mercoledì 5 novembre 2003

sulla Cina
citato un antico film di Marco Bellocchio

Repubblica 5.11.03
Come è possibile che un paese comunista dia vita a una forma di capitalismo sfrenato?
Mao è sempre sugli altari, ma a trionfare sono le risorte idee di Confucio

UN PAESE VITALE E CONTRADDITTORIO MINACCIA L´OCCIDENTE?
dal nostro inviato Bernardo Valli


PECHINO. LA CINA suscita da secoli, a fasi alterne, una straordinaria varietà di sentimenti: rispetto, timore, affetto, rifiuto, ammirazione, sospetto. Accende facilmente le passioni occidentali. Le preziose esperienze individuali, come gli inevitabili giudizi generici, sfiorano appena, il più delle volte, una realtà ampia e composita.
Anche ai nostri giorni, come nel millennio scorso, assistiamo all'entusiasmo di chi scopre la Cina, ne esalta gli straordinari progressi e vi vede un immenso, appetitoso mercato; e al contempo assistiamo alla paura di chi la vorrebbe invece isolare, perché sleale concorrente dei nostri prodotti e imminente potenza mondiale di cui diffidare. È rituale lo spettacolo dell'imprenditore occidentale che, sulle sponde del fiume Huangpu, davanti ai grattacieli di Pudong, a Shanghai, o all'ombra del ritratto di Mao Zedong, a Pechino, si abbandona a un incondizionato elogio del miracolo cinese. Ed è altrettanto rituale la denuncia assoluta, senza appello, delle violazioni dei diritti dell'uomo e delle disuguaglianze economiche, in particolare tra città e campagne. Disparità attribuite al connubio tra il carattere totalitario del comunismo ufficiale e il liberismo del rampante capitalismo reale. L'equazione è insolita: è il primo, il comunismo politico, a promuovere il nuovo corso economico, a favorire l'esatto opposto della sua ideologia originaria.
Per illustrare l´atteggiamento occidentale verso la Cina, un rispettabile sinologo, Jonathan D. Spence, cita come esemplare il colloquio tra Kublai Khan e Marco Polo immaginato da Italo Calvino in "Le Città Invisibili". Dopo avere ascoltato le straordinarie descrizioni del viaggiatore veneziano, il capo mongolo diventato imperatore cinese gli chiede se una volta ritornato in patria ripeterà alla sua gente i racconti di quel che ha visto. Marco Polo non risponde direttamente alla domanda. Dice che serve a poco parlare, perché tanto chi ascolta recepisce soltanto le parole che si aspetta. Chi comanda è l'orecchio, non la voce. Questo vale spesso anche per la Cina d´oggi. Ognuno vi legge quel che vuole.
La Cina può apparire, in verità, enigmatica, e, al tempo stesso, molto più a portata di mano, più decifrabile, di quando Marco Bellocchio la definiva tale nel titolo di un suo film, rimasto emblematico dell´epoca maoista: La Cina è vicina. Oggi è senz'altro più vicina di quanto sia mai stata, ma non per questo ci risparmia le sorprese. Ci lascia perplessi o affascinati. Spesso in bilico tra questi due stati d'animo. La metamorfosi del regime è senza precedenti. È una trasformazione da collocare anzitutto nel tempo per capirne l´eccezionalità. Essa si svolge con successo, ed è tutt'altro che finita. Il galoppo trionfale continua, travolgendo i pronostici negativi di legioni di esperti, più di dieci anni dopo il crollo del comunismo nell'Unione Sovietica e nell'Europa orientale. Prosegue senza frenare lo slancio un quarto di secolo dopo lo storico terzo plenum dell´undicesimo Comitato Centrale, che dette il via al nuovo corso. Il plenum che, alla fine del 1978, sotto l'impulso di Deng Xiaoping, riconobbe di fatto il fallimento del sistema economico maoista (il Grande Timoniere era morto da appena due anni) e la necessità di lasciare un certo margine di iniziativa al libero mercato, attraverso riforme economiche rivelatesi di un'audacia mai vista in un paese che si dichiara ancora con solennità marxista-leninista.
La Cina resta infatti una Repubblica popolare in cui le redini del potere sono nelle mani di un partito comunista che si identifica ufficialmente in una ideologia e funziona attraverso strutture in larga parte ereditate da Lenin e da Stalin. Il Paese si modernizza a una velocità che mozza il fiato, sviluppa sempre di più l'economia di mercato, importa capitali e metodi di gestione occidentali, cambia i paesaggi urbani ispirandosi ai modelli americani, e a questi stessi modelli adegua non trascurabili aspetti della vita quotidiana, ma conserva un sistema politico che figura già nella storia come un fallimento. Si definiscono ancora comunisti paesi come la Corea del Nord, il Vietnam e Cuba. Ma, pur essendo assai diversi tra di loro, non mi sembra che essi abbiano, in quanto tali, un futuro radioso. La situazione del Vietnam non è certo paragonabile a quella disperata, angosciosa, della Corea del Nord. Nulla è tuttavia comparabile alla crescita economica cinese, cominciata negli anni Ottanta; e al conseguente miglioramento del livello di vita della popolazione, nonostante lo scarto sempre più ampio tra città e campagna. Uno scarto, in favore delle città, che sottolinea il rovesciamento provocato dal nuovo corso rispetto al maoismo originale, che enfatizzava il ruolo della campagna.
