sabato 6 marzo 2004

il prof. Ernesto Longobardi a proposito del concordato fiscale:
una lettera al Sole 24 Ore

ricevuta da Tonino Scrimenti

Lettera di Ernesto Longobardi al Sole 24 ore di giovedi 4 marzo 2004

Fine di un istituto mai nato. E’ la politica dei dispetti, un titolo per l’ultima puntata della storia infinita del concordato preventivo, vero e proprio fisco-tormentone nostrano. Un istituto nuovo che fin dalla prima fase di elaborazione «è stato sottoposto a scossoni a seconda della “linea” che è risultata di volta in volta prevalente». Così scriveva questo giornale il 26 febbraio  scorso. La linea che sembra vincere ora è, appunto, quella dell’azzeramento del nuovo istituto prima ancora che veda la luce. Non c’è dubbio, infatti, e credo che tutti ne siano consapevoli, che questa sarebbe la conseguenza di una mancata proroga dei termini. Le adesioni al concordato rimarrebbero con ogni probabilità ferme alle poche migliaia che sono state finora presentate. Con buona pace per le prospettive di un istituto che se pure nella versione attuale - evidentemente frutto di un compromesso tra le diverse linee di cui si diceva - lascia molti scontenti, è in grado di viaggiare in direzioni ben più elevate, che ne potrebbero fare la più importante innovazione nelle relazioni fiscali dall’entrata in vigore della riforma tributaria dei primi anni ’70. 

E’ evidente che a regime, dovesse il concordato sopravvivere ed evolversi nella sua versione “alta”, che è quella individuale, il patto tra il fisco e i contribuenti dovrà essere siglato a priori: non potrà essere consentito, secondo un’espressione attribuita al Ministro, “giocare la schedina la domenica sera”. Ed è proprio nel suo carattere “preventivo” che stanno tutte le potenzialità dello strumento, prima fra tutte quella di incentivo alla produzione di nuova ricchezza o, almeno, all’emersione di ricchezza non nuova ma occulta. Una prospettiva nella quale diventerebbe un non senso bollare come sconfitta per il fisco, e qualificare come perdita di gettito, l’eventuale constatazione, a posteriori, di fatturati e imponibili superiori a quelli concordati: un non senso perché sarebbe uno degli obiettivi primi del patto proprio quello di spingere alla produzione e favorire l’emersione.

Nell’attuale contingenza, tuttavia, il discorso è un altro. Si è partiti, in via sperimentale, con un concordato “di massa” e non individuale; ci si è attestati su un periodo corto, un biennio; si sapeva fin dall’inizio che il provvedimento sarebbe entrato in vigore con il primo anno già chiuso e il secondo inoltrato. Si tratta di uno strumento nuovo, non solo nel panorama italiano. E’ evidente che l’informazione, l’acquisizione di una adeguata conoscenza dei meccanismi e della logica del nuovo istituto, di un’abitudine mentale alla nuova prospettiva, richiedono tempo e pazienza. Circolare ministeriale e modulistica sono stati diramati a poco più di un mese dalla scadenza del 16 marzo (i modelli sono usciti il 4  e la circolare il 13 febbraio).  I software per il calcolo delle singole posizioni non sono ancora disponibili. E’ stato detto che uno studio professionale di medie dimensioni abbisogna di un periodo tra i 30 e i 45 giorni per lo screening delle posizioni individuali.

Questi sono i  tempi e le necessità di uno strumento che si è voluto “di massa”. Ma la politica ad un certo punto scarta, rifugge dalle esigenze di massa. I quindici giorni devono rimanere tali. Quindici giorni che non servono a nessuno, che terranno la massa lontana dal concordato, che trasformeranno l’istituto di massa in un istituto per pochi: i pochi che non hanno avuto difficoltà a verificare immediatamente la propria convenienza ad aderire, i pochi quindi che di sicuro non portano gettito. Gli altri, i molti, gli incerti, coloro che avrebbero avuto bisogno del giusto tempo per pesare i costi e i benefici, coloro che, a fronte della tranquillità e della certezza, sarebbero stati forse disposti a pagare anche qualcosa di più, e che quindi avrebbero alimentato il gettito,  saranno tenuti  lontani. Alle categorie del lavoro autonomo, si è fatto vedere il giocattolo, se ne è mostrato il funzionamento, ma poi il giocattolo è stato fatto improvvisamente sparire. La politica dei dispetti.