sabato 7 febbraio 2004

Giappone
(una mostra a Milano)

una segnalazione di Filippo Trojano

Ukiyoe - Il mondo fluttuante
La mostra ripercorre in sei diverse sezioni tematiche (Teatro, Tradizione, Natura, Paesaggio, Vita di città, Beltà femminili) le immagini e le rappresentazioni del mondo fluttuante, 'ukiyo'. Più di cinquecento opere, suddivise tra dipinti, libri illustrati, stampe provenienti dalle principali collezioni pubbliche europee e mondiali, illustrano la trasformazione, tra il XVII e la metà del XIX secolo, della società e della cultura giapponese che si formò intorno alla città di Edo, divenuta poi Tokyo www.ukiyoe.it

dal 07/02/2004 al 30/05/2004
al Palazzo Reale Milano
Piazza Duomo, 12
ufficio stampa: Flavia Fossa Margutti
cell. +39 348 7400788 email: flavia.fossamargutti@tiscali.it


Il Messaggero Sabato 7 Febbraio 2004
Giappone, l’onda dei piaceri
di GIUSEPPINA ROCCA


LASCIARSI trasportare dalla voluttà, dalle sensazioni, percepire gli odori, i sapori, i colori, la natura. O piuttosto, come scrisse Asai Ryoi nel suo Ukiyo monogatari: «Fluttuare lungo la corrente di un fiume come un secco guscio di zucca». Leggermente, con sensualità, nella speranza di superare le malinconie e i dolori da cui siamo afflitti.
C’è un doppio paravento a otto ante all’entrata di Palazzo Reale di Milano dove oggi si apre una imponente mostra sull’arte del Giappone tra il Sei e la prima metà dell’Ottocento. E’ un’opera celebre che illustra nei particolari il mondo segreto dei piaceri che legavano l’uomo di Edo, la moderna Tokyo, alla città della notte e alle sue mille attrazioni: dalle case di piacere al teatro ai bagni pubblici, alle danze e alle cortigiane, vere protagoniste di quei secoli. Una società nuova, effimera, che segna il trapasso dalla compostezza aristocratica di spada samuraica alla licenziosità delle donne di piacere e a quella stagione che vede il trionfo in scena del Kabuki e dei suoi attori.
Intitolata “Ukiyoe. Il mondo fluttuante”, l’esposizione è la più completa rassegna allestita fuori dai confini del Giappone, anche grazie al suo curatore Gian Carlo Calza, docente di Storia dell’arte dell’Asia Orientale alla Ca’ Foscari. Divisa in sei sezioni (teatro, tradizione, natura, paesaggio, vita di città, beltà femminile), raccoglie quasi cinquecento opere tra dipinti, incisioni, libri illustrati, cartelloni teatrali, provenienti esclusivamente da musei pubblici, venti (proprio per fugare ogni dubbio sull’autenticità), con alcuni pezzi inediti. E’ in gran parte un materiale fragile e sensibile alle variazioni microclimatiche che dovrà essere sostituito nel corso della mostra, il 4 di aprile, con altri pezzi di uguale valore. Ci sono i paesaggi di Hutagawa Hiroshige, il bellissimo Acquazzone improvviso su Ohashi arrivato dal Guimet di Parigi, cuore delle raccolte asiatiche. E ci sono naturalmente i lavori di Katsushika Hokusai, Peonia semplice e canarino, ma soprattutto La (grande) onda presso la costa di Kanagawa che non ci si stanca mai di ammirare. Come spiega Calza oggi in Occidente quell’onda è stata saccheggiata, è diventata un’icona dell’immaginario collettivo. Non c’è infatti quotidiano o periodico che non la pubblichi per rappresentare qualsiasi evento, perfino il crollo di Borsa. Sono proprio le stampe dell’Ukiyoe, dei valori effimeri, che colpirono dopo la metà dell’Ottocento i nostri artisti - a cominciare da Manet, Monet, Degas e perfino Van Gogh - di cui sono rimasti segni tangibili, soprattutto nell’Art Nouveau e a piene mani nella grafica, dando luogo a una