lunedì 21 luglio 2003

«in matematica i risultati arrivano in strani modi»

Repubblica 17.7.03
Intervista a Jean-Pierre Serre, vincitore del premio Abel
un matematico a cui piace il buio
i risultati arrivano in modi spesso strani
di PIERGIORGIO ODIFREDDI

Da quando è stato istituito nel 1901, il premio Nobel è l' onorificenza più ambita del mondo. Assegnato ogni anno per la letteratura, la fisica, la chimica, la medicina, l' economia e la pace, esso non contempla però la matematica. Ma non per i motivi pruriginosi che vengono spesso mormorati: il fatto, cioè, che l' inventore della dinamite avrebbe voluto evitare di aggiungere il danno alle beffe, a causa di una relazione di sua moglie con un matematico svedese, evidentemente più esplosivo di lui. La verità, come al solito più prosaica del pettegolezzo, è che Nobel era scapolo, e semplicemente non era interessato alla materia. Per rimediare alla situazione, già nel 1902 il re di Norvegia Oscar II aveva proposto un premio in onore del matematico norvegese Niels Abel, nato cent' anni prima, morto di tubercolosi a soli ventisei anni, e passato alla storia per uno dei grandi risultati dell' algebra moderna: la dimostrazione, cioè, che non esistono formule risolutive per le equazioni di quinto grado, analoghe a quelle ben note per il secondo, terzo e quarto grado. Poiché la proposta era caduta nel nulla, nel 1936 l' Unione Mondiale dei Matematici istitui la medaglia Fields, da assegnare ai congressi quadriennali ai migliori matematici under quaranta, e considerata finora l' equivalente di un premio Nobel (senza portafoglio, però). Lo scorso anno, in occasione del secondo centenario della nascita di Abel, l' Accademia delle Scienze e delle Lettere norvegese ha deciso di istituire un premio di sei milioni di corone (770.000 euro) che rivaleggiasse con il Nobel anche da un punto di vista finanziario. Il primo vincitore è stato premiato a Oslo poco tempo fa: si tratta di Jean-Pierre Serre del Collège de France, uno dei più grandi matematici del mondo, già noto per essere stato il più giovane vincitore della medaglia Fields (a soli ventott' anni, nel 1954). Come spesso succede ai geni, Serre non è una persona facile: scorbutico e caustico, non ama affatto lo smalltalk, e meno che mai le interviste. La sorpresa per la vittoria deve però avergli fatto abbassare per un attimo la guardia, visto che ha sorprendentemente acconsentito a rispondere ad alcune nostre domande. L' annuncio ufficiale del premio Abel cerca di stabilire una connessione tra il suo lavoro nella teoria dei numeri e quello di Abel stesso. Lei vede differenze tra la matematica moderna e quella classica? «Non molte. E la dimostrazione è che non si può nemmeno definire ciò che è classico, e ciò che è moderno! Naturalmente, i matematici continuano a introdurre nuove tecniche e nuove definizioni, che aiutano a risolvere alcuni problemi lasciati dai nostri predecessori. Ma non c'è stata nessuna vera discontinuità, ad esempio negli ultimi 250 anni». Sembrerebbe però che la nozione di dimostrazione sia cambiata radicalmente. «In realtà, no. Ad esempio, la dimostrazione di Euclide che ci sono infiniti numeri primi è tanto valida ora, quanto lo era ventitré secoli fa. E noi cerchiamo ancora di scrivere le dimostrazioni in quello stile». Pensavo, ad esempio, alla dimostrazione del teorema dei quattro colori, che ha richiesto 2.000 ore di verifiche al computer. O a quella collettiva del teorema di classificazione dei gruppi finiti, che prende 10.000 pagine. O a quelle ispirate alla fisica di Witten... «Nei primi due casi, dimostrazioni che sono così lunghe da essere impossibili da verificare sono più che altro dei risultati sperimentali. Quanto a Witten, non chiamerei i suoi argomenti delle dimostrazioni: sono più vicini a congetture o (al massimo) ad abbozzi di future dimostrazioni». Vari anni fa lei aveva accennato a un suo crescente interesse per la storia della matematica. Si è sviluppato, in seguito? E ha prodotto qualcosa nello stile, ad esempio, della Teoria dei numeri di André Weil (Einaudi, 1993)? «L' interesse c' è. Le pubblicazioni, no». A proposito della storia, quale matematico l' ha più influenzata attraverso il suo insegnamento, o è stato il suo modello attraverso i suoi lavori? «La risposta è facile: proprio André Weil. Non che tenga la sua foto sul muro, ma ho letto e riletto i suoi libri e i suoi lavori. E ho anche scritto il suo necrologio». Più impersonalmente, quali sono i risultati dello scorso secolo che l' hanno impressionata di più? «Qui invece ci sarebbe troppo da dire: è meglio che eviti la domanda». Una parte del suo lavoro, in geometria algebrica, è legato a quello della famosa scuola italiana di un secolo fa. Ci può dire in che modo? «A dire il vero, quando ho lavorato in questo campo (circa cinquant' anni fa) non sapevo molto della scuola italiana, se non una cosa: che non si poteva far affidamento su di essa...». In quel suo lavoro geometrico, lei si è affidato di più all' intuizione visiva o alla derivazione logica? «Non saprei: credo che queste parole, soprattutto "intuizione", siano difficili da definire. In matematica i risultati arrivano in strani modi». Una volta lei ha addirittura detto che spesso lavora mezzo addormentato. Che significa? Che nella matematica c' è un ruolo per il pensiero semiconscio? «Intendevo solo dire che spesso lavoro a letto, al buio, proprio prima di entrare nel dormiveglia. Trovo che aiuti la concentrazione e permetta una maggiore libertà di pensiero». Ora che il velo di segretezza del Bourbaki è caduto, lei ci può confermare di averne fatto parte? «Si, dal 1949 ai primi anni '70. E sono stato molto influenzato da Bourbaki, sia dal soggetto collettivo che dagli individui che ne hanno fatto parte. Anche se, dopo averci lavorato per venticinque anni, non sono più interessato ai progetti enciclopedici». Lei non si è limitato a far ricerca, ma ha anche scritto molti libri. Che opinione ha della divulgazione matematica? «A dire il vero non ho mai scritto un libro di vera divulgazione: è troppo difficile! I miei libri sono abbastanza tecnici. Il più accessibile è probabilmente Rappresentazioni lineari dei gruppi finiti, che è stato in parte scritto per mia moglie e i suoi studenti di chimica quantistica». La chimica le interessa? «Mi interessava da bambino. I miei genitori erano farmacisti, e io ho giocato molto con provette e composti chimici. Ho anche letto i libri di chimica di mio padre, ma quando l' ho studiata seriamente mi sono accorto che c' erano troppe formule, tutte più o meno uguali. Tanto valeva fare direttamente matematica». E alla filosofia della matematica è interessato? «No. Non ci ho mai trovato niente di interessante». Ma avrà ben una sua idea sulla natura degli oggetti matematici! Ad esempio, concorda con Connes che essi sono reali tanto quanto, per non dire di più, degli oggetti fisici? «Oh, si! Concordo pienamente con lui. E quando Connes ha scritto Pensiero e materia con il neurofisiologo Changeaux (Boringhieri, 1991), è stato strano, e anche un po' deprimente, vedere che quest' ultimo si rifiutava di capire». Per finire con uno sguardo al futuro, da dove arriverà l' ispirazione per la matematica? Dalla fisica, dalla biologia, dall' informatica? «Non sono competente per rispondere. E, in realtà, neppure troppo interessato ai programmi sul futuro».