Oggi è come se ci fossero due Cine: quella urbana in piena espansione e quella contadina alle sue porte, nell'attesa di usufruire un giorno dei vantaggi che le sono negati. Molte restrizioni che impedivano la mobilità sono state formalmente abolite. Adesso milioni di persone si spostano da una provincia all´altra. Ma gli ostacoli indiretti che impediscono o frenano l'inurbamento della popolazione rurale (in cui si valuta a trecento milioni il numero dei disoccupati) sono tuttora numerosi: ad esempio la mancanza di abitazioni, l´esclusione da ogni forma di assistenza, l'alto costo per ottenere i permessi di lavoro e di residenza ("huku"), l´impossibilità di ottenere crediti.... In un regime nato da una rivoluzione che aveva come obiettivo l'uguaglianza, le disuguaglianze sono profonde. Vi sono uomini e donne ammessi con pieni diritti nella città; ve ne sono altri che vi vivono in modo precario, senza diritti, a titolo provvisorio; ed altri ancora, la stragrande maggioranza, che sono tenuti ai margini. Esclusi. La riserva di mano d'opera è immensa. Quel che un giorno potrebbe essere il detonatore di una rivolta sociale, tra città e campagne, oggi rappresenta un incalcolabile vantaggio per i meccanismi produttivi. Non c'è mercato del lavoro più flessibile di quello cinese. Ma va anche ricordato che nell'ultimo quarto di secolo, da quando il comunismo cinese, pur restando "leninista", ha imboccato la strada di un suo specifico capitalismo, circa quattrocento milioni di cinesi sono stati strappati alla povertà o alla miseria. Poco meno di uno su tre.
Il ritratto di Mao Zedong domina sempre la piazza della Pace Celeste, la Tienanmen, dove sorge anche il mausoleo in cui si trova il suo corpo imbalsamato, ma il pensiero emergente, anzi che riemerge, è un altro. È quello che si ispira a Confucio: il filosofo della tradizione, della saggezza e dell´obbedienza, che Mao, cercando di dominare la storia, strappò dalla profondità dei secoli per avere un rivale degno della propria grandezza. Un rivale-simbolo dell´antica Cina da abbattere. Mao è sempre sugli altari ma a trionfare è l'essenza delle risorte idee di Confucio. Del quale non ci sono immagini sulle mura della Città proibita.
I riti e il linguaggio del partito comunista restano, immutabili, come se fossero un ancoraggio. Fanno pensare a quello che era un tempo il latino nella Chiesa cattolica. Non si tratta soltanto di una fedeltà alle origini. Se quei riti cessassero forse crollerebbe il partito stesso. La loro sopravvivenza non impedisce di praticare una politica, soprattutto economica, che va nella direzione opposta. Più che una contraddizione può apparire una prova di saggezza. L'Unione Sovietica è naufragata perché tentò una riforma politica che spezzò la sua spina dorsale, il partito. Fu un suicidio. La Cina riforma invece l'economia ma non tocca il partito. Il cui potere tuttavia cambia sotto la pressione dell´economia. La sua influenza sulla società non è infatti più quella di un tempo. Non interviene più, non è più onnipresente, nella vita quotidiana degli individui. I quali non sono più ossessionati dai suoi controlli. Possono ignorarlo, e concentrarsi sui propri affari, e trovare dei mezzi di sussistenza fuori dai circuiti ufficiali. Questo non significa che possono ignorare del tutto lo Stato-Partito, poiché la burocrazia resta onnipresente e senza una protezione o una mancia è difficile ottenere i permessi indispensabili. Ma in generale si può sfuggire alla vita politica. Benché il sistema giudiziario si sia sviluppato e modernizzato, non esiste nessuna istituzione giuridica che possa avere un ruolo di freno, o di contrappeso, al potere dello Stato-Partito.
Aldilà dei condizionamenti della nostra logica, possiamo scoprire anche noi un chiaro filo conduttore, una coerenza, in quelli che a noi sembrano enigmi e paradossi. Non è forse il partito una dinastia che sceglie e cambia strategia, nell´interesse dell´impero? E lo fa senza rinnegare le proprie origini: che sono quelle di una rivoluzione anzitutto nazionale. I riti? Quelli imperiali, nella Città proibita non cambiavano mai, o molto di rado.