Repubblica 6.3.04
Storia di un concetto e delle sue divisioni interne
QUELLA SINISTRA ITALIANA PRIMA E DOPO IL CROLLO
Per circa due secoli, socialisti, anarchici e comunisti, si sono identificati con il movimento operaio e i relativi partiti
Le lotte, le scissioni, gli anatemi e poi la grande disillusione per un capitalismo che non crollava Oggi tutto questo sembra preistoria
di MASSIMO L. SALVADORI
Il destino della "sinistra" - il cui nome deriva dalla disposizione topografica assunta nel 1790 dai rivoluzionari rispetto ai difensori della monarchia collocatisi a destra nell´Assemblea nazionale francese - è stato da un lato di aver costituito una delle forze che hanno dominato la storia contemporanea, dall´altro di avere cambiato i propri connotati in relazione sia ai propri scopi sia ai mezzi per raggiungerli e di essersi divisa in diverse componenti giunte all´estremo a combattersi in maniera anche distruttiva. In vero, ogni formazione politica ha avuto la sua "sinistra"; ma a caratterizzare quest´ultima, dopo l´emergere in tutta la sua portata della "questione sociale", sono state in primo luogo le strategie di lotta nei confronti del capitalismo e della proprietà privata e la progettazione di una nuova società, con il seguito di divisioni tra i rivoluzionari di diversa corrente, uniti contro il capitalismo di cui si aspettava il crollo, e i riformisti fautori di una trasformazione graduale. Per circa due secoli la sinistra - socialisti, anarchici, comunisti - ha avuto la sua più forte identificazione con il movimento operaio e le sue organizzazioni e i suoi partiti.
Ma una cosa era la volontà di combattere il capitalismo e le sue istituzioni; un´altra trovare i mezzi appropriati; e un´altra ancora individuare il modello della società post-capitalistica. La sinistra era mossa nel suo insieme dall´ideale di una società egualitaria; sennonché anche i modi di intendere l´uguaglianza erano tutt´altro che scontati. Questi i grandi nodi da sciogliere: bisognava attendere il crollo del capitalismo oppure cercare di trasformarlo? Seguire la via della rivoluzione o quella delle riforme? Passare attraverso la dittatura dei rivoluzionari e abbattere le istituzioni parlamentari oppure mantenere l´eredità del liberalismo? Dare all´economia pianificata strutture centralizzate dominate dallo Stato oppure puntare su un sistema decentrato, cooperativistico, autogestito?
Il progetto pianificatore, centralistico, statalistico, elaborato da Marx ed Engels (che rinviarono alla realizzazione del comunismo la fine di ogni forma di costrizione politica e sociale) prevalse nella seconda metà dell´Ottocento. Ma, verso la fine del secolo, l´atteso crollo del capitalismo non arrivava; e Bernstein, il padre di tutti i riformisti socialisti, lanciò la sua sfida. Attaccato dai marxisti come un revisionista che svendeva il patrimonio di Marx, egli teorizzò che occorreva unire le forze dei socialisti e dei liberali progressisti per strappare i miglioramenti possibili, che la democrazia liberale andava preservata, che il Parlamento era la palestra positiva della lotta politica e sociale. Il confronto tra rivoluzionari e riformisti dominò la scena per un ventennio prima del 1914. Ma lo spirito rivoluzionario aveva ad Oriente una grande riserva vergine. Bernstein esortava al riformismo nei paesi economicamente sviluppati dove esistevano le libertà politiche e civili. In Russia non vi erano né un capitalismo moderno né libertà né parlamentarismo. E da quel paese il bolscevico Lenin, preso il potere nel 1917 con la rivoluzione di Ottobre, diresse il suo attacco al riformismo.
La prima guerra mondiale, la rivoluzione russa, la devastante crisi sociale ed economica in Europa, il consolidamento del potere sovietico fecero dilagare da Mosca un duplice messaggio: che la guerra imperialistica aveva dato inizio all´era del crollo del capitalismo e che la via del riformismo era fallimentare, mentre la via rivoluzionaria aveva portato al sorgere del primo Stato socialista. Il leninismo dilaniò come mai prima il movimento operaio internazionale. I socialdemocratici guardarono con avversione alla dittatura sovietica considerata una forma di dispotismo intollerabile; i comunisti e i loro sostenitori considerarono i socialdemocratici alla stregua dei più pericolosi nemici. La contrapposizione tra comunisti e socialdemocratici - con vicende che videro momenti di relativa intesa alternarsi al riaccendersi dei contrasti - è continuata per un´intera epoca storica: gli uni aventi come obiettivo principale l´espansione del "campo socialista", gli altri essendo impegnati nelle riforme e nello sviluppo della loro principale creatura: lo "Stato del benessere" (nato dalla convergenza con la sinistra liberale e cristiano-sociale e appoggiato "in via provvisoria" dai comunisti occidentali).
In questo generale contesto si è collocata la vicenda della sinistra italiana, segnata nel Novecento: prima del 1915 dal fallito tentativo della corrente riformista di assumerne la guida; tra il 1919 e il 1925 dal gonfiarsi e sgonfiarsi del massimalismo, dalle lotte intestine tra socialisti e comunisti, dalla comune sconfitta ad opera della fascismo; dopo il 1945, trascorsa la fase dell´unità "socialcomunista" conclusasi nel 1956, da un socialismo minoritario divenuto "governativo" ma incapace di elaborare una coerente e adeguata cultura riformistica di governo e da un comunismo rimasto sino al 1989 ad oscillare tra "riformismo pratico" e una tradizione rivoluzionaria sempre più stanca e inconcludente.
Ora la sinistra europea, crollato il sistema sovietico ed entrato in una crisi via via più profonda il Welfare, deve trovare le sue risposte di fronte a un´economia qualitativamente diversa da quella fondata sul capitalismo delle grandi fabbriche e sugli eserciti operai, che avevano costituito il fondamento della sua azione per due secoli; deve misurarsi con l´emergere di nuovi strati sociali, di nuove forme di produzione e di scambio e di una "questione sociale" dal volto non assimilabile a quello di un tempo. E dunque: quale sinistra? Quali i suoi compiti? Quali i suoi scopi? Quali le sue forme organizzative? Il riformismo ha vinto infine la sua battaglia. Ma anche qui: che cosa distingue il riformismo degli uni da quello degli altri?
«SEGNALAZIONI» è il titolo della testata indipendente di Fulvio Iannaco che - registrata già nel 2001 - ha ormai compiuto il diciottesimo anno della propria continua ricerca e resistenza.
Dal 2007 - poi - alla sua caratteristica originaria di libera espressione del proprio ideatore, «Segnalazioni» ha unito la propria adesione alla «Associazione Amore e Psiche» - della quale fu fra i primissimi fondatori - nella prospettiva storica della realizzazione della «Fondazione Massimo Fagioli»