(ricevuto da Roberta Mancini)
CIAK ottobre 2003
Partendo dalla cronaca del sequestro Moro, Bellocchio firma un film intimo che approda al sogno e all'inconscio
Italia, 2003
Regia Marco Ballocchio
Interpreti Maya Sansa, Luigi Lo Cascio
Sceneggiatura Marco Bellocchio
Produzione Filmalbatros e Raicinema
Distribuzione 01 Distribution
Durata 1 h 45'
Dopo "Il sorriso di mia madre" - era il titolo iniziale di "L'ora di religione" - ecco il sorriso del padre. Non solo per la dedica esplicita nei titoli di testa. «Le scene in cui Aldo Moro (uno straordinario Roberto Nerlitzka, ndr.) passeggia libero nell'appartamento», confessa infatti Marco Bellocchio «ricordano le passeggiate notturne di mio padre, quando non dormiva e ci veniva a guardare». E ancora: «È morto quando ero adolescente e per anni ho rimosso il suo ricordo, mi faceva stare troppo male». Parole che, forse non casualmente, somigliano molto a quelle che nel film dice Mariano (un asciutto Luigi Lo Cascio) rispetto alla figlia, cancellata dopo il divorzio per abbracciare totalmente l'insensatezza della lotta armata. Elementi, non ultimo il fatto che il padre dirige il figlio Pier Giorgio Bellocchio (più maturo ed efficace rispetto ai tempi di "La balia"), che servono a confermare come "Buongiorno, notte" sia qualcosa di assai più complesso e sottile di un film politico sulla morte di Aldo Moro. Anzi, curiosamente (ma non troppo), Bellocchio firma un film complementare a "The Dreamers" di Bertolucci, ugualmente tangenziale rispetto alla Storia, ugualmente chiuso in un appartamento, ugualmente contrassegnato da personali conti col tempo e dal rapporto fra generazioni. Diversi sono però il processo creativo, l'emozione e soprattutto l'animo del sognatore. Bellocchio parte dalla cronaca della prigionia di Moro (il libro Il prigioniero di Maria Laura Braghetti, Feltrinelli) e utilizza la televisione come finestra sempre aperta sul reale, ma gradualmente si concentra sulla storia intima di Chiara (un'intensa e bravissima Maya Sansa), vivandiera delle Br. È lei l'epicentro della complessa, ma limpida dialettica fra dentro e fuori che è l'anima del film. Chiara svolge infatti una doppia funzione: è il personaggio che vive maggiormente il contrasto fra il tragico claustrofobico dell'appartamento e il richiamo esterno della vita vera (a partire dalla presenza emblematica del lattante il giorno del rapimento), ma al contempo è l'elemento che, con la forza dei suoi sogni, porta il film fuori dal reale, verso una dimensione onirica, spiazzante e dolorosa, intensa e universale. Dove i sogni non cambiano il reale, così come il giudizio politico resta netto e preciso. Ma possono servire a riconciliarsi, a capire, a ritrovare fantasmi rimossi e perfino sorrisi. S.L.
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