Corriere della Sera 14.9.03
«Scopro il successo a 65 anni grazie al film su Aldo Moro»
Herlitzka: a teatro tante delusioni, ora la gente mi chiede autografi
di Giuseppina Manin
Scoprirsi famoso a 65 anni. Quando le rughe tracciano solchi impietosi, quando i capelli sono ormai bianchi. «Beh, per me questo non è proprio un problema: il mio viso è sempre stato scavato da ombre, segnato come in un disegno a carboncino», scherza Roberto Herlitzka, che, con quella faccia un po' così, austera, nobile, dolente, anomala come il suo cognome (è nato a Torino da famiglia cecoslovacca) ha dovuto fare i conti per tutta la vita. «In un teatro dove sempre più detta legge l'intrattenimento, il botteghino, io non sono mai stato corteggiato dagli impresari. Che a quelli come me preferiscono veline e comici televisivi. Pazienza. Un tempo questo mi amareggiava un po', ormai non più. Il teatro di consumo non mi ha mai interessato, ho sempre fatto scelte improntate alla qualità, alla ricerca. Il mio divertimento è il testo, i miei complici registi non convenzionali, da Orazio Costa, il mio maestro, a Gabriele Lavia, da Peter Stein ad Antonio Calenda. Per questo sono come sono: meno ricco, meno celebre di altri, ma forse più libero e felice».
E ora, che si ritrova travolto da improvviso successo per aver interpretato Moro in Buongiorno, notte di Bellocchio?
«Un certo effetto lo fa. Sono arrivato alla Mostra del Cinema quasi in incognito, sono ripartito con la gente che mi fermava per strada a chiedermi autografi. Confesso: è una grande gioia. In fondo si fa l'attore per questo, per piacere agli altri. Il narcisismo è la molla di questo mestiere. Certo, poi si trasforma in altro, in voglia di comunicare, di trasmettere emozioni. Ma se alla fine la platea non ti applaude...»
Insomma, questo film l'ha trasformata in star...
«Non scherziamo, per diventare un divo ci vuole altro... No, non mi illudo. Pensare "è fatta" alla mia età sarebbe sciocco. Non lo dico per modestia, non lo sono. Conosco il mio valore ma non intendo certo cambiar vita ora. Ma se le lodi per il film di Bellocchio mi porteranno altre buone occasioni, al cinema o in scena, non mi tirerò indietro».
Domani intanto torna in teatro, a Benevento debutterà con un «Otello» molto particolare...
«Infatti si intitola "ExOtello", da "Otello". Un esperimento drammaturgico che avevo già tentato con un "ExAmleto". Grandi ruoli che non ho mai potuto interpretare. L'amoroso, colui che seduce le donne, non sono io. Come Otello non sarei credibile, la mia faccia mi condanna a Iago. Ma come Iago posso ripercorre tutta la storia, evocare i fantasmi degli altri personaggi, Otello, Desdemona... Alla fine del dramma Shakespeare lo condanna a una "lunga tortura che non uccide", a rivivere in eterno il suo tormento. E allora, da dentro un carcere foderato di specchi che lo costringono ad aversi sempre davanti, ecco che quell'artefice del male, ormai vecchio, ricostruisce i complessi meccanismi che l'hanno portato, tra odio e amore, a tanto misfatto».
Da un carcere all'altro, da quello di Aldo Moro a quello di Iago...
«E prima ce n'è stato un terzo. In un testo di Claudio Magris, "La Mostra", avevo impersonato il pittore triestino Vito Timmel, finito in manicomio. In fondo, a fare il prigioniero mi sento a mio agio. Lo sono anch'io del mio lavoro, una passione totale e totalizzante. Questo mestiere non sarebbe sopportabile altrimenti».
Ha avuto paura a calarsi nei panni difficili di Moro?
«Ne ho sentito tutto il peso. Per fortuna al mio fianco avevo Bellocchio. E' stato un lungo lavoro di sottrazione, che mi ha fatto anche ripensare alla nostra storia. Quello statista, allora così criticato, quegli altri suoi colleghi che appaiono alla fine, visti oggi, a confronto con l'attuale classe politica, sembrano dei giganti. Moro aveva un altissimo senso dello stato».
