mercoledì 24 dicembre 2003

Luigi Cancrini

Il Messaggero Mercoledì 24 Dicembre 2003
L’ANALISI
Ma per i giovani il pericolo più grave è la perdita di fiducia in se stessi
di LUIGI CANCRINI


C’E’ stato un tempo in cui, in America come in Italia, la vita scorreva su tempi scanditi da riti ben definiti. La fine della scuola coincideva, per i giovani della famiglia borghese con l'ingresso nelle Università o nei Collages. L'inizio delle attività di lavoro ed il matrimonio segnavano subito dopo, l'inizio di una carriera e della vita adulta. Tornare a casa dei genitori veniva vissuto come una sconfitta.
Molte cose sono cambiate, in fondo, nel corso di un tempo abbastanza limitato. Entrare nel mondo del lavoro a 22 o a 24 anni è praticamente impossibile oggi per chi pensa o sogna di svolgere un’attività sufficientemente qualificata. Sposarsi prima dei 30-35 anni è considerata una forma di imprudenza. Restare in casa dei propri genitori è, in queste condizioni, sempre più comodo e sempre più naturale. Serve a prendere tempo per migliorare la propria formazione professionale e per essere, dunque, più competitivi. Serve, su un piano più personale, a fare tutte le esperienze che sembrano necessarie per non sbagliare nel momento in cui si decide di dare inizio ad una convivenza che qualche volta finirà in un matrimonio. Prudenti e riflessivi più dei loro genitori, i giovani di oggi tentano di godersi la vita per tutto il tempo in cui la vita glielo permette. Comprensibile e, spesso, corretta la scelta del ritorno a casa (o del restare a casa) comporta, tuttavia, problemi che sono, a volte, tutt'altro che semplici.
Abituato da sempre ad essere il centro dell'attenzione emotiva dei suoi genitori, il figlio ha una naturale propensione, prima di tutto, al mantenimento di questo suo privilegio. Il modo in cui il suo atteggiamento urta contro le esigenze nuove dei genitori che hanno molta voglia ora di vivere la loro vita concedendosi quello che non si sono concessi nel tempo in cui dovevano lavorare e occuparsi di lui, è stato descritto magistralmente in Tanguy, un film francese dedicato proprio a questo problema. Guardata con simpatia particolare dal regista e dal pubblico, la rabbia espulsiva dei genitori produce, lì, la partenza del figlio e la risoluzione del problema. Quello con cui molto più spesso ci si incontra nella vita e in una professione come la mia, però, è il problema legato alla perdita di fiducia in se stessi. Caratteristica di tante altre persone giovani meno fortunate o meno dotate. Perché difficilissimo è, per loro, costruire un futuro lavorativo così stabile e così redditizio da permettere a loro e alla loro eventuale famiglia condizioni economiche simili a quelle in cui sono stati abituati a vivere e perché sempre più poche sono, per loro, le occasioni di lavoro capaci di suscitare slanci o entusiasmi di tipo ideologico.
Guardato da questo punto di vista, il dato sociologico sui giovani costretti a restare in casa dei loro genitori da un sistema sociale che di loro ha sempre meno bisogno propone, probabilmente, la spiegazione più semplice per la grande crisi di valori che attraversa oggi le società dell'occidente ricco. Quella che manca è la carica di ottimismo e di volontà con cui le persone giovani cercavano un tempo la pienezza della loro autonomia. E, spaventati da un futuro che nessuno dei loro genitori sembra più in grado di anticipare o di spiegare, molti di loro si chiudono in casa cercando soprattutto la sicurezza della protezione della famiglia.