lunedì 8 marzo 2004

coerenza delle neuroscienze svizzero-americane:
esiste il libero arbitrio?

Corriere del Ticino 7.3.04
Una settimana di conferenze e dibattiti con, al centro, la società contemporanea
Un cervello tutto da scoprire
Il quesito di sempre – Siamo davvero liberi? – La premessa


Siamo veramente liberi di agire? Siamo sicuri di poter fare certe cose o non farne altre in piena libertà, senza condizionamento alcuno? Una scelta di vita perfettamente lecita, magari un po’ anticonformista o, al contrario, un comportamento dannoso per sé e per gli altri sono il risultato di quella qualità tipicamente umana che definiamo il «libero arbitrio»? È con questa domanda che si apre questa sera la sesta edizione della «Settimana del cervello», i cui appuntamenti saranno seguiti su questa ed altre pagine del giornale: sarà il professor Arnaldo Benini, già Primario neurochirurgo presso la Clinica Schultness di Zurigo, a tenere la conferenza intitolata «Il cervello e la libertà della mente». n In un libro pubblicato nel 1988, intitolato «I filosofi e il cervello», lo scienziato inglese John Young afferma che l’uomo pensa di poter agire liberamente: in realtà, dice, può solo scegliere tra le varie possibilità, i vari programmi che il suo cervello gli consente e che si sono formati nel corso dell’evoluzione umana, selezionando quelli più convenienti per la sopravvivenza della specie e scartando gli altri. Dunque, secondo Young, un vero e proprio libero arbitrio non esiste, anche se le scelte della specie umana si collocano su un piano diverso da quelle più semplificate degli animali. La scelta di iniziare la «Settimana del cervello» con un tema del genere è molto interessante: vorremo solo chiedere agli organizzatori della «Settimana» di far sì che su questo argomento si possa ritornare, in presenza di un pubblico più vasto e anche di altri esperti, magari nel corso delle manifestazioni dedicate alla Coscienza, nel prossimo mese di maggio. La psichiatria – al centro dell’attenzione della «Settimana» di quest’anno – sta rapidamente ampliando le sue conoscenze e si interessa sempre più allo studio del funzionamento del cervello nelle diverse situazioni. Oggi, le neuroscienze utilizzano strumenti sofisticati che permettono di osservare cosa accade nel cervello quando, per esempio, siamo allegri o tristi, quando pensiamo alla persona amata, quando scriviamo o risolviamo un problema o vediamo una scena violenta di un film: la psichiatria utilizza comunemente queste tecniche di «imaging» per la diagnosi dei disturbi mentali e per seguirne il decorso. Nata come scienza vera e propria nel 19° secolo, la psichiatria ha conosciuto un rapidissimo sviluppo nel corso degli ultimi 50, 60 anni con la scoperta dei neurotrasmettitori, quelle sostanze che permettono alle cellule nervose di comunicare tra loro, e di come questa «comunicazione» sia alterata nei vari disturbi mentali. Intorno al 1950, Frank Berger scoprì per caso (stava cercando un efficace antibiotico) il primo farmaco contro l’ansia e nel giro di pochi anni seguirono le scoperte dei farmaci contro la depressione, la schizofrenia, la psicosi: inoltre, la biologia molecolare cerca di scoprire se ci sono cause genetiche delle malattie mentali. Per questo motivo, taluni hanno ipotizzato che i disturbi mentali abbiano solo una causa biologica, che condizioni sociali ed esistenziali dell’individuo non siano d’importanza e che si possa fare a meno delle diagnosi e delle terapie di tipo psicologico e psicoanalitico. Una contrapposizione del genere oggi non ha più senso, come avrà modo di constatare chi parteciperà alla conferenza del giorno 11. Scienza in rapido progresso, la psichiatria si confronta non solo con questioni scientifiche, ma anche con problemi etici rilevanti. È giusto che la psichiatria si faccia carico di ogni disagio sociale ed esistenziale, tossicodipendenze incluse? C’è l’esigenza di una bioetica anche per la psichiatria e le neuroscienze, una Neuroetica?