La Gazzetta di Parma 11.7.03
Leonardo Casini parla del filosofo morto nel luglio del '73 e della Scuola di Francoforte
Dialettica della profezia
«Horkheimer? Attuale la sua posizione sul divino»
di Maria Mataluno
«Nel momento stesso in cui le conoscenze tecniche allargano l'orizzonte del pensiero e delle azioni degli uomini, diminuiscono invece l'autonomia dell'uomo come individuo, la sua capacità di difendersi dall'apparato sempre più potente e complesso della propaganda di massa, la forza della sua immaginazione, la sua indipendenza di giudizio. (…) Così il progresso minaccia di distruggere proprio quello scopo che dovrebbe realizzare : l'idea dell'uomo».
Sembrano parole scritte l'altro ieri, e invece sono passati quasi sessant'anni da quando Max Horkheimer, il filosofo tedesco nato a Stoccarda nel 1895 e morto a Norimberga nel luglio del 1973, le pronunciò alla Columbia University. Era il 1944, e Horkheimer, così come la maggior parte dei membri dell'Istituto per la Ricerca Sociale di Francoforte, da lui diretto dal 1929 al '33, aveva dovuto lasciare l'Europa e risolversi a esportare nel mondo le proprie idee sulla rivoluzione e sul capitalismo, sulla società di massa che minaccia la libertà del singolo e sulla tecnica che riduce gli uomini ad automi.
Leonardo Casini insegna Filosofia morale all'Università di «Roma Tre» e da anni si occupa della Scuola di Francoforte e di Horkheimer, sul quale sta scrivendo un libro.
- Professor Casini, quali sono le linee teoriche fondamentali della Scuola di Francoforte e quale contributo diede Horkheimer alla loro definizione?
«La Scuola di Francoforte, pur nella diversità di interessi dei singoli esponenti, aveva come fondamento comune il riferimento al marxismo. Rispetto ad esso, però, assunse subito una posizione ''eretica'', caratterizzata da una parte dall'integrazione della dialettica marxista con le teorie psicanalitiche - che li spinse a trasferire l'analisi marxista del dominio e dell'autoritarismo dall'ambito della società a quello più ristretto della famiglia, - e dall'altra dal rifiuto della dimensione utopistica della filosofia marxista: Horkheimer e i suoi allievi non credevano nella futura palingenesi della società mediante la rivoluzione delle masse».
- Ad allontanare Horkheimer da Marx è anche la sua concezione della scienza: mentre l'autore del Capitale considerava la scienza neutra rispetto alla lotta di classe, per Horkheimer essa è uno strumento di dominio.
«Sì. La concezione della scienza di Horkheimer prende le distanze da quella marxista e si avvicina invece alla lezione di Heidegger, il filosofo del Novecento che più di ogni altro ha indagato sul destino dell'uomo nell'era della tecnica. Di questo problema Horkheimer si occupa nella sua opera più famosa, La dialettica dell'illuminismo, scritta insieme a Theodor Wiesengrund Adorno. Dove per ''illuminismo'' s'intende una concezione della ragione e della scienza che risale alla Grecia antica e si è consolidata nell'età contemporanea: quella della scienza come strumento di potere, di dominio dell'uomo sulla natura e sugli altri uomini. Nel momento in cui l'uomo usa la propria ragione non come strumento di conoscenza ma come strumento per manipolare la realtà, introduce uno squilibrio nel rapporto ''naturale'' tra uomo e natura. Il prototipo dell'uomo che fa un uso strumentale della ragione - provocando quell'''Eclisse della ragione'' che dà il titolo a un'altra famosa opera di Horkheimer - è Ulisse, che per sfuggire al richiamo delle sirene si fa legare all'albero della sua nave. È il rifiuto dell'eros e della seduzione come metafora del rifiuto della natura: un tema molto presente nell'ambito della Scuola di Francoforte, in particolare nel pensiero di Herbert Marcuse».
- Horkheimer ha scritto la ''Dialettica dell'illuminismo'' insieme ad Adorno. Questi due filosofi vengono spesso accomunati, quasi fossero un'unica entità: quali sono, invece, i motivi che li distinsero?
«La Scuola di Francoforte nasce con degli assunti comuni, ma presenta un'ampia diversità di vedute al suo interno, provocata anche dall'esperienza della diaspora negli Stati Uniti e dal conseguente contatto con una cultura e una società tanto diverse da quelle europee. Il discorso vale anche per Adorno e Horkheimer. Potremmo dire che a dividere i due autori della ''Dialettica dell'illuminismo'' furono l'arte e la religione: compositore e critico musicale, Adorno incentrò la sua riflessione sull'esperienza artistica, concependo l'arte come uno strumento di reazione contro ogni forma di potere repressivo. Horkheimer, invece, era più interessato agli aspetti conoscitivi, epistemologici della filosofia: sua preoccupazione era recuperare quella che lui chiama ''ragione oggettiva''- volta alla conoscenza delle cose, - contro il dilagare della ragione soggettiva, tecnicistica, volta all'acquisizione di un potere».
- A trent'anni dalla sua morte, in cosa consiste l'attualità del pensiero di Horkheimer?
«La Scuola di Francoforte è stata lungo dimenticata dalla cultura contemporanea, forse per via della forte componente ideologica che le viene dal suo essere nata sul terreno del marxismo. Oggi, però, assistiamo a un ritorno d'interesse nei confronti di questi pensatori, dovuto al fatto che molte delle loro analisi sulla società di massa e sull'età della tecnica sono ancora utili a descrivere alcuni aspetti del mondo contemporaneo. Non a caso al pensiero di Horkheimer, Marcuse e Fromm si rifanno molti esponenti del movimento antiglobalizzazione. Altro motivo di grande attualità, a mio avviso, è quello religioso. La posizione di Horkheimer, che pur sentendo la necessità di avvicinarsi al divino non arriva ad abbracciare nessuna confessione particolare, rispecchia una tendenza tipica del nostro tempo: un tempo in cui, in un generale ritorno al sacro, sono sempre più rari coloro che fanno professione di ateismo radicale, mentre cresce il numero di coloro che non sanno compiere fino in fondo quel salto che permetta di aderire a una confessione determinata».
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