martedì 23 settembre 2003

Libertà su Fare Cinema, la "scuola" di Marco Bellocchio

lunedì 22.9.03

Fare cinema - Intervista al regista bobbiese che smorza la polemica su Venezia: «Sempre amico di Monicelli»
Da Moro a “Il regista di matrimoni”
Marco Bellocchio anticipa il nuovo film con Castellitto
Oliviero Marchesi


«Gli allievi di “Fare Cinema” sono entusiasti. Dicono di non aver mai partecipato, in Italia, a un laboratorio così “professionale”, così calato nella realtà del mestiere del cinema». La risposta di Marco Bellocchio, è preceduta da un sorriso educato e un po' scettico: «Perché, negli altri laboratori non si fa nulla?». «A sentire i ragazzi, non si fa: si parla. Molte lezioni teoriche, anche avvincenti, ma poca pratica». «Beh, se i ragazzi pensano che i nostri corsi si sottraggano a questo schema, mi fa piacere. Questa, d'altra parte, era l'intenzione mia e del Comune di Bobbio quando abbiamo deciso, nel 1997, di iniziare questo esperimento: il nostro approccio all'insegnamento, del resto, è già sintetizzato in un nome come “Fare Cinema”».
“Fare Cinema” è il laboratorio sulla settima arte (organizzato da Comune di Bobbio, Provincia, Regione, Fondazione di Piacenza e Vigevano, Filmalbatros, Centro Itard e Lanterna Magica) che il grande regista piacentino dirige ogni anno per venti allievi selezionati nella “sua” Bobbio: il paese amato e ritrovato delle vacanze estive e delle avventure dell'adolescenza, del debutto-capolavoro “I pugni in tasca” e del toccante “Vacanze in Val Trebbia” del 1980. A laboratorio concluso, Bellocchio ha parlato con noi dei suoi progetti futuri.
Sta lavorando a qualche nuovo film?
«Ho appena cominciato: sto scrivendo un abbozzo di sceneggiatura per un film intitolato “Il regista di matrimoni”».
La trama? Gli interpreti?
«Per il momento non ho molto da dire. Il protagonista è un regista che decide di allontanarsi dall'ambiente cinematografico, da Roma, da tutto, e viene avvicinato da un personaggio che gli propone, appunto, di filmare matrimoni per mestiere. Nel ruolo principale vorrei Sergio Castellitto, che è stato grande interprete nel mio “L'ora di religione”».
Lei firmerà anche la regia del “Rigoletto” di Verdi che andrà in scena a marzo al Municipale. Cosa dobbiamo attenderci?
«Una regia sostanzialmente classica, con qualche elemento antitradizionale senza essere per questo “trasgressivo”. Qualche anno fa ho fantasticato di trarre un film da quest'opera, ma non so se potrò riprenderne spunti sulla scena».
Fra dibattiti, forum e programmi tv, lei non ne potrà più di domande su “Buongiorno, notte”, il suo film sul caso Moro. Ma le devo ancora chiedere due cose.
«Ancora? Basta!».
Risata.
Primo: questo film è il suo maggior successo commerciale fino a oggi?
«Per ora è al secondo posto, perché “La Cina è vicina”, nel 1967, fu molto visto: a quanto pare, gli incassi di allora equivarrebbero oggi a quasi sei milioni di euro. In meno di due settimane, comunque, “Buongiorno, notte” ha incassato finora più di due milioni nelle sale».
Secondo: lei ha affermato che “Buongiorno, notte” non ha vinto il Leone d'Oro a Venezia per l'ostilità di Mario Monicelli, presidente di giuria. Questo ha guastato i rapporti fra voi?
«No. Anche se non riesco a spiegarmi il suo giudizio, siamo sempre amici e io auguro ogni bene a Mario».

Parlano i ragazzi che hanno partecipato al laboratorio
Gli allievi: «Una grande esperienza»
Il “corto” di quest'anno ispirato alla “Cavallina storna”
di Oliviero Marchesi


«Una grande esperienza: spero di poterla ripetere». E' la frase standard con cui i 20 allievi di “Fare Cinema 2003” (venti-trentenni provenienti dall'Italia intera “scremati” da una dura selezione) commentano un'edizione del laboratorio che pareva nascere sotto una cattiva stella per alcune inevitabili assenze del direttore-docente Marco Bellocchio e invece ha dato vita a 13 giorni di elettrica tensione creativa. Come sempre, il corso era basato sulla realizzazione di un cortometraggio diretto da Bellocchio con la collaborazione - anche creativa - degli allievi in ogni fase della lavorazione. E questa è, forse, una delle chiavi del successo di “Fare Cinema”: «Abbiamo potuto lavorare su un vero set e non è poco», dicono il cagliaritano Efisio Marcias, la romana Daria Petrillo e il bergamasco Paolo Jamoletti.
«La più grande soddisfazione? Quando ho proposto un'inquadratura a Bellocchio e lui l'ha accettata», dice Giovanni Truppa di Firenze. I grandi registi, in genere, sono - o appaiono - inavvicinabili. Ma il grande affetto con cui “i ragazzi” salutano Marco alla fine di questa avventura (dopo averlo alluvionato di copie dei loro lavori precedenti) testimonia della ricchezza umana di questo contatto, forse importante per il maestro quanto per gli allievi.
Il “corto” di quest'anno (protagonista Simona Nobili, attrice teatrale romana con una parte in “Buongiorno, notte”) era ispirato alla pascoliana “La cavallina storna”. Le riprese sono terminate, ma il film non è pronto: il montaggio, effettuato col sistema digitale Avid da Francesca Calvelli, deve ancora fare la sua parte. Resterà un'esercitazione di scuola oppure sarà proiettato in pubblico? In attesa di saperlo, comunque, gli allievi di “Fare Cinema” affermano di portarsi a casa, oltre a ricordi toccanti di Bobbio e dei suoi cittadini (come la signora Ortensia, che ha cucito in una notte i costumi femminili), un bagaglio di “cose imparate” importantissimo per il loro futuro.
Si parla di trucchi del mestiere appresi sul campo da eccellenti professionisti (tecnici del suono “veterani“ come Corrado Volpicelli e Remo Ugolinelli, la sceneggiatrice Daniela Ceselli, operatori e fotografi come William Santero, Matteo Fago, il piacentino Marco Sgorbati). Si parla di incontri che hanno lasciato il segno con tutti i personaggi che in questi giorni hanno trasformato Bobbio per due settimane in un ritrovo del meglio del nostro cinema (registi come Ciprì & Maresco ed Edoardo Winspeare, lo sceneggiatore Vincenzo Cerami, il produttore Marco Müller e Roberto Perpignani, montatore che ebbe il suo battesimo del fuoco al fianco di Orson Welles: «Un incontro molto importante per me, che voglio occuparmi di post-produzione» dice Federico Azzola Guicciardi).
Si parla della possibilità di adoperare finalmente attrezzature professionali: macchine da presa digitali DXC35 e PD150 e il mitico registratore analogico Nagra. Ma soprattutto si parla di quel qualcosa in più che il contatto diretto, dialogante, con un grande maestro fa fiorire nella mente di chi impara. E i racconti dei quattro allievi piacentini (Francesco Barbieri, Renato Bettinardi, Andrea Canepari e Donato Dallavalle) vanno in questa direzione: «Lavorare con un grande autore lascia il segno». Guido Silei, fiorentino, è stato borsista per un anno alla mitica Ucla di Los Angeles. Ecco il risultato del suo confronto: «Preferisco l'approccio europeo: arte contro industria».