martedì 8 luglio 2003

Vattimo... sul Male, sostantivato

(citato al seminario del mercoledì)
Repubblica 8.7.03
I filosofi da Nietzsche a Jean-Luc Nancy
NELL´ABISSO DELLA LIBERTÀ
Per vivere in una società non possiamo fare a meno di riportare tutto ciò che accade alla ratio e al calcolo
È difficile pensare che lager, gulag, stragi, guerre, aids siano frutto di semplici disfunzioni
GIANNI VATTIMO

Se credeva di fare una profezia, o anche solo di esprimere una speranza, con il titolo Al di là del bene e del male, Nietzsche si è certo ingannato di grosso. Mai come oggi, nel linguaggio politico soprattutto, il bene e il male, specialmente quest´ultimo, sono termini onnipresenti, personificazioni incombenti delle nostre paure e speranze. Non, come forse sarebbe giusto, in quanto avverbi - quali si usano nell´espressione corrente «Come va? Bene grazie, non c´è male, o: oggi va proprio male» - ma in funzione di sostantivi, come se si trattasse di entità ben precise da favorire o da combattere. Bei tempi quando Il male era addirittura diventato il titolo di un giornale satirico; oggi a nessuno verrebbe più in mente una titolazione del genere. Oggi, per lo più operando, anche in buona fede, una falsificazione ideologica, si parla sempre più spesso di una lotta tra il bene e il male, di un «impero del male» da cui dovremmo difenderci, che dovremmo isolare e rendere inoffensivo. Sottolineando anche spesso che chi non crede a una tale sostantivazione dell´avverbio si fa strumento del demonio, la cui astuzia appunto (come quella della mafia) consiste nel far credere di non esistere.
Non è facile opporre alla dilagante credenza nel Male un più sobrio atteggiamento demitizzante, che accendendo un po´ di luce mostri che nella stanza, o nella storia, non c´è il Maligno, ma solo disfunzioni, problemi, «mali» che sono però sempre da scrivere con la minuscola, anche per non adagiarsi nella comoda disperazione di chi pensa che «soluzione non v´è» e dunque è inutile agitarsi. L´indubbia forza della credenza nel Male risiede però nella dura esperienza storica del secolo appena concluso: è troppo difficile pensare che i campi di sterminio, i gulag, le stragi che si continuano a perpetrare in varie regioni del mondo con le guerre, e quelle che «accadono» solo perché interi continenti non possono permettersi il farmaco contro la malaria, l´Aids, la tubercolosi, altre malattie infantili - difficile pensare che tutto questo sia solo «male» nel senso che non va come dovrebbe, perché c´è qualcosa che «non funziona». È questo sfondo novecentesco, che ci si è imposto anche perché, alla svolta del millennio, abbiamo tutti dovuto provare a fare dei bilanci, ciò che giustifica anche una rinnovata attenzione del pensiero e della filosofia alla questione del Male «sostantivo».
Ha ragione Jean-Luc Nancy che, in un brevissimo saggio di straordinaria chiarezza e rigore propone una tripartizione, teorica e storica, della nozione di male. Dei tre sensi in cui parliamo di male, come sventura, come malattia, e come male puro e semplice, il primo è caratteristico dell´antichità, per la quale - si pensi a Edipo - la disgrazia cadeva addosso come un evento fatale voluto o permesso dagli dei; il secondo è più specifico del pensiero moderno, razionalista, per cui ci sono al mondo disfunzioni che turbano un ordine fondamentalmente giusto che si può e si deve restaurare con azioni appropriate. Ma oggi si può ormai parlare di male solo in un senso più totale e radicale: i campi di sterminio nazisti non sono né la disgrazia di Edipo né un accidente che turba l´ordine razionale del mondo. Sono in molti sensi il male «assoluto», hanno una portata metafisica; sono essi che ci inducono a ripensare al male «sostantivo», e riparlare di una tragicità essenziale della condizione umana. E gulag e lager non sono solo un passato che dovremmo e potremmo cercare di dimenticare. (...)
Non si può, davanti a tutto questo, tornare semplicemente alla moderna fede nella possibilità di soluzioni terapeutiche. Ma allora abbandonarsi al pessimismo cosmico? O anche a quella sua versione più facile e popolare che accompagna alla disperazione un´accanita difesa dei propri interessi - quello che spesso si chiama realismo e pragmatismo?