Lei ha avuto altre avventure cinematografiche. E a sorpresa, tra i suoi film, ce n' è anche uno a luci quasi rosse...
«Già, Il corpo dell'anima . Qualcuno l'ha visto così, ma era un film d'autore, di Piscicelli. Sono felicissimo d'averlo fatto, un'occasione rara per uno come me. C'era molta ironia in quell'anziano professore, studioso di Santa Teresa d'Avila che si lascia iniziare al sesso da una disinibita domestica. E poi da allora, nel mio quartiere hanno cominciato a guardarmi con occhi diversi».
Nelle sfide lei non si tira mai indietro?
«Anzi, mi divertono molto. Tra un po' diventerò donna. Anzi madre. Una novantenne, nazista incallita, vampira verso la figlia che, inorridita, se la ritrova davanti dopo anni. Un testo tratto da "Lasciami andare, madre" di Helga Schneider, la regia sarà della Wertmuller. Eh sì, il teatro come la vita è sempre pieno di sorprese».
Repubblica 14.9.03
Herlitzka stasera a Benevento
"Per Bellocchio Monicelli poteva pensare all´ex aequo
di Giulio Baffi
NAPOLI - «Se ripenso al film di Bellocchio mi convinco che in teatro si agisce su tragedie fantastiche, immaginarie, su personaggi inventati su cui si può anche scherzare, quando invece l´eroe tragico è vero non ci possono essere licenze, invenzioni o tradimenti». Roberto Herlitzka, autore e protagonista, stasera mette in scena in prima nazionale a Benevento Città Spettacolo, il suo ExOtello, affidando a Jago riflessioni e rimorsi.
Soddisfatto della sua partecipazione a Buongiorno, notte?
«Un´esperienza molto bella, ho sentito profondamente questa tragedia che a suo tempo mi aveva colpito moltissimo e certo l´emozione che provai allora mi è servita, ma la guida di Bellocchio è stata fondamentale, direi ispiratrice».
Eppure il film non è stato apprezzato come si pensava.
«Perché? Mi sembra sia un film amatissimo, a giudicare almeno dall´entusiasmo del pubblico, non solo di Venezia ma anche a Roma e in altre città. Una risposta assolutamente eccezionale. È raro che un film oggi scateni questo entusiasmo. Certo c´è stata la delusione di Venezia, e c´è poco da dire. Il film non è andato bene a Monicelli, ma tutti hanno diritto ad avere le proprie idee».
Le è sembrato ci fosse una forzatura?
«Assolutamente sì. Si potevano premiare entrambi i film; esistono gli ex-aequo naturalmente, esistono premi prestigiosi che potevano essere assegnati. Invece ne è uscita fuori una scortesia, un premio modesto accompagnato dalla dichiarazione di Monicelli che ha detto che il film non meritava neanche quel piccolo riconoscimento. È evidente che a Venezia c´era un´antipatia nei confronti del film».
Il pubblico invece...
«I giovani che l´hanno visto a Venezia hanno dato ben tre premi a Bellocchio. Questo significa che ha saputo parlare anche a una generazione che non ha vissuto quei giorni tanto tragici».
Seleziona le scelte artistiche tanto al cinema quanto a teatro?
«Sono nato e anche un po´ cresciuto come attore di teatro, il cinema mi piace enormemente, ne ho fatto saltuariamente però, e in film di non grande circuito. Ma che devo fare? Non mi chiamano. Non dico che accetterei qualunque cosa, ma non ho avuto molte occasioni di rifiutare film di grande richiamo».
Dopo il successo di Buongiorno, notte magari sarà più richiesto.
«Magari, ma devono sbrigarsi: non sono mica un giovane attore».
E il teatro?
«Anche lì sono anomalo. Non che io mi senta discriminato, ma è un fatto che sono stato molto più presente con compagnie di teatro off. Tutto sommato la mia storia non è poi così diversa nei due campi. Sarà anche per la disponibilità a avventure teatrali che altri snobberebbero. Non ho avuto però grandi offerte dai teatri ufficiali c´è voluto Peter Sein con Zio Vania o lo Stabile di Trieste diretto da Calenda».
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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