mercoledì 5 novembre 2003

Erika e Lidia Ravera

Corriere della Sera 5.11.03
Un singolare libro dedicato dalla Ravera all’adolescente di Novi Ligure. A faccia a faccia con lo spettro della violenza
E Lidia disse a Erika: la scrittura ti salverà dai rimorsi
di Gian Mario Benzin


Si ha quasi paura, ad aprire questo libro, Il freddo dentro, di Lidia Ravera: una riflessione sul delitto di Novi Ligure. Paura di sentirsi travolti di nuovo nel gorgo di una tragedia di cui tutti abbiamo già letto troppo e troppo a lungo. Per carità, Erika e Omar ci hanno sconvolti abbastanza da non farci desiderare certo di ripercorrere quelle trame orrende e magari interrogarci e cercare di capire... Ecco il punto. Di questo delitto, in fondo, per quanto eccedente sia stata la massa della informazioni che per mesi ci ha sommersi, non sappiamo nulla, dal momento che non ne conosciamo le motivazioni. «Quello che nessuno sa, che nessuno spera di poter capire, che nessuno ha più voglia di chiedersi, è il perché. Perché l’hai fatto, Erika?», domanda la Ravera.
Ed è proprio da qui, da questa impellente, insostenibile inspiegabilità che il volume prende le mosse. Non è una semplice ricostruzione dei fatti, né una disquisizione psicoanalitica; la scrittrice non indulge al particolare sanguinario e non si compiace di alcuna sicumera esegetica. Non ha potuto incontrare gli assassini, non ha scoop per la cronaca nera. La sua analisi vibra piuttosto di passione umana. L’autrice si indigna, si scaglia, interroga, incalza. Contro l’attuale consegna del silenzio «che allontana il clamore e allevia il fastidio, ma lascia tutte le domande sepolte e insolute». Quasi vergasse di getto la sua "lettera a una bambina (purtroppo) nata", si rivolge a Erika in seconda persona, la chiama, la scuote, le dà della «piccola canaglia ignorante»; il suo è un appello, un’allocuzione continua; a tratti, un’affilata perorazione. «Erika, ascoltami, è orribile. Guardalo. Guarda quella scena. Abbi coraggio». Spaventosa, questa seconda persona, destabilizza il lettore come un terremoto edipico: di colpo, è come se Erika fossimo noi.
Infatti: con la sua prosa scarna e tagliente, e, insieme, con slancio che rasenta la poesia (i frequenti «a capo»), la scrittrice, soprattutto, mette in discussione se stessa (e noi). Tratteggia, sì, gli eventi, le indagini, l’inganno della finta rapina, l’ambiente familiare, la mancanza di ideali e di emozioni, l’incapacità di amare, la noia, il vuoto di quelle esistenze viziate e indifferenti. Ma subito trasforma ogni dato nello spunto di un confronto interiore.
Erika dice che la sua mamma era «bellissima e tranquilla». La Ravera sbigottisce e racconta della propria adolescenza, delle proprie ribellioni, di come credesse invece di odiare sua madre. Erika dice che lei e la mamma erano «uguali». La Ravera scatta: ma allora, «di che cosa ti sei voluta liberare, liberandoti di lei»? Ai suoi tempi, i giovani avevano Grandi Nemici Collettivi, i fascisti, i borghesi, la diccì, il presidente degli Stati Uniti; e oggi? Davvero il fine di quel delitto di coppia era «poter scopare liberamente», vista la libertà di cui tanti adolescenti sono oggi già sazi?
Così, a poco a poco, dal «primo piano» sulla villetta di Novi, il campo s’allarga ad una riflessione generazionale, sull’eternità dei ruoli di genitori e di figli, sull’eternità e la «normalità» del loro conflitto.
L’ultima inquadratura torna invece sul particolare e confida una delusione: la scrittrice voleva incontrare Erika (e non le è stato concesso), per offrirle il proprio corso di scrittura creativa. Perché scrivere è capire. Ed Erika dovrà capire. «Prima riuscirai a farlo, prima sarai libera». Il libro svela, così, da ultimo, il suo volto forse più profondo: un amaro, pudico inno alla parola che illumina e redime.

Il libro: «Il freddo dentro» di Lidia Ravera, editore Rizzoli, pagine 176, € 13,50. In libreria da domani