Forse non servirà a rispondere in modo definitivo a questa domanda; ma non è inutile ripensare alla nozione di male, alla sua storia e alle sue implicazioni, come ci invitano a fare molti libri recenti motivati anche dall´urgenza e radicalità dei nostri problemi. Un bellissimo volume di Rüdiger Safranski (Das Böse - Il male - ed. Fischer), che ricostruisce la storia della nozione di male, suggerisce qualche esito teorico su cui vale la pena riflettere. Nelle pagine conclusive dell´opera, Safranski si ferma a lungo sul libro di Giobbe, testo classico se ce n´è uno sul tema del male. Come si sa, alla fine della sua lunga «tentazione» (nata da una sorta di scommessa tra Dio e Satana), Giobbe si sottomette al Signore; ma non perché abbia capito e accettato una spiegazione razionale delle sue disgrazie. Anzi: la sua sottomissione non ha alcun fondamento; come non ha fondamento - spiegazione, ragione oggettiva - il comportamento di Dio che lo ha messo alla prova. (...)
Parliamo di male solo perché dobbiamo spiegare la libertà, e non viceversa. Il male, come dice anche Pareyson, non è altro che l´abisso - l´inspiegabilità - della libertà. In molta filosofia contemporanea questo dà luogo a un´accentuazione della nozione di responsabilità: ciò che l´uomo fa nella storia non realizza alcun piano prestabilito, alcuna legge eterna, è tutto affidato alle sue scelte, che possono trovare un criterio e un filo conduttore solo nell´attenzione ai «valori», cioè alle scelte collaudate, che abbiamo ereditato e riceviamo dai nostri simili. Ma è possibile concepire radicalmente questa libertà senza scoprire, come Giobbe, che in ultima analisi essa non è altro che quello che il Vangelo chiama la «Grazia»?
Qui il discorso però, invece di fermarsi, dovrebbe appena cominciare. Che cosa possiamo dire del male se scopriamo, con la rivelazione, che esso è solo l´abisso della libertà? Che cosa ne sarà, in questa prospettiva, dei nostri sforzi di analizzare e classificare i vari tipi di male, cercandone le cause profonde, valutandone le responsabilità? Se adottiamo l´atteggiamento che Gesù suggerisce nell´episodio del nato cieco, ci troveremo forse (pericolosamente?) vicini a Nietzsche e alla sua critica dello spirito di vendetta, che per lui domina tutte le forme di razionalismo, e per il quale di tutto si vuole conoscere la causa, e così pure del male, per dominarlo e ridurlo in nostro potere.
Si dirà che per vivere in una società non possiamo fare a meno di riportare il male alla ragione, cioè alla ratio e al calcolo. Di questo vivono le leggi e l´amministrazione della giustizia. Solo della giustizia umana, però. Il Dio di Gesù è anche un Dio misericordioso, tanto che non riusciamo davvero a pensarlo capace di tenere all´inferno per l´eternità neanche il più feroce criminale. Penso a una frase di Bonhöffer, secondo cui «Ein Gott den es gibt gibt es nicht» («Un Dio che "esiste" non c´è»). Così, dobbiamo pensare che Ein Böse(s) das es gibt gibt es nicht. («Un male che "esiste" non c´è»). Non c´è DAS BÖSE, si sono norme che via via le comunità umane si danno per ragioni di sopravvivenza, e che dal punto di vista della rivelazione cristiana non hanno mai un senso assoluto, sono sospese alla carità e alla grazia. Carità e grazia sono anche i limiti negativi che devono regolare, come una sorta di Grundsatz, di Costituzione, le forme della giustizia «convenzionale» umana; all´interno di questi limiti, che sono anch´essi soggetti a differenti interpretazioni storiche, tutto è permesso a patto che ci sia consenso sociale e, appunto, rispetto caritatevole di ciascuno, oggi diremmo: democrazia.
Potremmo ragionevolmente concludere che, nella nostra situazione storica, la più verosimile definizione del male è: il male è ciò che è contrario alla democrazia o anche alla pace. Lo diciamo non per retorico engagement politico; ma per fedeltà alla predicazione cristiana. Sono le pagine su Giobbe, su Abele e Caino, sul cieco nato, che ci insegnano a non identificare il male con nulla di sostanzialmente dato una volta per tutte, e a vedere ogni forma di bene come conciliazione, accordo, dialogo tra pari, realizzato con la consapevolezza che «il male non c´è», c´è solo la grazia e l´appello divino alla carità.