mercoledì 24 dicembre 2003

Cina

Il Messaggero Mercoledì 24 Dicembre 2003
LA CINA ULTRAMODERNA MA CON IL SANTINO DI MAO
di GIANNI SOFRI


LEGGO il bel libro, appassionante, su Stalin e lo stalinismo, di Martin Amis, Koba il terribile. Che io sappia, non c'è nulla del genere su Mao. Se il Grande Timoniere non se ne fosse andato ventisette anni fa, proprio in questi giorni, il 26 dicembre per la precisione, compirebbe 110 anni. Ma che ne è di Mao nella Cina di oggi? Il problema viene liquidato in genere, da una quindicina d'anni, con la scontata battuta sul suo rivoltarsi nella tomba: più che mai inverosimile, oltre tutto, perché Mao, notoriamente, non ha una tomba. Ma con un fondo di verità. Cos'ha a che vedere Mao, in effetti, con questa Cina, con la sua esplosione di grattacieli e di telefonini, di high tech e di capitalismo selvaggio, di elezioni di Miss Mondo e di concerti pop e heavy metal? Nulla, evidentemente.
Ciò nonostante, la "demaoizzazione" si è fermata abbastanza presto, e Mao occupa tuttora un posto importante sia nell'ufficialità dell'establishment, sia nella memoria popolare. Nella prima, innanzitutto, che avendo gelosamente conservato inalterata (a dispetto delle grandi trasformazioni economiche) la facciata politica del Paese, e con essa la guida indiscussa del Partito comunista e dell'ideologia marxista-leninista, ha tutto l'interesse a sottolineare la continuità con la Lunga marcia e con la fondazione, nel '49, della Repubblica popolare. Certo, Mao è ampiamente criticato, e non più solo nei corridoi, per i suoi molti "errori", dal Grande balzo in avanti alla Rivoluzione culturale, che costarono ai cinesi - come ai russi sotto Stalin - milioni di morti. Ma sono pur sempre, come ebbe a dire l'ex Presidente Jiang Zemin, "gli errori di un grande rivoluzionario e di un grande marxista". E quanto alla Rivoluzione culturale, si tende a privilegiare la comoda soluzione di addossarne le colpe alla perversa moglie Jiang Qing e ai suoi tre colleghi della "banda dei quattro", offuscando così le evidenti responsabilità dirette del Grande Timoniere. Naturalmente, nessuna delle fazioni che si fronteggiano, più o meno apertamente, nel Partito comunista cinese ha più come suo riferimento politico Mao e il suo pensiero. Ma conviene a tutti coltivare per lui una sorta di venerazione pubblica, come a un simbolo di unità in un empireo lontano e innocuo.
Parallelamente, nella memoria popolare Mao è una specie di santino. Milioni di visitatori, combattuti tra curiosità e commozione, vanno ogni anno in pellegrinaggio devozionale alla sua casa natale di Shaoshan o alla sua salma imbalsamata in piazza Tienanmen. La sua immagine viene venduta, non solo ai turisti sempre golosi, nelle forme più disparate, dagli accendini ai distintivi ai talismani di ogni tipo. Fa da portafortuna nei ristoranti (spesso su altarini simili a quelli tradizionalmente riservati agli antenati) o nei taxi: a molti giornalisti si racconta per l'appunto di incidenti nei quali solo i possessori di un santino di Mao se la sarebbero cavata a buon mercato. Si potrebbe persino parlare di una sorta di revival affettuoso e ironico insieme, di un culto più intimista e meno monumentale di un tempo.
E' tornata assai di moda, per esempio, una canzone che era praticamente obbligatoria per tutti i bambini cinesi nelle scuole dell'epoca maoista: parla di Shaoshan e del suo aver dato i natali alla "stella della salvezza dei cinesi".
Solo folklore? E' lecito dubitarne. Lo straordinario sviluppo economico degli ultimi anni non è certo privo di contraddizioni. Le riforme economiche, nelle campagne come nell'industria, hanno accentuato le differenze sociali: non tutti hanno potuto approfittarne. Si calcola che ci siano oggi 35 milioni di contadini disoccupati e un numero assai elevato, e difficilmente calcolabile, di "vaganti" precari, alla ricerca delle briciole del boom. Le imprese di Stato licenziano ogni anno dagli 8 ai 10 milioni di operai. E secondo tutte le previsioni si tratta di cifre destinate a salire.
Negli ultimi mesi ci sono state proteste, anche violente, contro le espropriazioni "facili" di terreni destinati a estendere i poli industriali, i supermercati, le sedi olimpiche; o a sostituire i vecchi quartieri con gli inarrestabili grattacieli. Nel mese di settembre, per dare efficacia a questo tipo di protesta, ben tre persone, in luoghi e momenti diversi, hanno tentato di immolarsi con il fuoco; e i suicidi in genere, da parte di chi è tagliato fuori dai miracoli economici, e dalla propria terra, sono stati (e sono) numerosi. Accade così che ricordare e venerare Mao significhi anche, per alcuni, rifugiarsi nella nostalgia, e dar corpo a una protesta dolorosa e impotente. Si dimenticano gli orrori del passato e lo si contrappone alla cupidigia, alla speculazione, alle nuove ingiustizie del presente. Si mitizza una Cina nella quale, per lo meno agli occhi dei molti cinesi esclusi dai benefici della modernizzazione, "si stava meglio". E nella quale criminalità e corruzione non esistevano o, meglio, erano occultate più sapientemente. Senza contare che a Mao i cinesi continuano comunque ad essere grati per aver tratto il loro grande Paese dal declino e dall'oppressione straniera in cui era caduto, e avergli ridato orgoglio e dignità nazionale: sì da poter oggi affermarsi come una riconosciuta potenza mondiale.