domenica 13 luglio 2003

cognitivisti a Torino...

La Stampa 13 Luglio 2003
FILOSOFI, ECONOMISTI, SCIENZIATI: IL CONVEGNO TORINESE SUL COGNITIVISMO
Nel pozzo della mente
di Mario Baudino

CAPIRE come funziona la nostra mente è la nuova frontiera non solo degli studi psicologici ma anche di quelli filosofici e sociali. Soprattutto per quanto riguarda un campo d’applicazione fondamentale come è quello dell’economia, dove mai come oggi può valere il principio enunciato più d’un secolo fa dal poeta Charles Baudelaire al teorico del socialismo utopico, Jacques Proudhon: prima dei grandi scenari vengono gli individui. Ce lo ricorda il professor Riccardo Viale, direttore del Laboratorio di Scienze Cognitive, Metodologiche e Socioeconomiche (istituito dalla Fondazione Rosselli e dalle Università Bocconi e Statale di Milano), a conclusione dell’incontro internazionale «European Society for Philosophy and Psycology», organizzato sulla collina torinese, a Villa Gualino, sempre dalla Fondazione Rosselli.
E’ stato un momento importante di confronto fra studiosi di varia estrazione che si muovono all’interno di una disciplina considerata ormai uno dei campi più avanzati e cruciali nella ricerca sociale: il cognitivismo appunto, parola dal sapore un po’ misterioso e un po’ iniziatico, e che tuttavia sta incidendo ormai da anni, in profondo, sulla vita di tutti noi. In qualche modo, si tratta di una specie di ritorno al passato, per esempio nell’economia, dove l’attenzione agli aspetti psicologici dell’individuo può ricordare addirittura le teorie di Adam Smith. Un ritorno all’insegna del pragmatismo.
«Basti pensare che il premio Nobel per l’economia - dice ancora il professor Viale - è stato assegnato nel 2002 a uno psicologo come Daniel Kahneman». Con la motivazione di essere riuscito ad integrare argomenti della ricerca psicologica con le scienze dell'economia, in particolare per quanto riguarda i processi decisionali e di giudizio nelle incertezze. Il che sta dimostrare come si sia largamente imposta l’idea della necessità di elaborare, specialmente in questo campo, teorie con base empirica più fondata. Questo che cosa significa, nella pratica? «Per esempio che è meglio chiederci attraverso quali meccanismi l’individuo arriva a prendere una decisione, prima di metterci a disegnare scenari globali».
E le risposte che arrivano possono essere applicate nei settori più disparati, dalla borsa, per esempio, al lavoro, alla politica. «Se si vanno a vedere le università più importanti dal punto di vista della produzione scientifica, troviamo che questi temi pervadono vari campi del sapere. La scienza cognitiva ci permette di capire meglio certi problemi filosofici, che a me interessano molto, in quanto epistemologo che cerca di indagare direttamente i fenomeni: per esempio se le osservazioni scientifiche sono impregnate o meno di teoria, e in generale tutto il problema legato alle decisioni in campo scientifico».
Il professor Viale fa l’esempio della «conoscenza tacita», ovvero quella forma di sapere personale che coinvolge anche la sfera delle emozioni, degli ideali e dei valori, degli schemi e dei modelli mentali, influenza la nostra percezione del mondo ma è molto difficile da far emergere in modo efficace in un contesto collettivo di ricerca o di produzione. Anche in questo caso, avere delle chiavi per capire come funziona la mente permette di liberare energie, di migliorare il nostro rapporto con gli altri, i risultati del nostro lavoro, in generale la nostra stessa vita. In una parola il cognitivismo consente di attivare delle procedure per saperne di più sul gioco di individui che costituisce la società. Magari di evitare qualche errore: per esempio, gli eccessi di visioni economiche che pretendono di fare calcoli e previsioni sui futuri scenari del mondo in maniera astratta, e che hanno caratterizzato il Novecento.
In fondo, nei totalitarismi non c’era, forte, questa componente? «I totalitarismi concepivano, a partire dal centro del sistema, dal cuore del potere, pianificazioni economiche e previsioni ritenendo di avere la forza per realizzarle. Oggi assistiamo a un fenomeno sempre più vasto dove si vede come vengano abbandonate le ipotesi che si basavano su premesse intuitive». Quindi grandi passi avanti? Il termometro, anche in questo caso, possono essere gli studenti. Come li vede, il professor Viale, dalla sua cattedra universitaria? «Molto attenti. Possono verificare in modo diretto quanto sia importante per loro capire la propria mente, magari già agli esami».
In questo caso si tratta piuttosto di capire la mente degli altri, degli esaminatori. «Certo. E gli studenti ormai hanno imparato, ad esempio, che se si riesce ad ancorare la valutazione del professore a una prima risposta particolarmente brillante, poi è molto difficile che il giudizio positivo possa cambiare». Insomma, è fatta. Ma i professori dovrebbero saperlo e reagire, azzerando questo piccolo vantaggio. Invece, non si può mai dire. «Anche gli studiosi di statistica, quando devono prendere una decisione che li riguarda direttamente, diventano degli “inesperti”». Come l’astronomo della favola di Esopo, che mentre guarda le stelle cade in un pozzo e viene sbeffeggiato da un passante? «E’ un fatto che quando entra in gioco l’intuizione, tutti tendiamo a comportarci da inesperti».