terrore. Non frena, anzi, accelera. Quel che crepita nel Don Giovanni, in Dracula esplode: il buco nero è terrorizzante. Lo è senza protezioni e in modo meravigliosamente esatto: difficile immaginare un personaggio che meglio di Dracula prenda su di sé, e traduca in carne e parole, il terrore. Non c' è nulla che, in lui, non sia terrore cristallizzato in gesto, immagine, parola, odore, tempo, colore. L' artigiano che era in Stoker lavorò da dio. Senza trascurare il minimo dettaglio. Se c' era un modo per dire che un mondo senza centro è un campo da gioco terrorizzante, Dracula lo disse. E quel vampiro è, simultaneamente, l' enunciazione di un teorema e la sua dimostrazione. Il che può aiutare a capire come si sia impigliato, una volta per sempre, nella fantasia collettiva. La gente non ha molto tempo. Ha bisogno di sintesi. Quel vampiro è una sintesi formidabile. Se si sovrappone Dracula a Don Giovanni la prima cosa che accade, dicevo, è che si legge meglio il suo schema fondativo. La seconda, non meno rivelativa, è una sorta di contagio. Per così dire, stinge in Dracula il colore che domina il Don Giovanni: il sesso. O più precisamente: il desiderio. Don Giovanni era quello: non era un individuo, ma piuttosto un istinto, la forza di quell' istinto: il desiderio. Immettete una cellula libera di desiderio in un corpo sociale sano e quello che otterrete è la malattia: è quel che hanno raccontato Mozart e Da Ponte. Se accostate al loro capolavoro Dracula, l' osmosi è immediata. Il romanzo di Stoker non offre la minima resistenza a una coloratura erotica: sembra che non aspetti altro. è sesso dall' inizio alla fine. Valga per tutte la seguente scena, che merita di essere citata integralmente: «La luna splendeva, tanto che la sua luce, filtrando attraverso le spesse tende gialle, bastava a illuminare la stanza. Sul letto vicino alla finestra giaceva Jonathan Harker, il volto arrossato e il respiro pesante, come se fosse in uno stato di torpore. Inginocchiata sull' orlo del letto, dalla parte opposta, la figura di sua moglie, in camicia da notte bianca. Al suo fianco, un uomo alto e magro, vestito di nero. Sebbene la sua faccia non fosse rivolta verso di noi, ci è bastato un istante per riconoscere in lui il conte - ogni suo tratto e perfino la cicatrice sulla fronte. Con la sinistra, stringeva entrambe le mani della signora Harker, tenendole le braccia tese dietro la schiena; con la destra le aveva afferrato la nuca, e costringeva la donna a premere il viso contro il suo petto. La camicia da notte candida era macchiata di sangue, e un rivolo sottile gocciolava sul petto dell' uomo, che l' abito strappato metteva in mostra. La posizione dei due aveva una tremenda somiglianza con la scena di un bambino che spinge a forza la testa di un micetto contro un piatto, per obbligarlo a bere». A dire il vero la posizione dei due ha una tremenda somiglianza con qualcos' altro. E non è che ci voglia una fantasia particolarmente perversa per capirlo. Rito vampiresco e atto sessuale dimorano uno nell' altro con un' esattezza che non lascia molti margini di dubbio. Dracula gronda di scene del genere. E frasi. E ammicchi. Non so cosa ne pensasse il pubblico del 1897, ma se non si accorgeva di nulla significa che era davvero malmesso. Quanto a Stoker mi rifiuto di credere che non sapesse cosa stava scrivendo. E dunque quello che non si può far finta di non sapere è che tutto il libro racconta sesso. Con l' aiuto del Don Giovanni possiamo enunciare qualcosa di più: quel libro dice, pur senza poterlo dire, che il virus che ammala il mondo, e il buco nero che lo mette in movimento, è il desiderio, quando lo si lasci cieco, impersonale, ineducato, libero. Come nel Don Giovanni, non è qui questione di un individuo che inclina a un uso un po' spregiudicato del desiderio e quindi mette in difficoltà il suo mondo (Emma Bovary). Qui è pronunciato qualcosa di più radicale. Il desiderio è impersonale, è una forza incontrollabile e sovraindividuale, è un istinto cieco che riemerge da secoli di letargo, è la barbarie che ritorna, inopinatamente raffinata, ricca e seducente. Da Don Giovanni non divorzi. E Dracula non lo curi. Il piccolo armamentario dei medicamenti borghesi non può nulla contro quel tipo di desiderio. Vuoi salvarti? Allora inizia ad abituarti a un mondo in cui nemmeno i confini tra vita e morte sono certi, e la tua fidanzata, morta, la notte va in cerca di bambini da prosciugare, e tuo padre, morto, torna ogni tanto a punire i tuoi amanti. Non piace, quel mondo? Peccato, è l' unico che c' è.