martedì 13 gennaio 2004

Li Zhensheng, fotografo testimone della Rivoluzione culturale

vale il viaggio!

La Provincia di Como 13.1.04
Li Zhensheng, fotografo nei dieci anni del fanatismo maoista
Rivoluzione culturale: la tempesta cinese
Angelo Z. Gatti


Il primo nome, avuto alla nascita e scelto dal nonno che, contadino della provincia dello Shandong, ha studiato per gli esami della contea e quindi considerato un uomo assai istruito, è «Zhensheng», che significa: «Come un canto che si libra nell’aria, la tua fama raggiungerà i quattro angoli della terra». È l’autunno del 1940 e Li Zhensheng nasce a Dalian, provincia del Liaoning nel nord-est della Cina. Il secondo nome gli viene dato all’inizio del 1967, quando, fotogiornalista del Quotidiano dell’Heilongjiang di Harbin, capitale della remota provincia ai confini con l’allora Unione Sovietica, diventato Guardia Rossa, dopo aver costituito un «gruppo ribelle», si reca a Pechino per il riconoscimento ufficiale. Il Quartier generale nazionale dei Ribelli Rossi decide di appoggiare il gruppo giudicandolo formato da «ribelli veri»: «Colore Rosso Soldato di Notizie» è il nome scelto accompagnato dalla fascia da mettere al braccio con i caratteri della calligrafia di Mao. Colore Rosso Soldato di Notizie è il titolo del bel catalogo edito dalla Phaidon Press Ltd in occasione della mostra "Li Zhensheng. L’odissea di un fotografo cinese nella Rivoluzione Culturale (1966-1976)", aperta a Palazzo Magnani di Reggio Emilia fino al 15 febbraio. L’esposizione è divisa in cinque sezioni: inizia dagli anni che preparano la Rivoluzione Culturale e termina con la morte di Mao e l’incriminazione della «Banda dei Quattro». Sono 140 fotografie (su un totale di circa 1.000) scattate da Li Zhensheng a testimonianza della violenza e della follia che sconvolsero la Cina per un decennio. I negativi più compromettenti sono rimasti segreti per oltre trent’anni, conservati in un buco del pavimento di legno della sua casa avvolti in tela cerata. Li Zhensheng li ha portati fortunosamente (e fortunatamente) in Occidente dentro buste di carta bruna, raggruppate con degli elastici e annotate con date, luoghi, nomi e titoli delle persone, circostanze degli scatti. Il catalogo, a cura di Robert Pledge e di Gabriel Bauret e con una introduzione del noto sinologo Jonathan D. Spence, presenta più del doppio delle fotografie esposte. Le cinque sezioni sono precedute da capitoli autobiografici, in cui Li Zhensheng racconta episodi della propria esistenza sullo sfondo degli eventi storici trattati e in cui riporta numerose foto riguardanti la vita privata con varie istantanee eseguite con l’autoscatto. Ci sono: la felicità della prima macchina fotografia avuta in cambio di duecento francobolli (una 120 mm giapponese), l’entusiasmo degli anni di attività come fotografo per il giornale, il fervore giovanile per gli ideali propugnati dal «libretto rosso» con le massime di Mao, vero breviario che tutti doveveno avere con sé da consultare, da studiare, da diffondere, il culto per la personalità del «grande educatore, grande capo, grande comandante supremo e grande timoniere», ma anche la disillusione di fronte agli eccessi rivoluzionari, la denuncia e la permanenza in un campo di rieducazione. Dopo il fallimento del «Grande Balzo» (1958) e delle comuni agricole, con la conseguente carestia che costò la vita a più di venti milioni di persone, Mao si ritira dalla vita politica. Cinque anni più tardi però egli lancia il «Movimento per l’educazione socialista» per combattere le deviazioni ideologiche e la corruzione. Hanno inizio la campagna contro i «quattro elementi neri» (proprietari terrieri, contadini ricchi, controrivoluzionari, individui malvagi), e le «sedute di denuncia» in cui i cattivi elementi sono criticati pubblicamente. È