lunedì 9 febbraio 2004

Caravaggio e Leonardo

Repubblica 9.2.04
I pittori della realtà, intervista a Mina Gregori
così Caravaggio guardò Leonardo

Le tappe del naturalismo lombardo dalla seconda metà del '400 al '700, dall'epoca del Foppa a quella del Ceruti
di PAOLO VAGHEGGI


per ulteriori informazioni su questa mostra cliccate qui

CREMONA. Il «padre» di Caravaggio? E´ Leonardo da Vinci. Ecco una tesi che farà discutere anche perché non è contenuta in una rivista specialistica ma è il nocciolo duro di una mostra pubblica: "Pittori della realtà. Le ragioni di una rivoluzione: da Foppa e Leonardo a Caravaggio e Ceruti", in programma nel Museo civico Ala Ponzone di Cremona (dal 14 febbraio al 2 maggio 2004, catalogo Electa) e al Metropolitan Museum di New York (dal 27 maggio al 15 agosto 2004).
E´ un´esposizione che ripercorre le tappe della pittura naturalista in Lombardia dalla seconda metà del Quattrocento quando, a Milano, operavano il bresciano Vincenzo Foppa e Leonardo, al periodo di formazione di Caravaggio - gli anni Ottanta del Cinquecento - per arrivare infine al Settecento di Fra´ Galgario e del Ceruti. Sono un centinaio i dipinti e i disegni che tracciano il viaggio nella «riforma» lombarda della pittura italiana. Si parte da Leonardo anche per rileggere Caravaggio nonché le fondamentali teorie caravaggesche di Roberto Longhi . E´ una rilettura operata da Mina Gregori, curatrice dell´esposizione cremonese (al Metropolitan Keith Christiansen e Andrea Bayer), e proprio per questo non mancherà di accendere dibattiti. La Gregori è stata, con Testori, l´allieva prediletta di Roberto Longhi e ancor oggi a Firenze guida la fondazione di studi dedicata allo storico dell´arte.
Sostiene Mina Gregori: «E´ sempre più chiaro che Caravaggio è figlio della cultura lombarda e che portò a Roma una complessa situazione di pensiero, di acquisizioni artistiche. Quando si trasferì nella capitale era ormai ventenne, era un artista alle soglie della maturità. E´ un pensiero diverso da quello di Roberto Longhi convinto che Caravaggio fosse arrivato a Roma in giovane età. L´artista in realtà aveva già assorbito una cultura straordinariamente complessa. E aveva sicuramente avuto esperienze di lavoro, eseguito dei dipinti che purtroppo ancora non conosciamo».
Ma perché Leonardo? Caravaggio aveva visto le opere del genio di Vinci?
«Leonardo ha soggiornato in Lombardia per due lunghi periodi e ci sono i segni del suo passaggio. Sicuramente Caravaggio aveva visto la Vergine delle Rocce e l´Ultima Cena, conosceva i disegni e i materiali scritti di Leonardo di cui vi sono tracce anche nei trattati del Lomazzo che risalgono al 1580-1590. Leonardo era una presenza culturale importantissima in Lombardia. Caravaggio ne risentì fortemente e per questo si trasferì a Roma. Voleva sfidare i grandi. Voleva essere il nuovo Leonardo. L´intuizione di Longhi sulle influenze lombarde di Caravaggio era giustissima. Ma aveva sottovalutato la presenza di Leonardo e l´importanza che ebbe per Caravaggio».
Ci sono dei documenti?
«Longhi diceva che il quadro è un documento. Le prime opere che Caravaggio realizzò per il cardinal Del Monte, che, non dimentichiamolo, aveva un fratello autore di un trattato di ottica, sono segnate dalla trasparenza, dalla luce, da una prospettiva che proviene da Leonardo e dallo studio dei leonardeschi. A Cremona presentiamo dei disegni di Leonardo prestati dalla collezione reale di Windsor e dei dipinti della sua cerchia dove si vedono dei soggetti, dei modelli poi ripresi da Caravaggio. E´ questo l´ambiente dove è cresciuto, dove ha studiato fin da giovanissimo con il sostegno della famiglia. La madre non esitò a vendere un terreno per far studiare il figlio, per mandarlo a scuola da Simone Pederzano. Aveva solo tredici anni. Evidentemente era già molto promettente. E quando arrivò a Roma aveva già una profonda formazione artistica».
A proposito di ottica. Il pittore David Hockney sostiene che Caravaggio e molti pittori dell´antichità fecero uso di lenti, specchi. E´ una teoria però avversata.
«Può essere veritiero. E´ possibile che Caravaggio abbia fatto uso di specchi. Il Baglione lo ha anche scritto. E´ una questione che ha bisogno di essere approfondita. Caravaggio però dopo i primi dipinti giovanili lasciò gli interessi di carattere ottico. Cambiò completamente registro con il chiaroscuro, anche questo di origine leonardesca, e si occupò soprattutto di soggetti sacri. Puntava su committenze pubbliche per essere consacrato come pittore universale. E in questo è riuscito: Caravaggio è stato l´artefice della seconda grande rivoluzione della pittura, quella che viene dopo Leonardo».
Ma i segni, quasi delle incisioni, che Caravaggio lasciava sulla tela con la punta del pennello erano dovuti all´uso di strumenti ottici?
«No, erano dovuti all´uso di veri modelli. Posavano più volte. Segnava sulla tela la posizione delle figure, non usava tecniche tradizionali. E non credeva nel disegno che per lui era un elemento di astrazione dalla realtà. Dipingeva direttamente sulla tela».
Di dipinti di Caravaggio però in mostra ce ne sono solo tre. Tra l´altro uno, la versione del Suonatore di liuto, di proprietà Wildenstein, è stato abbastanza contestato.
«Per la mostra abbiamo fatto delle scelte precise per far vedere quali sono gli elementi lombardi che accompagnano la formazione di Caravaggio. Questa versione del Suonatore di liuto è, per me, di mano di Caravaggio. E´ in deposito presso il Metropolitan Museum ed è stato scelto da loro».