nipponizzazione strisciante. Eppure, il Giappone con i suoi simboli così lontani dall’Occidente, rimane una enorme montagna da scalare, come le famose Vedute del Fuji, sempre del maestro Hokusai e di cui si può ammirare la celebre Giornata limpida col vento del sud del 1830-32. Continua Calza: «E’ impossibile risalire alle radici di questa influenza, ma credo che si debba soprattutto alla filosofia zen se abbiamo cambiato la nostra visione delle cose. In questo senso, esempi celebri sono Jack Kerouac e John Cage, nelle sue vesti non di musicista ma di pittore. E se non proprio dallo zen è comunque una cultura sviluppatasi intorno alla cerimonia del tè. E’ lì che l’amore per un fiore singolo ha preso il posto in Occidente della dozzina di rose rosse».
Con questa mostra, invece, il Giappone è più vicino. Se ne riescono a cogliere le pecularietà, aiutati dal percorso tematico allestito cronologicamente. E’ così che nella prima sezione si scoprono i riti del kabuki e degli attori la cui bravura si misurava nella capacità di coinvolgere il pubblico e di tenerlo agganciato fuori dalle scene. La trama si basava su testi antichi, rielaborata secondo le esigenze di un racconto moderno. «La classicità in ogni campo in Giappone non è mai stata abbandonata», spiega Calza che ci accompagna in questo giro della mostra. «Antico e moderno sono due strade parallele. Ad esempio, oggi esiste un movimento per la rinascita della cultura del tè. E quindi si trovano grandi architetti o grafici che si dedicano alla sua reinterpretazione architettonica, grafica ed estetica».
Ricchi costumi, acconciature elaborate, volti dipinti, scene di grande effetto, drammaticità, storie di scuole-famiglie i cui attori trasmettevano per ereditarietà il nome. Il più famoso artista teatrale, Sharaku, è passato alla leggenda, per le 150 stampe create in meno di un anno, da maggio del 1794 al principio del 1795 prodotte dal più conosciuto editore dell’epoca: Tsutaya. La riproducibilità rimane una caratteristica di tutte le stampe giapponesi, grazie a una tecnica particolare che ne protegge la qualità.
L’ultima sezione invece è dedicata alle donne, alle cortigiane, simbolo supremo del piacere, e alle giovani che incarnavano l’ideale di bellezza dell’epoca. Donne fortemente sensuali, monumentali, flessuose, incantate, quasi inconsistenti, secondo il periodo storico a cui si riferiscono. Fino a riacquistare una presenza materiale e fisica che si evidenzia con la scoperta del corpo. Mai però messo a nudo. Non ci sono Veneri paragonabili alle nostre. Un particolare che emerge chiaramente dalle opere dell’artista sovrano della beltà femminile, Utamaro, la cui vita è legata indissolubilmente ai quartieri di piacere. Alcune volte con l’impiego limitato dei colori, altre con una notevole ricchezza cromatica e uso di effetti speciali riesce ad assumere la leadership di quest’arte rivolta al mondo femminile di cui il suo Canto del guanciale è la massima espressione. Modelle preferite erano le camerierine dei locali di Edo, giovani dal volto espressivo, come oggi se ne possono trovare a Tokyo, nei quartieri popolari. E le geishe? Una delusione, non ci sono: nell’epoca dell’Ukijoe erano solo una modesta appendice delle cortigiane. La loro influenza si andò affermando dopo. «Ce ne sono alcune a Kyoto, ma nel complesso sono in via di estinzione, sostituite da figure meno appariscenti», conclude Calza. «Seguono il concetto della tradizione che si rinnova continuamente, anche loro sono in via di trasformazione. La stanno reinventando in termini moderni».