venerdì 30 gennaio 2004

immagini che vengono da ottomila anni fa

una segnalazione di Filippo Trojano

Repubblica 30.1.04
L'INTERVISTA
A Latmos, sui versanti della montagna, ne sono state contate 140 per un totale di oltre 500 figure: una mostra fotografica da oggi a Lecce
Ecco il primo ritratto di famiglia è vecchio di ottomila anni
La scoperta in Turchia: immagini di uomini, donne, bambini

L'uomo diventa sedentario e getta le basi per il suo nucleo di discendenza
I dipinti sono stati fatti con ematite rossa sui massi del monte: forse luoghi sacri
di CINZIA DAL MASO


ROMA - Sono i primi ritratti di famiglia, i primi al mondo. Segnano il momento in cui l´uomo, diventato agricoltore e sedentario, crea la famiglia, il senso di discendenza e di ereditarietà, la società modernamente intesa. E la rappresenta. È una scoperta davvero eccezionale. Immagini di uomini e donne affrontati o abbracciati, gruppi di tre o più persone sempre abbracciati o accostati o in cerchio. A volte sono figure piccole e grandi assieme che paiono l´intera famiglia riunita, nonni genitori e figli pronti per il ciak. A "scattarlo" circa sette-ottomila anni fa è stato un abilissimo pittore che, munito di abbondante ematite rossa, l´ha fissato per sempre su massi e ripari del monte Latmos nella Turchia occidentale. Abile davvero nel ritrarre uomini longilinei ma con solide gambe e la testa a zig-zag o a forma di "t", e donne di profilo per evidenziare le natiche abnormi ma così leggere che paiono danzare. Sono figure bellissime, eleganti nella loro essenzialità.
Le ha scoperte e indagate Anneliese Peshlow dell´Istituto archeologico germanico di Berlino in anni di paziente ricognizione su ogni versante della montagna. Finora ha contato in tutto 140 pitture per un totale di oltre 500 figure rappresentate. E ha finalmente deciso di farle conoscere al mondo con una mostra fotografica che dalla Germania è scesa in Italia e oggi si inaugura al Convento dei Teatini di Lecce. Inaugurazione seguita il giorno dopo da una tavola rotonda che vedrà convergere a Lecce il fior fiore dell´intellighenzia mondiale in fatto di Neolitico. Tutti ad ascoltare la Peshlow, il suo racconto. Perché finora pareva che l´arte dell´uomo neolitico si limitasse a qualche statuina in pietra o argilla o poco più. Finora c´erano solo le stanze-tempio di Catalhöyük (in Turchia centrale) e le pitture della grotta di Porto Badisco (sulla costa adriatica, proprio vicino Lecce) a dire che i primi agricoltori non tenevano solo il capo chino sulla terra ma sapevano anche produrre grande arte. Parevano isolate eccezioni. Poi, qualche anno fa, d´improvviso, in Turchia sud-orientale (area-chiave per le origini del Neolitico) sono spuntate le enormi teste d´uomo in pietra di Nevali Cori, e gli svettanti pilastri di Göbekli Tepe con grandi rilievi di uomini e animali. E ora giunge la sorprendente scoperta del Latmos. Tutte in un´asse che va dalla Turchia al Salento. Solo lì, almeno per ora. Ancora pochi e per noi ancora enigmatici. Ma sufficienti per dirci che il Neolitico non è stata solo una rivoluzione tecnologica e sociale, il momento in cui l´uomo ha cominciato a dominare la natura e a riunirsi in villaggi. Col Neolitico è nato anche il concetto moderno di arte. Per questo Isabella Caneva dell´Università di Lecce ha voluto riunire (nell´ambito della Scuola di specializzazione in archeologia) tutti i suoi colleghi. Per andare a fondo, capire bene la portata rivoluzionaria dell´arte neolitica, la sua importanza anche per noi moderni. «Prima, nelle caverne paleolitiche, l´uomo dipingeva il mondo esterno di cui aveva timore, feroci animali braccati da intrepidi e solitari cacciatori», spiega Caneva. «Col Neolitico dipinge se stesso, il proprio mondo. Perché è lui al centro del mondo. Anche gli animali di Göbekli Tepe sono in realtà animali domestici dal significato simbolico. A Catalhöyük è la casa tutta, decorata con pitture ed enormi rilievi, ad assurgere a simbolo della nuova società. Col Neolitico nasce un nuovo modo di pensare, "moderno", che si riflette nell´arte. Nasce il ruolo sociale dell´arte». Delle sue forme, simboli e significati, si dibatterà domani a Lecce.

Anneliese Peshlow è l'archeologa tedesca che ha trovato le pitture
"Che sorpresa, quelle donne formose"

"Ero lì per trovare tracce greche e romane, invece ho trovato utensili e visto disegni geometrici"


ROMA - «Cercavo l´età classica e ho trovato la preistoria». Anneliese Peshlow dell´Istituto archeologico germanico di Berlino racconta come la sua scoperta sia stata frutto del caso. «Il monte si trova alle spalle della grande Mileto e incombe su Eraclea Latmia. Era logico pensare di trovarvi testimonianze greche o romane».
Perché è anche un luogo del mito.
«Per i Greci era il territorio di caccia del giovane Endimione. Di lui si innamorò la dea della luna Selene che chiese a Zeus di renderlo immortale. I Greci dicevano che ogni notte la luna scendeva sul Latmos per unirsi al suo amato».
Quali?
«In epoca bizantina, in periodi di siccità, si facevano processioni fin sulla vetta del monte per implorare la pioggia. Ma io credo che questo culto sia più antico. È probabile che la sua cima fosse la sede del Dio della Tempesta, divinità principe per le genti anatoliche. E le pitture dimostrano che la sacralità del monte risale alla più remota antichità».
C´è connessione tra le pitture neolitiche e l´acqua?
«Il pittore preistorico ha scelto luoghi singolari: grandi massi disposti in modo da formare un´area chiusa. Secondo me erano luoghi sacri. E la maggior parte è vicino a corsi d´acqua o sorgenti».
Come ha potuto datare le pitture?
«L´anno scorso ho indagato due siti e vi ho trovato utensili in pietra e ceramiche che rimandano all´epoca neolitica. Molti dei motivi geometrici che contornano le figure dipinte e decorano le natiche delle donne sono molto simili a quelli dipinti sulle giare di Hacilar, insediamento neolitico a est del Latmos. A settembre cominceranno gli scavi sul monte, grazie agli archeologi del Museo Pigorini di Roma». (c.d.m.)