martedì 8 luglio 2003

Schopenhauer

Corriere della Sera 8.7.03
CULTURA
ELZEVIRO Uno Schopenhauer ritrovato
Conosci te stesso non amerai gli altri
di PAOLA CAPRIOLO

Da tempo la casa editrice Adelphi va pubblicando una serie di brevi testi schopenhaueriani dedicati a diversi aspetti della vita pratica, alcuni estrapolati dalle opere maggiori, altri ritrovati fra le carte postume. Sono piccoli gioielli, perle di una saggezza spesso paradossale e fondata sul presupposto della più incrollabile misantropia, tra i quali L’ Arte di conoscere se stessi (editore Adelphi, pagine 118, 7) si inserisce a buon diritto per contenuti e per stile. La sua genesi tuttavia è alquanto diversa: non ci troviamo di fronte a un vero e proprio scritto di Schopenhauer, ma alla ricostruzione di un’operetta perduta, forse distrutta per volontà dello stesso autore, della quale restano però numerose tracce e citazioni nelle opere dei biografi. In questa forma "congetturale", basata sul lavoro svolto per più di un secolo da diversi studiosi, Franco Volpi la presenta ora per la prima volta al lettore italiano, riuscendo davvero a restituire in parte l’incanto che doveva possedere quel "libro segreto", gelosamente custodito dal filosofo e arricchito nel corso dei decenni di sempre nuove massime e considerazioni.
Ciò che ne emerge, in quello stile caustico e scintillante che costituisce da solo una garanzia di autenticità, è un’appassionata apologia del proprio modo di vivere, o meglio, di non vivere, poiché Schopenhauer non fa altro che sottolineare come la sua esistenza di filosofo si fondi sul presupposto di una netta rinuncia: «La mia vita personale è soltanto la base di questa vita intellettuale... Quanto più questa base sarà sottile, tanto più sarà sicura».
Rinunciare dunque, in nome di una fiera consapevolezza del proprio rango spirituale, a quanto per gli uomini comuni costituisce lo scopo e il contenuto della vita, dal matrimonio alla creazione di una famiglia, dall’esercizio di una professione all’incauto istinto della socievolezza che ci spinge a perdere tempo «con quelle creature che, per la circostanza di avere due gambe, si sentono legittimate a ritenerci loro simili».
Così, di pagina in pagina, prende forma una sorta di manuale che insegna a coltivare un avveduto egoismo per non disperdere le proprie facoltà creatrici. Un manuale pratico del filosofo, o dell’artista, che certo sarebbe piaciuto a Thomas Mann, anche perché Schopenhauer non passa affatto sotto silenzio, anzi, sottolinea in maniera esplicita il carattere profondamente innaturale di scelte del genere. Non manca neppure una lievissima sfumatura di nostalgia alla Tonio Kröger, sebbene subito respinta con un moto di alterigia. Sì, ammette il nostro misantropo, io stesso ho avuto una certa propensione alla socievolezza «al tempo in cui la giovinezza della mia fantasia popolava ancora il mondo di esseri simili a me»: una frase che schiude dinanzi a noi abissi di disillusione. Sì, a volte mi sono sentito infelice, ma è stato «per uno sbaglio di persona, perché mi sono creduto un altro rispetto a quello che sono e ho compianto la miseria di costui»: e in quel «costui», in quello sdoppiamento orgoglioso, c’è qualcosa di più rivelatore e struggente che in intere pagine colme di accorate confidenze.