il preludio della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, il cui avvio è decretato il 16 maggio 1966. Mao dà il suo appoggio alla fazione più radicale del partito comunista per «condannare e ripudiare le idee borghesi e reazionarie nell’educazione, nel giornalismo, nella letteratura, nell’arte, nella stampa». Si forma il movimento delle Guardie Rosse che, nato in una scuola di Pechino, presto di diffonde in tutto il paese. «Distruggere il vecchio per costruire il nuovo», «Ribellarsi è giusto», «Bombardare il quartier generale» sono gli slogan che compaiono scritti a mano nei dazibao sui muri e che sono urlati per le strade e nelle piazze dalle Guardie Rosse impegnate nella lotta contro ogni tipo di autorità. Scuole, università, accademie vengono chiuse; gli insegnanti, gli intellettuali, gli artisti sono perseguitati e processati, messi alla berlina, costretti al silenzio; anche le gerarchie del partito, centrali e periferiche, sono violentemente attaccate. per ristabilire l’ordine il presidente Lui Shaoqi chiede l’aiuto di Mao, ma questi, sostenuto dall’ultrasinistra con a capo la moglie Jiang Qing, si schiera apertamente con le Guardie Rosse, comparendo più volte sulla piazza Tienanmen davanti a milioni di giovani, con nelle mani il libretto rosso e sul braccio la fascia del movimento. È l’avallo alla nuova rivoluzione. La Cina piomba nel caos: manifestazioni di massa, scontri tra l’Esercito Popolare e le Guardie Rosse, processi pubblici, rastrellamenti nelle case, imprigionamenti e vessazioni. Gli accusati (spesso vittime di delazioni vendicative) sono esposti alle folle che urlano invettive, imbrattati di inchiostro, costretti a portare cappelli d’asino e cartelli con scritti i loro crimini. Da parte dei “ribelli” cresce il culto per Mao che raggiunge limiti ridicoli e assurdi. Li Zhensheng, fotoreporter inviato per documentare sia le celebrazioni ufficiali, sia le pubbliche sessioni di denuncia (comprese le esecuzioni capitali), dopo aver ripreso una manifestazione di studenti, deve ritoccare la foto scattata perchè i pugni alzati dei dimostranti, che inneggiano a Mao, sembrano colpirne la gigantografia. Sposi novelli che hanno sopra il letto immagini di Mao, alle critiche per aver avuto rapporti sessuali sotto lo sguardo del leader, rispondono di averlo sempre fatto a luci spente... Nel 1968 però Mao decide di porre fine all’anarchia delle Guardie Rosse che ha scatenato la guerra civile, lanciando il programma delle «scuole di rieducazione 7 maggio»: milioni di studenti vengono mandati nelle campagne a scontare i loro errori col lavoro manuale e con lo studio degli scritti di Mao e per imparare dai contadini. Li Zhensheng, incriminato da una fazione avversa con accuse meschine e infondate, è inviato in campagna per due anni di rieducazione. Nel 1972 è riabilitato e ritorna nella redazione del giornale. I disastri, le aberrazioni, i danni fisici e morali della Rivoluzione Culturale sono stati rivissuti nei ricordi dentro i racconti e i romanzi Wang Meng, di Acheng, di Mo Yan, di Yu Hua, di Dai Sijie e del Premio Nobel 2000 Gao Xingjian, o ricostruiti nella finzione cinematografica (da noi ne L’ultimo imperatore di Bertolucci). Le foto di Li Zhensheng riconducono alla tragica realtà di quegli anni infausti con un bianco e nero fortemente coinvolgente. La predizione relativa al nome scelto dal nonno si sta avverando: la mostra, che nell’autunno scorso ha ottenuto un grande successo all’Hotel del Sully a Parigi, nel 2004, dopo Reggio Emilia, sarà esposta a Bruxelles e a Londra.

«Li Zhensheng. L’odissea di un fotografo cinese nella Rivoluzione Culturale (1966-1976)», Reggio Emilia, Palazzo Magnani (Corso Garibaldi, 29) - Orari: 9,30-13,00/15,00-19, 00. Lunedì chiuso. Catalogo Phaidon Press Ltd. Fino al 15 febbraio 2004