Corriere della Sera 9.2.04
CENTENARI A Basilea, San Pietroburgo e Washington decine di lavori per illustrare il percorso dell?artista americano di origine russa
?I miei dipinti sono opere teatrali?
Le forme che appaiono, diceva Mark Rothko, sono gli attori del palcoscenico
d Sebastiano Grasso
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«Penso ai miei dipinti come a opere teatrali: le forme che appaiono sono gli attori sul palcoscenico. Nascono dall'esigenza di trovare un gruppo di interpreti in grado di muoversi sulla scena senza imbarazzo e di compiere gesti teatrali senza vergogna. Tutto ha inizio come in un'avventura sconosciuta». È proprio questo senso dell'avventura a spingere Mark Rothko (1903-1970) a esporre anche in ristoranti, grandi magazzini e chiese - oltre, naturalmente, che in gallerie e musei - e a fargli curare personalmente allestimenti in ogni minimo dettaglio. È chiaro che i dipinti non possono vivere isolati, dichiara in occasione di una mostra al Moma di New York. Essi hanno bisogno «dello sguardo di osservatori sensibili per potersi ridestare e sviluppare. Senza quello sguardo, i dipinti muoiono».
Ed ecco che, adesso, per il centenario della nascita dell'artista americano di origine russa, un buon numero delle sue opere rivivono a Basilea, San Pietroburgo e Washington. Forme rettangolari, ripetute sino all'ossessione. Campiture multicolori. Rosso sangue e rosso tenue mischiato col giallo. Blu notte e bianco impastato con l'arancione. Verde cupo e ocra contornato da grigio. Pittura delle commozione, con un potere quasi ipnotico («Chi, vedendo i miei quadri, dovesse piangere, rivivrebbe la mia stessa esperienza religiosa di quando dipingo»).
Rothko (Rothkowitz, originariamente) nasce in Lettonia, in una famiglia di ebrei. Ha una decina d'anni quando i suoi emigrano negli Usa, ma fa in tempo a vedere le crudeltà della repressione razziale: lui stesso viene colpito al viso dalla frusta d'un cosacco (gli resterà la cicatrice).
Nella sua memoria restano immagini terribili: feretri, morti, sepolture che, a sentire alcuni analisti, sublimerà proprio nei dipinti geometrici, dove i contorni nebbiosi si stemperano, man mano, in sfumature sempre più sottili, mentre le forme paiono emergere o scomparire in un sottile gioco di astrazione.
Nell'America dei primi decenni del secolo, l'Europa influenza in maniera determinante le avanguardie, soprattutto per la presenza, oltre Oceano, dei vari Breton, Léger, Ernst, Masson, Tanguy, Mondrian. La grande crisi economica degli anni Trenta diventa uno stimolo per l'arte made in Usa. Nascono vari gruppi. Rothko è tra i fondatori dei «Dieci». Il gruppo difende postcubismo e astrazione, si oppone al realismo socialista e si guarda attorno. Il che vuol dire, anche, rifarsi al Surrealismo.
Con una differenza, però: ne rifiuta letteratura e fotografia. A New York, la galleria di Peggy Guggenheim scopre i vari Pollock, Motherwell, Still, Reinhardt, lo stesso Rothko, e difende l'Espressionismo astratto (detto anche «Scuola di New York»). Mancano unità e omogeneità stilistiche. È il trionfo dell'individualismo. Inizialmente influenzato da Simbolismo e Surrealismo, il pittore lettone si confronta con l'arte primitiva e arcaica americana (legge, allora, La nascita della tragedia di Nietzsche) e ha anche una fase figurativa.
Solo dopo il 1940 trova la propria strada. È probabilmente dalle suggestioni di Mondrian che nascono le sue grandi campiture con forme irregolari e contorni spezzati che vanno, via via, semplificandosi e riordinandosi («La prima volta che ho visto alcuni dipinti di Rothko, alla Biennale di Venezia del '58, li ho qualificati come Mondrian molli», annoterà Butor). La tavolozza si assottiglia, diventa sempre più mistica e contemplativa. Colpito da enfisema polmonare, Rothko decide di farla finita. Il 25 febbraio 1970, nel suo studio sulla 69ª Strada di New York, ingerisce barbiturici e si taglia le vene.
L'«apostolo dell'angolo retto», secondo la definizione di Butor, non ha retto più.
Mark Rothko, Fondazione Beyeler, Basilea, sino al 12 aprile. Tel. 0041/61/6459700. San Pietroburgo, Museo dell'Ermitage, sino all'8 marzo. Tel. 00812/1109625. National Gallery, Washington, sino al 31 maggio. Tel. 00202/7374215.
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
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