La Repubblica 14.9.03 Pagina 16 - Commenti
Bellocchio, i br convertiti e la vittoria di mio padre
di GIOVANNI BACHELET
Quando in una vetrina mi cade l´occhio sul libro di un terrorista di chiara fama, provo sentimenti simili a quelli espressi negli ultimi giorni da autorevoli e severi commenti a Buongiorno, notte. Provo la stessa costernazione di Nanni Moretti, quando, nel film La seconda volta di Mimmo Calopresti, rileggeva ingrugnato, esercitandosi al vogatore, la frase «ucciderne uno per educarne cento». In quegli anni ´70, non per tutti formidabili, molti si limitavano a scrivere questa frase sui muri (cosí come altri canticchiavano senza malizia «Lotta, lotta di lunga durata, lotta di popolo armato... »). Ma un piccolo nucleo, poche decine di persone in tutta Italia, cominciò purtroppo a metterla in pratica, mentre altrettanti, nel frattempo, avevano cominciato a mettere bombe e candelotti di dinamite qua e là. I Nar li misero anche sotto l´ufficio di mio padre, pochi mesi prima che fosse ucciso dalle Brigate Rosse.
Oltre alla libera ispirazione ad uno di questi libri (la cui autrice, come è stato ricordato, fu successivamente coinvolta nell´attentato a mio padre), anche il regista non m´ispirava grandi entusiasmi. Anzi, per la verità, aveva conquistato la mia antipatia fin da quando, a ventun´anni, avevo visto il suo film Matti da slegare. A me il suo matto che usciva dal manicomio, convinto che preti e padroni (non la propria malattia mentale) fossero la vera causa di tutti i guai, suoi e del mondo, sembrava più matto e pericoloso di prima. Ma allora dirlo non era molto di moda.
Se nonostante queste premesse il film è riuscito a conquistarmi, vuol dire che identici ingredienti - musiche, locomotive, falci e martelli, facce dei carnefici e formidabile umanità di Moro - parlano in modo diverso a diversi spettatori. Io, per esempio, non ci ho trovato attenuanti per i terroristi, ma, al contrario, aggravanti: l´effetto devastante dell´ideologia e della certezza di aver ragione, fino allo sradicamento della razionalità comune, dell´affetto (scena del neonato), della capacità di vedere, negli altri, uomini e non cose o simboli. Fino alla patologia mentale. Formidabile, in proposito, l´autocitazione (autocritica?) proprio di Matti da slegare, nascosta nelle brevi parole di Tina Anselmi sull´allora nuovissima legge Basaglia. Ho riconosciuto, insomma, percorsi intellettuali ed esistenziali pericolosissimi per sé e per gli altri, e mi è parsa molto utile la ricostruzione di alcuni passaggi chiave, affinché domani, anche davanti ad ingiustizie vere o in nome di un mondo meno ingiusto, i figli tengano gli occhi aperti, e sappiano evitarli.
Nel film qualcuno potrebbe addirittura leggere, controluce, valori cristiani (autentici, depurati dalle crociate e dalla caccia alle streghe, come suggerisce ad un certo punto Moro) e valori civili: luci capaci di proiettarsi, da quella cella, anche sull´oggi, a fronte non solo delle BR e del loro marxismo-leninismo onirico, ma anche di un intero assetto nazionale e internazionale che, 25 anni fa, era ormai al tramonto, senza però che molti di noi, allora, se ne avvedessero. Forse se ne avvedeva Moro, che io consideravo un grande eroe della democrazia, ben prima che fosse rapito e ucciso.
Non so se Bellocchio volesse suscitare questi pensieri. Forse ciò che consente di avere reazioni anche molto diverse a seconda del punto di vista, è la sua scelta di mettere in primo piano il dato esistenziale, psicologico e a volte onirico; poi un background d´epoca (e molti altri ingredienti di qualità eccellente); e solo sullo sfondo, un po´ sfocati dal tempo ma autentici, non sovrapposti ad alcuna tesi precostituita, il giallo e i dilemmi dell´epoca. Cosí i due poli del film sono da un lato fatti e commenti che tutti hanno avuto sotto gli occhi (telegiornali e giornali), e dall´altro i fatti e i luoghi di quei tremendi 55 giorni, che, invece, nessuno ha visto e tutti hanno dovuto immaginare. Questo polo narrativo - la vita del prigioniero e dei suoi carcerieri-carnefici, che è in primo piano - sfugge brillantemente al rischio (e alla noia) di ricostruzioni minuziose di luoghi e spostamenti, di polemiche e verità processuali, scegliendo di abbandonare dichiaratamente la vera storia dei carcerieri in favore di una storia semplificata, romanzata e incrociata a sogni. Ma proprio per questo sfugge, a mio avviso, sia alla categoria del "giustificazionismo" che al «partito delle trattative», cui qualcuno lo ha associato.
Grazie a questa scelta originale ogni spettatore, come in uno specchio un po´ opaco e deformante, trova nel film qualcosa di diverso e personale. Chi all´epoca avesse avuto granitiche certezze è costretto, venticinque anni dopo, a ripensare e dubitare, sia che fosse a favore, sia che fosse contro le trattative. Perfino Andreotti, il Pci e il Papa, ci fanno, a ben vedere, una figura non troppo malvagia.
Inizialmente il discorso di Andreotti, con l´appello anche alle famiglie, suona falso e disprezzabile agli ascoltatori brigatisti, riuniti davanti alla televisione; ma poi, a più riprese, il film stesso suggerisce che quell´appello avrebbe potuto davvero colpire nel segno, raggiungendo qualcuno dei carcerieri. Lo testimonia il rapporto della protagonista con la zia, con la famiglia, con il loro comunismo all´antica, sano e ruspante (anch´esso immaginario, condito di una quanto mai improbabile commistione con la preghiera e la religiosità popolare, che ricompare, a tavola, nell´ultimo sogno).
Lama e Berlinguer definiscono in televisione deliranti e aberranti le mosse delle Brigate Rosse e li paragonano ai nazisti; ma in fondo, alla fine, la stessa protagonista comincia a interiorizzare questo giudizio del Pci e dei sindacati, sovrapponendo nei propri sogni, che si fanno sempre più ripensamenti, le ultime lettere di Moro a quelle dei condannati a morte della resistenza.
Certo nella realtà storica delle Br gli effetti visibili di qualche ripensamento sono cominciati, purtroppo, dopo diversi anni e dopo molti altri delitti, come qualcuno ha puntigliosamente ricordato. Non sembra realistico retrodatarli al rapimento, anche se del cammino dei sogni e dei pensieri nessuno può essere sicuro. Ma l´ultimo sogno, l´ultima musica, il doppio finale fanno comprendere e volentieri accettare questa e molte altre licenze storiche: la scena del prigioniero che esce e se ne va in una sottile pioggerella conquista lo spettatore in modo struggente. La donna del gruppo ha addormentato gli altri carcerieri e ha lasciato che il prigioniero uscisse, che tornasse libero senza condizioni: ha fatto quel che aveva implorato il Papa, quel che tanti italiani in buona fede avevano effettivamente sognato in quei 55 giorni. Che per qualche ex-brigatista questa conversione alla democrazia e all´umanità sia avvenuta davvero, anche se molti anni dopo, è sempre una grande vittoria del bene sul male. Anche Moro e mio padre, forse, ne sorriderebbero compiaciuti.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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