martedì 21 ottobre 2003

il manifesto: collegare filosofia e psicologia alle neuroscienze...

il manifesto 21.10.03
La mente esige un pool di esploratori

L'indagine su quel che la mente è non può essere distinta dalla domanda su come essa funzioni. Il problema emerge con evidenza da quanto sostiene Massimo Marraffa in "Filosofia della psicologia" uscito da Laterza. A prescindere dalle risposte, quel che è certo è che la filosofia non può pretendere di tenersi al riparo da contaminazioni esterne, evitando dunque di utilizzare i saperi delle scienze empiriche
di FRANCESCO FERRETTI


Ci sono filosofi che vanno fieri dell'autonomia del loro campo d'indagine. Quel che si verifica nella filosofia della mente è emblematico: chi se ne occupa ripete spesso che il tipo di questioni poste dal filosofo (che si interroga essenzialmente su «cosa sia» la mente) non è analizzabile nei termini delle indagini condotte da chi fa scienza empirica (lo psicologo si chiede piuttosto «come funziona» la mente). Anche gli psicologi, beninteso, difendono con forza l'indipendenza del proprio ambito tematico: a proprio favore, chiamano in causa l'avvento della scienza come una «emancipazione» dalla filosofia. Ora, che il costituirsi di alcune discipline scientifiche sia storicamente riferibile a una tale emancipazione è cosa nota e non discutibile. Il punto è stabilire se anche la nascita della psicologia possa essere interpretata in questi termini: a dispetto della credenza comune, Massimo Marraffa sostiene nel suo Filosofia della psicologia (uscito da poco presso Laterza) che la tesi dell'emancipazione di sicuro non vale per la psicologia cognitiva: la questione non è di poco conto. Storicamente, in effetti, la psicologia cognitiva sembra caratterizzata da una forte continuità con la tradizione filosofica. Uno dei suoi nodi teorici fondamentali, la teoria rappresentazionale della mente - ossia l'idea secondo cui il rapporto tra individui e mondo è mediato da entità mentali caratterizzate da ruolo causale e contenuto semantico - testimonia una linea di continuità diretta con l'empirismo classico. Chomsky, uno dei padri della scienza cognitiva, ha insistito su questo punto utilizzando l'argomento della «povertà dello stimolo»: quando, come nel caso dell'acquisizione del linguaggio, l'output contiene un sovrappiù di informazione rispetto all'input, l'unica spiegazione plausibile è che tale sovrappiù dipenda dalle caratteristiche intrinseche del parlante/ascoltatore (da ciò che ha nella testa). La scienza cognitiva contemporanea ha mostrato come la povertà dello stimolo sia un argomento che può essere utilizzato per la cognizione in genere, non solo per il linguaggio: Marraffa presenta con chiarezza gli argomenti e le prove empiriche che militano in favore dell'esistenza di specifiche competenze innate alla base della cognizione umana - la fisica ingenua, la biologia ingenua e la psicologia ingenua. Con buona pace dei neocomportamentisti e dei neoambientalisti l'essere umano non è una tabula rasa. Gli umani sono animali che interpretano il mondo attribuendogli un senso. Nella scienza cognitiva, animata da istanze naturalistiche, interrogarsi circa la natura del senso equivale a porsi la domanda: come è possibile che un sistema fisico quale noi siamo (uomini e donne in carne e ossa) sia capace di attribuire significato agli accadimenti del mondo? Ora, per rispondere a tale domanda non basta affermare che gli esseri umani sono sistemi intenzionali. Ciò che è richiesto, in più, è spiegare come sia possibile di fatto che un sistema fisico sia capace di produrre stati mentali dotati di contenuto - per questo la domanda circa cosa sia la mente non può essere distinta dalla domanda relativa a come essa funzioni. L'uso dell'intelligenza artificiale in filosofia nasce dall'esigenza di rispondere a problemi di questo tipo. Che l'intelligenza artificiale rappresenti effettivamente una soluzione al problema è questione aperta e controversa, ma il punto non è questo. Il punto è piuttosto che, a prescindere da quali siano le risposte al quesito, un fatto appare indubitabile: in casi di questo tipo la filosofia non può fare a meno del sostegno della ricerca empirica.

La questione dell'autonomia dell'ambito di indagine non riguarda soltanto il rapporto tra filosofia e psicologia. Fodor, ad esempio, sostiene che la psicologia coglie regolarità nomologiche (ovvero, descrivibili secondo leggi) a un livello diverso e irriducibile a quello della neuroscienza - motivo per cui la neuroscienza non può essere di alcuna utilità per lo studio della mente. Ci sono buoni motivi, tuttavia, per considerare superata questa posizione teorica. L'antibiologicismo di Fodor, infatti, come rileva giustamente Marraffa, dipende in primo luogo dal riferimento alle ricerche sul sistema nervoso tipiche degli anni Settanta - centrate su livelli di organizzazione molto bassi (i singoli neuroni). Poiché la neuroscienza attuale è in grado di lavorare su livelli di elaborazione più elevati (quelli che coinvolgono vaste popolazioni neurali), il suo convergere verso un livello di analisi congruente con quello della psicologia computazionale appare una strada praticabile. In favore di questa ipotesi, inoltre, la ricerca empirica ha oggi a disposizione un modello computazionale - le reti neurali artificiali - che «si caratterizza per il tentativo di vincolare sistematicamente la psicologia computazionale con i dati relativi all'organizzazione funzionale del sistema nervoso».

Vincolando in questo modo la ricerca psicologica, le reti neurali falsificano la tesi dell'autonomia della psicologia dalla neuroscienza e aprono la strada a due diverse ipotesi interpretative. Da una parte c'è chi utilizza le reti neurali per promuovere forme di riduzionismo e di eliminativismo: Patricia e Paul Churchland, ad esempio, ritengono che la psicologia computazionale debba essere abbandonata in favore di un modello connessionista in grado di coevolvere con la neuroscienza e, in un futuro ideale, capace di essere ad essa interamente riducibile. D'altra parte - ed è su questo punto che emerge con forza la tesi propositiva di Marraffa - c'è chi sostiene che è proprio il carattere unidirezionale della relazioni tra psicologia e neuroscienza (a netto vantaggio della seconda) a dover essere messo in discussione.

La relazione tra le due discipline è di fatto bidirezionale: la neuroscienza vincola la psicologia, ma le considerazioni funzionali a carattere psicologico esercitano una forte influenza sulla definizione dei tipi neurologici. Contro il riduzionismo, Marraffa propone una forma di «pluralismo esplicativo» - la tesi secondo cui la realizzazione simultanea delle ricerche a vari livelli di analisi promuove il progresso di ognuno di questi livelli - che considera nei termini di un equilibrio riflessivo il rapporto tra neuroscienza e psicologia. Tale proposta è tanto più convincente in quanto apre la strada a un'indagine sulla mente che vede coinvolte sullo stesso piano neuroscienza, psicologia e filosofia. Per studiare le questioni relative alla mente non è possibile pretendere di tenersi al riparo dalle contaminazioni esterne, ovvero evitare di utilizzare i saperi messi in campo dalle scienze empiriche. La bonaccia è finita: è probabile che i filosofi che sinora hanno navigato nelle acque tranquille della loro autonomia d'indagine debbano cercarsi un riparo più sicuro.